La sera del dì di festa

La poetica del vago e dell’indefinito

Luca Pirola
4 min readApr 30, 2021
Caspar David Friedrich, Neubrandenburg nella nebbia mattutina

Questo idillio fu composto nel 1820 e pubblicato in varie edizioni con il titolo La sera del giorno festivo; solo nei Canti del 1835 assunse il titolo definitivo.

L’idillio presenta un’articolazione più ampia e mossa rispetto all’Infinito con il quale condivide in parte il tema dell’infinità del tempo. Qui un intenso paesaggio notturno, dominato dalla luna e dall’indifferenza della donna amata, viene alternato alla riflessione sull’immensità del passato perduto e irrecuperabile.

Come nell’Infinito il protagonista incontrastato della lirica è l’io poetico. Anche qui la struttura del discorso si sviluppa a partire da immagini visive (il paesaggio iniziale, vv. 1–4) e uditive (il canto dell’artigiano, vv. 24–26), per dar luogo a una trama di riflessioni e stati d’animo che sembrano scaturire spontaneamente dagli stimoli del mondo esterno.

metro: endecasillabi sciolti

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:

I primi versi de La sera del dì di festa sono fra i più noti della letteratura italiana per la loro musicalità. Leopardi sceglie una certa varietà di timbri vocalici (Dolce e chiara è la notte senza vento), predilige parole brevi (al massimo trisillabi: serena, montagna), suggerisce appena un’eco con l’allitterazione senza/vento . Alterna poi a questi primi versi perfettamente compiuti altri spezzati dall’enjambement per dare più respiro a un discorso reto da una sintassi piana e agevole. La musica è un effetto di semplicità, di leggerezza, di naturalezza che distacca l’espressione di Leopardi dalla retorica che aveva regnato per secoli incontrastata nella lirica italiana.

Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! […]

La prima catena di associazioni psicologiche si svolge sul filo dell’analogia tra la natura e la donna: entrambe serene e affascinanti, entrambe indifferenti al dolore del poeta. Il discorso non si svolge sulla base di un’argomentazione logica, ma per associazioni di tipo emotivo e intuitivo:

  • l’evocazione del limpido e sereno paesaggio serale sfuma nell’immagine della donna che dorme tranquillamente, ignara del dolore del poeta (vv. 1–10);
  • lo sguardo ritorna sul paesaggio iniziale con un tragico contrasto fra la bellezza del cielo e la sentenza di condanna all’infelicità pronunciata dalla Natura (vv. 11–16);
  • l’interlocutrice è nuovamente la donna, che il poeta immagina assorta nel piacevole ricordo dei ragazzi incontrati alla festa (vv. 17–21);
  • il senso di esclusione dall’armonia della natura e dai pensieri della donna si traduce in una tragica esplosione emotiva (vv. 21- 24).

Il poeta, dunque, contempla la bellezza della natura dalla finestra, senza esservi immerso. Sperimenta così la distanza dall’immensità della quiete notturna e la propria diversità. A sottolineare il suo isolamento interviene la donna che non ne ricambia l’amore. Mentre la donna dorme tranquilla, il poeta è tenuto sveglio da pensieri angosciosi; mentre la donna ha preso parte ai trastulli del giorno di festa, il poeta ne è escluso; e mentre la donna condivide la vitalità della giovinezza, il poeta medita sulla morte, vivendo giorni colmi di dolore.

[…]Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.

La seconda trama di associazioni è unificata dalla percezione del tempo, che si traduce in un triplice accostamento tra la sera e la giornata festiva, tra il presente storico e l’antichità, tra la situazione attuale del poeta e la sua infanzia:

  • un canto che risuona nel silenzio della notte sfocia in una considerazione sul carattere effimero delle gioie della festa (vv. 24–27);
  • ne scaturisce una riflessione più ampia sulla precarietà delle vicende eroiche del passato, sulle quali lo scorrere del tempo ha steso un oblio che richiama per associazione il silenzio del paesaggio notturno (vv. 28–39);
  • l’evocazione di un ricordo d’infanzia ripropone i motivi della delusione per la fine del giorno festivo e del sentimento di nostalgia destato da un canto udito nella notte (vv. 40–46).

Le scelte lessicali contribuiscono a creare la sensazione di vago e indeterminato: infatti l’accostamento di parole rare e letterarie al linguaggio comune, la struttura sintattica lineare e la presenza di espressioni indefinite creano un intenso effetto poetico nella lirica.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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