La Storia — Satura

La riflessione di Montale sulla modernità

Luca Pirola
4 min readApr 16, 2020

In questa lirica che è uno delle più importanti di Satura, il poeta si diverte (ma con una punta di amarezza) a ironizzare sulla storia: un concetto ritenuto importante e filosofica, e che invece Montale smonta passo passo. Emerge, nel finale, la raffigurazione dell’angolino in cui l’anziano scrittore si nasconde per osservare la vita.

Il componimento è suddiviso in due parti, infatti è costruita sulla contrapposizione tra due elementi: ciò che la storia non è ciò che essa, viceversa, è.

La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l’ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell’orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C’è chi sopravvive.

La prima parte (occupata da un’unica, lunga strofa) accumula una serie di negazioni, per dire ciò che la storia non è e rovesciare così i luoghi comuni che la cultura europea ha costruito sul concetto di storia. Per Montale la storia non è fatta di cause ed effetti, non c’è una sequenza temporale ricostruibile, non punisce i malvagi per premiare i buoni (quindi non ha una provvidenza che la guidi), non ha un andamento graduale, non rispetta le regole che l’uomo le impone e men che meno può insegnare qualcosa (non è magistra vitae). Il poeta demolisce quindi tutte le certezze che gli uomini hanno riposto nel concetto di storia:
- che abbia una sua giustizia intrinseca
- che sia fatta dai grandi eroi o dai filosofi
- che sia una forma di miglioramento continuo
- che abbia una teleologia (cioè una finalità propria, una meta)

La poetica della negazione utilizza quindi in modo insistente la litote (figura retorica che consiste nel dire una cosa negando il suo contrario) e l’anafora (ripetizione di una o più parole all’inizio di versi consecutivi) non per incapacità di dare una propria definizione del concetto, ma per sottolineare l’aspetto negativo di questa realtà e demolire tutte le teorie che alla storia avevano dato grande peso.

La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.

La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.

La storia si lascia dietro anfratti e ripari in cui ci si può infilare per nascondersi. Essa infatti non punisce e non premia nessuno e quindi qualcuno può sopravvivere alla meglio. Ma chi riesce a sfuggire alla rete a strascico della storia non è neppure consapevole della propria (relativa fortuna).
Noi non possiamo dire nulla di preciso sul mondo e sulla storia. Sappiamo solo, in parte, ciò che la storia non è. È il tema della prima strofa. La storia resta indecifrabile, ambigua. E anche quando, nella seconda parte, sembra finalmente che la poesia chiarisca, in positivo, cosa la storia sia, neppure allora se ne dà una definizione chiara.

La storia, tuttavia, ha anche qualche aspetto positivo; lascia che qualche essere umano le sfugga di mano.

Attraverso la semplicità lessicale e sintattica il pessimismo montaliano — che si esprime nelle forme di un disincanto epigrafico e sentenzioso, senza nessuna concessione di gusto retorico — sottolinea invece la radicale e incolmabile estraneità della storia nei confronti dell’individuo, che non può ritrovarvi certezze o consolazioni. La fortuna cioè è quella di non entrare a far parte della storia, di riuscire a nascondersi abbastanza bene da non essere mai nominati nei libri, nei documenti, sui monumenti, nelle canzoni patriottiche…anche se questo anonimato non è facile da mantenere perché la storia, come una rete a strascico, raschia il fondo per catturare nelle sue maglie tutti gli esseri umani e quei pochi che si salvano non sanno che fortuna hanno e vengono disprezzati anche da coloro che, dall’interno della rete, li considerano miseri “nessuno” che non lasceranno traccia di sé nel mondo.

Soprattutto quest’ultimo concetto è prepotentemente attuale: in una società dove apparire, essere famosi, far parlare di sé (anche a sproposito) è un valore aggiunto, Montale sembra portabandiera dell’anonimato, dell’uomo qualunque (che oggi ha assunto una connotazione tanto peggiorativa) che nessuno conosce perché entrare a far parte della storia non è un merito né un valore aggiunto, proprio perché la storia non ha nessun significato per l’uomo (“la storia non è intrinseca / perché è fuori” e ancora “La storia non è magistra / di niente che ci riguardi”). Non c’è però nessuna forma di compiacimento in questa demolizione sistematica: il poeta stesso ci avverte che quello che lui sta dicendo non può cambiare l’essere stesso della storia (“Accorgersene non serve / a farla più vera e più giusta”). In questo modo toglie anche l’ultima possibilità di consolazione, quella di aver demolito, a fin di bene, un baluardo metafisico tanto caro agli uomini. La storia resta solo un dato di fatto, esterno ed estraneo all’uomo che non può con essa interagire né lottare, solo nascondersi in un cunicolo lasciato dalla sua ruspa.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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