La tragedia

I Malavoglia, capitolo 3

Luca Pirola
10 min readOct 6, 2021
William Turner, il naufragio

L’ordine della famiglia Malavoglia viene turbato quando ‘Ntoni riceve la chiamata di leva, che priva la famiglia di una vitale forza-lavoro. Essendo in un periodo di ristrettezze (e quindi, per adeguarsi ad una inflessibile legge economica), padron ‘Ntoni compra da zio Crocifisso, l’usuraio del paese, un carico di lupini e manda Bastianazzo a venderli. Di notte, però, si scatena una tempesta.

Il naufragio della Provvidenza non è descritto direttamente: Verga preferisce non farci assistere all’inabissarsi della barca e alla morte di Bastianazzo, e ci presenta invece il modo in cui questo event è vissuto, indirettamente, dai personaggi del paese, delineando così la mentalità di una comunità di pescatori.

Dopo la mezzanotte il vento s’era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuotere le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di sant’Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell’anima di Giuda. Insomma una brutta domenica di settembre, di quel settembre traditore che vi lascia andare un colpo di mare fra capo e collo, come una schioppettata fra i fichidindia. Le barche del villaggio erano tirate sulla spiaggia, e bene ammarrate alle grosse pietre sotto il lavatoio; perciò i monelli si divertivano a vociare e fischiare quando si vedeva passare in lontananza qualche vela sbrindellata, in mezzo al vento e alla nebbia, che pareva ci avesse il diavolo in poppa; le donne invece si facevano la croce, quasi vedessero cogli occhi la povera gente che vi era dentro.

L’incipit del capitolo definisce l’ambiente di Aci Trezza durante la tempesta: i pescatori sono al riparo, le barche sulla spiaggia, i pericoli di chi è in mare sono solo accennati dalle vele lontane.

Il capitolo si apre così su una scena stravolta dalla tempesta, quasi un preannuncio del dramma che incombe; il tutto è reso attraverso lottica popolare e deformata della narrazione corale, che descrive l’infuriare degli elementi naturali con similitudini riferete a elementi della vita quotidiana (Il mare si udiva muggire intorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di Sant’Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell’anima di Giuda). La scena si stringe poi sulla casa del nespolo, dove i pensieri erano rivolti alla Provvidenza e a Bastianazzo che la governava nella tempesta.

Maruzza la Longa non diceva nulla, com’era giusto, ma non poteva star ferma un momento, e andava sempre di qua e di là, per la casa e pel cortile, che pareva una gallina quando sta per far l’uovo. Gli uomini erano all’osteria, e nella bottega di Pizzuto, o sotto la tettoia del beccaio, a veder piovere, col naso in aria. Sulla riva c’era soltanto padron ‘Ntoni, per quel carico di lupini che vi aveva in mare colla Provvidenza e suo figlio Bastianazzo per giunta, e il figlio della Locca, il quale non aveva nulla da perdere lui, e in mare non ci aveva altro che suo fratello Menico, nella barca dei lupini. Padron Fortunato Cipolla, mentre gli facevano la barba, nella bottega di Pizzuto, diceva che non avrebbe dato due baiocchi di Bastianazzo e di Menico della Locca, colla Provvidenza e il carico dei lupini.
- Adesso tutti vogliono fare i negozianti, per arricchire! diceva stringendosi nelle spalle; e poi quando hanno perso la mula vanno cercando la cavezza.

La tensione della scena è tutta osservata, senza giudizi diretti da parte del narratore, da un’ottica impersonale ed impassibile, ma che riesce a cogliere il nascosto agitarsi delle passioni di Maruzza (Maruzza la Longa non diceva nulla, com’era giusto, ma non poteva star ferma un momento, e andava sempre di qua e di là, per la casa e pel cortile, che pareva una gallina quando sta per far l’uovo) o, attraverso le battute in dialogo diretto, il giudizio della comunità sulla improvvida scelta di Padron ‘Ntoni, espresso tramite i proverbi (… poi quando hanno perso la mula vanno cercando la cavezza). La bettola di suor Mariangela la Santuzza diventa allora la scena su cui transitano tutte le figure del paese; il fatto che il narratore si concentri sul “coro” popolare che commenta il dramma dei Malavoglia permette di tradurre sulla pagina il progressivo distanziamento tra lottica della comunità e quella della famiglia colpita dal lutto imminente.

Nella bottega di suor Mariangela la Santuzza c’era folla: quell’ubbriacone di Rocco Spatu, il quale vociava e sputava per dieci; compare Tino Piedipapera, mastro Turi Zuppiddu, compare Mangiacarrubbe, don Michele il brigadiere delle guardie doganali, coi calzoni dentro gli stivali, e la pistola appesa sul ventre, quasi dovesse andare a caccia di contrabbandieri con quel tempaccio, e compare Mariano Cinghialenta. Quell’elefante di mastro Turi Zuppiddu andava distribuendo per ischerzo agli amici dei pugni che avrebbero accoppato un bue, come se ci avesse ancora in mano la malabestia di calafato, e allora compare Cinghialenta si metteva a gridare e bestemmiare, per far vedere che era uomo di fegato e carrettiere.
Lo zio Santoro, raggomitolato sotto quel po’ di tettoia, davanti all’uscio, aspettava colla mano stesa che passasse qualcheduno per chiedere la carità. — Tra tutte e due, padre e figlia, disse compare Turi Zuppiddu, devono buscarne dei bei soldi, con una giornata come questa, e tanta gente che viene all’osteria.
- Bastianazzo Malavoglia sta peggio di lui, a quest’ora, rispose Piedipapera, e mastro Cirino ha un bel suonare la messa; ma i Malavoglia non ci vanno oggi in chiesa; sono in collera con Domeneddio, per quel carico di lupini che ci hanno in mare.
Il vento faceva volare le gonnelle e le foglie secche, sicché Vanni Pizzuto col rasoio in aria, teneva pel naso quelli a cui faceva la barba, per voltarsi a guardare chi passava, e si metteva il pugno sul fianco, coi capelli arricciati e lustri come la seta; e lo speziale se ne stava sull’uscio della sua bottega, sotto quel cappellaccio che sembrava avesse il paracqua in testa, fingendo aver discorsi grossi con don Silvestro il segretario, perché sua moglie non lo mandasse in chiesa per forza; e rideva del sotterfugio, fra i peli della barbona, ammiccando alle ragazze che sgambettavano nelle pozzanghere. […]

Ad ogni commento o pettegolezzo segue, sempre attraverso la voce popolare, l’emersione della logica economica sotterranea, quella per cui al dolore personale si aggiunge la rovina dei Malavoglia: Lungo tutto il capitolo non si fa che sottolineare le conseguenze economiche del naufragio, quasi che la sorte del carico di lupini conti di più delle stesse vite di Bastianazzo e di Menico, che stanno lottando col mare in burrasca. Benché non manchi qualche sporadico segno di attenzione nei confronti dei due uomini, come la battuta di Piedipapera (non vorrei trovarmi nella camicia di compare Bastianazzo), la preoccupazione maggiore riguarda il negozio tra padron ’Ntoni e lo zio Crocifisso, perché il carico di lupini era stato dato a credenza, e perché la cifra pattuita per la compravendita era tale da mettere in ginocchio i Malavoglia.

Ciascuno non poteva a meno di pensare che quell’acqua e quel vento erano tutt’oro per i Cipolla; così vanno le cose di questo mondo, che i Cipolla, adesso che avevano la paranza bene ammarrata, si fregavano le mani vedendo la burrasca; mentre i Malavoglia diventavano bianchi e si strappavano i capelli, per quel carico di lupini che avevano preso a credenza dallo zio Crocifisso Campana di legno.
- Volete che ve la dica? saltò su la Vespa; la vera disgrazia è toccata allo zio Crocifisso che ha dato i lupini a credenza. “Chi fa credenza senza pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno”.
Lo zio Crocifisso se ne stava ginocchioni a pié dell’altare dell’Addolorata, con tanto di rosario in mano, e intuonava le strofette con una voce di naso che avrebbe toccato il cuore a satanasso in persona. Fra un’avemaria e l’altra si parlava del negozio dei lupini, e della Provvidenza che era in mare, e della Longa che rimaneva con cinque figliuoli. — Al giorno d’oggi, disse padron Cipolla, stringendosi nelle spalle, nessuno è contento del suo stato e vuol pigliare il cielo a pugni.
- Il fatto è, conchiuse compare Zuppiddu, che sarà una brutta giornata pei Malavoglia. […]

La tragedia è commentata in chiave eminentemente economica, infatti non pochi dei personaggi che animano la sce- na, a cominciare dalla Vespa, solidarizzano con l’usuraio del paese, lo zio Crocifisso. Questi dal canto suo pensa bene di tutelare i propri interessi, facendo confessare a padron ’Ntoni davanti a testimoni che i lupini glieli aveva dati a credenza. Ma perfino padron ’Ntoni finisce per essere risucchiato in quest’ottica deformante, che mette al primo posto i risvolti economici del naufragio, a scapito del lato umano: Sulla riva c’era soltanto padron ’Ntoni, per quel carico di lupini che ci aveva in mare colla Provvidenza e il suo figlio Bastianazzo per giunta, e il figlio della Locca, il quale non aveva nulla da perdere lui, e in mare non ci aveva altro che suo fratello Meniconella barca dei lupini. Nell’universo umano di Verga sembra quasi che non ci sia spazio per i sentimenti, tanto è prevaricante la preoccupazione economica.

Il capitolo si chiude sul dolore straziante della Longa, tuttavia nel microcosmo di Aci Trezza la solidarietà è una virtù sconosciuta. La famiglia Malavoglia viene lasciata sola nella sua angoscia. Tutti i compaesani, con quel tempaccio, se ne stanno rintanati al coperto e possibilmente al caldo, solo i Malavoglia vagano come anime in pena, in mezzo alle intemperie, padron ’Ntoni sulla spiaggia, Maruzza e i bambini sulla sciara, da dove potevano scorgere un tatto di mare. I compaesani chiacchierano tranquilli, emettono sentenze e scherzano persino, indifferenti di fronte alla sciagura che incombe sui Malavoglia, quando addirittura ironici e pungenti. Per gli avventori dell’osteria, che al passaggio della Longa sgomenta si affacciano sulla porta per vederla, essa rappresenta solo una cosa curiosa; e anche le comari e gli amici del marito che la avvicinano, non sanno porgerle neanche una parola di conforto, dando a vedere di adempiere solo a un obbligo sociale, senza alcuna intima partecipazione.

Sull’imbrunire comare Maruzza coi suoi figlioletti era andata ad aspettare sulla sciara, d’onde si scopriva un bel pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dir nulla. La piccina piangeva, e quei poveretti, dimenticati sulla sciara, a quell’ora, parevano le anime del purgatorio. Il piangere della bambina le faceva male allo stomaco, alla povera donna, le sembrava quasi un malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillarla, e le cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagrime anche essa.

Verga sostituisce il racconto dell’evento con il suo presentimento. Nulla sappiamo, infatti, della lotta disperata di Bastianazzo e di Menico per resistere alla furia del mare: le persone rimaste a terra possono solo immaginare i terribili momenti vissuti dai due pescatori, ma il naufragio, di per sé, non ha testimoni. La verità, insomma, non viene accertata ma solo supposta, e tuttavia basta la diffusa convinzione che la Provvidenza abbia fatto naufragio a decretare la morte per annegamento dei due uomini.
Il “coro” delle voci paesane ha ormai deciso per la disgrazia convinzione a cui non si sottrae neppure Maruzza: le insolite attenzioni che le riservano tante persone la lasciano sgomenta e sbigottita; quando viene ricondotta a casa, comincia a balbettare Oh! Vergine Maria!; e quando, da ultimo, le vengono incontro comare Piedipapera e la cugina Anna, prorompe in un grido disperato e corre a rintanarsi in casa.

Le comari, mentre tornavano dall’osteria coll’orciolino dell’olio, o col fiaschetto del vino, si fermavano a barattare qualche parola con la Longa senza aver l’aria di nulla, e qualche amico di suo marito Bastianazzo, compar Cipolla, per esempio, o compare Mangiacarrubbe, passando dalla sciara per dare un’occhiata verso il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa sotto il naso, o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzioni insolite, li guardava in faccia sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volessero rubargliela. Finalmente il più duro o il più compassionevole la prese per un braccio e la condusse a casa. Ella si lasciava condurre, e badava a ripetere: — Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria! — I figliuoli la seguivano aggrappandosi alla gonnella, quasi avessero paura che rubassero qualcosa anche a loro. Mentre passavano dinanzi all’osteria, tutti gli avventori si affacciarono sulla porta, in mezzo al gran fumo, e tacquero per vederla passare come fosse già una cosa curiosa.
- Requiem eternam, biascicava sottovoce lo zio Santoro, quel povero Bastianazzo mi faceva sempre la carità, quando padron ‘Ntoni gli lasciava qualche soldo in tasca.
La poveretta che non sapeva di essere vedova, balbettava: — Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria!
Dinanzi al ballatoio della sua casa c’era un gruppo di vicine che l’aspettavano, e cicalavano a voce bassa fra di loro. Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le vennero incontro, colle mani sul ventre, senza dir nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno strido disperato e corse a rintanarsi in casa.
- Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica! Più di quarant’onze di lupini!

Alla perdita del centro del nucleo familiare, si aggiunge allora l’obbligo di restituire i soldi, essendo il capitolo chiuso da considerazioni di ordine pratico sulle infelici sorti finanziarie della famiglia. Non è un caso che la Provvidenza faccia naufragio proprio durante il trasporto del carico di lupini preso a credenza: i Malavoglia, infatti, improvvisandosi commercianti, hanno violato la legge immobilistica del destino, che secondo Verga obbliga ciascuno a restare nella condizione socio-economica in cui è nato. Nella terribile sciagura che li colpisce lo scrittore sintetizza, perciò, in maniera paradigmatica la visione del mondo enunciata nella Prefazione al ciclo dei Vinti, rappresentando proprio il caso di una famiglia travolta e annegata dalla fiumana del progresso, per aver preteso di migliorare lo status di partenza. Di fatto, la catastrofe che si abbatte sui Malavoglia con questo naufragio è pesantissima: morte di Bastianazzo, cessione della casa del nespolo allo zio Crocifisso a indennizzo del mancato pagamento dei lupini, trasferimento nell’ultima casa del paese con affitto da pagare, perdita di credito e di prestigio sociale, lavoro non più in proprio ma sotto padrone.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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