La vergine cuccia

Il meriggio, vv. 645–697

Luca Pirola
5 min readFeb 11, 2021

Il racconto della giornata del Giovin Signore prosegue: egli è a pranzo dalla sua Dama, ne suo suntuoso palazzo. Durante il pranzo si conversa, si beve e si mangia; c’è chi approfitta dell’occasione per esibirsi in sproloqui su argomenti in voga, chi tace per abbuffarsi meglio e c’è il vegetariano che prende la parola per accusare coloro che uccidono gli animali per farne cibo. La dama allora interviene ricordando un fatto atroce accaduto alla sua cagnetta, colpita dal calcio di un servo.

La storia della Vergine cuccia si basa sul rovesciamento ironico in cui il dramma farsesco della cagnetta è presentato dal Precettore come una terribile tragedia, mentre il dramma vero del servo è narrato come una giusta punizione per il suo misfatto.

L’episodio narrato può essere suddiviso in tre parti: 1. l’accusa del vegetariano (vv. 645–651); 2. l’incidente alla vergine cuccia (vv. 652–677); 3. la vendetta della dama (vv. 678–697).
In questa prima parte, il vegetariano (invitato alla mensa del Giovin Signore) condanna la crudeltà di quanti uccidono gli animali per cibarsene. Il discorso è aperto dal verbo esortativo Pera che enfatizza il dettato con un tono epico

«Pera colui che prima osò la mano
armata alzar su l’innocente agnella,
e sul placido bue: né il truculento
cor gli piegàro i teneri belati
né i pietosi mugiti né le molli
lingue lambenti tortuosamente
la man che il loro fato, ahimè, stringea».

Il lessico impiegato da Parini è funzionale a proporre una marcata contrapposizione tra la bontà degli animali e la crudeltà dei loro carnefici: l’innocente agnella, il placido bue, i teneri belati, i pietosi mugiti, le molli lingue si contrappongono così alla mano armata e al truculento cor. Anche la metafora del verbo “stringere”, relativa al destino (al fato), tende a sottolineare nuovamente la crudeltà degli uomini.

Inizia qui la seconda parte del brano, aperto dalla commozione della dama per il ricordo dell’incidente della sua cagnetta.

Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto
al suo pietoso favellar dagli occhi
de la tua Dama dolce lagrimetta
pari a le stille tremule, brillanti
che a la nova stagion gemendo vanno
dai palmiti di Bacco entro commossi
al tiepido spirar de le prim’aure
fecondatrici. …

Il discorso del vegetariano fa scaturire il ricordo dell’episodio della cagnetta, che sembra far commuovere la dama, tanto da strapparle una dolce lagrimetta. Il poeta suggerisce però che la lacrima della dama sia una posa, un artificio non mosso da un vero sentimento d’affetto per la cagnetta.

Parini enfatizza ironicamente il dolore della dama con la ripetizione (giorno… fero giorno), la presenza dell’esclamazione e l’aggettivazione esagerata, iperbolica: fero è aggettivo tipico della tragedia e, collocato in un contesto tanto banale e irrisorio, produce un forte effetto di satira.

La presentazione del ricordo dal punto di vista della Dama introduce la cagnetta con tratti tipici delle divinità antiche; ciò dà la prospettiva distorta dell’aristocrazia degenerata, connotando ironicamente il racconto dell’episodio.

… Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l’eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
Lo scompigliato pelo, e da le vaghe
nari soffiò la polvere rodente.

Si noti la presenza di aggettivi antitetici: il piede villan del servo e il dente d’avorio (eburneo) della cagnetta a indicare una marcata disproporzione tra la nobiltà dell’animale e la bassezza del servo.

Nei versi dedicati alla reazione della cagnetta la ripetizione del tre (numero sacro per eccellenza) tende a conferire un tono epico all’episodio. La disproporzione tra questo tono e l’argomento produce, come spesso accade in Parini, una forte ironia. Il dolore della cagnetta occupa diversi versi, probabilmente perché è narrato dal punto di vista della dama, che accentua le sofferenze della vergine cuccia.

Indi i gemiti alzando: aita aita
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l’impietosita Eco rispose:
e dall’infime chiostre i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide tremanti
precipitàro …

L’accorrere dei servi e delle damigelle, seguito dallo svenimento della dama, accresce il pathos della narrazione. Si notino i movimenti verticali che coinvolgono tutti gli ambienti del palazzo: i servi salgono dalle cantine, le damigelle si precipitano dalle soffitte.

… Accorse ognuno; il volto
fu d’essenze spruzzato a la tua Dama;
ella rinvenne al fine: Ira e Dolore
l’agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
vergine cuccia de le grazie alunna.

Il verso si ripete esattamente a breve distanza secondo uno stilema tipico dell’epica e che, quindi, tende a innalzare la vicenda narrata collocandola sul piano eroico. Si tratta però di uno stratagemma con il quale Parini rivela la comicità dell’evento, facendo scaturire un forte senso di ironia.

Nella successiva terza parte del brano la sintassi cambia notevolmente: le proposizioni si fanno più brevi, producendo un ritmo più intenso e febbrile alle vicende. Tutto sembra infatti accadere precipitosamente e, nel giro di pochi versi, il servo viene spogliato della sua divisa e della sua dignità e costretto a fare la fame. Il giudizio della dama è dunque una vera e propria condanna a morte. In questi versi il punto di vista narrativo e i criteri di valore non sono più quelli della Dama, ma più o meno esplicitamente quelli dell’autore.

L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d’arcani uficj. Ei nudo andonne
de le assise spogliato onde pur dianzi
era insigne alla plebe: e in van novello
Signor sperò; ché le pietose dame
inorridìro, e del misfatto atroce
odiàr l’autore. Il perfido si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato su la via spargendo
al passeggero inutile lamento:

Giunto alla conclusione del brano, il lettore si trova di fronte a un vero e proprio ribaltamento della situazione iniziale. Il vegetariano infatti accusava la vana uccisione degli animali per sfamare l’uomo; alla fine, il servo è l’emblema dell’uomo sacrificato per placare la vendetta di un animale. L’ironia sottile e il giudizio irrisorio di Parini sono dunque diventati satira aperta e chiara manifestazione delle storture della società contemporanea. I

e tu vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba.

In questi versi la cagnetta passa attraverso un vero e proprio processo di divinizzazione. Ella è infatti al pari di una divinità crudele (idol) la cui ira deve essere placata (placato) con un sacrificio umano.
n alcuni versi l’ironia — pur se sarcasticamente amara — scompare per lasciare spazio allo sdegno umanitario di Parini: attraverso la distorsione della prospettiva della Dama, che divinizza un animale e condanna alla miseria il servo, il poeta denuncia le conseguenze assurde di una visione della società che non riconosce l’uguaglianza tra gli uomini.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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