La vita fugge e non si arresta una hora

L’ossessione del tempo

Luca Pirola
4 min readJan 18, 2022

L’idea della fuga inarrestabile del tempo è ossessivamente presente nella psicologia e nell’opera di Petrarca; in questo sonetto è il punto di partenza per una meditazione che coinvolge tutta l’esistenza.

In questo sonetto la comparsa della donna è solo accennata a conclusione di una meditazione sul tempo che consuma la vita. Poiché Laura è morta, Petrarca ha perso la sua guida; la donna, che faceva da punto di riferimento durante la navigazione, si è ora spenta: poiché Laura non vive più, Petrarca non trova alcun interesse nella vita e desidera morire.

Metro: sonetto. Rime: ABBA, ABBA, CDE, CDE.

La vita fugge, et non s’arresta una hora
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi danno guerra, et le future anchora;

Il poeta constata la brevità della vita umana, inseguita dalla morte come il cacciatore insegue la preda; si ritrae combattuto, ossessionato dalle cose presenti, cioè dalle vicende che sta vivendo, e dagli errori commessi nel passato; è angustiato sia dai ricordi sia dall’attesa di un futuro che gli fa paura. La lirica descrive la figura di un uomo incalzato dalla morte, assediato dai ricordi del passato e assediato dai timori per il futuro, incapace di pensare a una conclusione serena della vita, una volta perduti i lumi bei (v.14) che le davano un senso.

Il sonetto è inoltre organizzato attorno a coppie di concetti opposti: nei primi due versi, la vita e la morte (vv.1–2); poi il presente e il passato quindi l’attesa e il ricordo (e ’l rimembrare e l’aspettar m’accora, v.5).

e ’l rimembrare et l’aspettar m’accòra,
or quinci or quindi, sì che ’n veritate,
se non ch’i’ò di me stesso pietate,
i’ sarei già di questi pensier’ fora.

Il ricordo delle pene passate e ’ansia per il futuro portano l’io lirico al punto di pensare al suicidio, come esplicitamente espresso nei versi 7–8 (se non ch’i’ ho di me stesso pietate, / i’ sarei già di questi pensier’ fòra), in cui confessa che sarebbe già libero da queste angosce perché si sarebbe dato la morte, se non avesse avuto pietà di se stesso. L’angoscia in cui il pensiero della morte sprofonda Petrarca è poco giustificabile in un poeta cristiano, che dovrebbe vedere nella fine della vita terrena il passaggio desiderato all’eternità. In questa lirica mancano i buoni propositi di ravvedimento che Petrarca ha riposto nel futuro, infatti trova spazio solo un’inquietudine nevrotica.

Il tema dello scorrere inesorabile del tempo trova espressione nella prevalenza della coordinazione sulla subordinazione. Il componimento è infatti costruito per accumulo di frasi legate per polisindeto dalla congiunzione “e”. Petrarca sembra voler trasmettere al lettore, attraverso questa struttura sintattica, la sensazione del rapido susseguirsi degli eventi e delle esperienze, che fuggono via come fugge la vita stessa. Stesso effetto produce l’anafora di or … or al v.6, che scandisce il ritmo martellante di ciò che ingenera nel poeta angoscia e tormento.

Tornami avanti, s’alcun dolce mai
ebbe ’l cor tristo; et poi da l’altra parte
veggio al mio navigar turbati i venti;

L’io lirico ritorna a ripensare al passato, e si domanda se mai il suo cuore ha avuto una briciola di dolcezza (alcun dolce, v.9), poi guarda al futuro (da l’altra parte, v.10) e vede davanti a sé mari agitati che sono simbolo di un mortale smarrimento, di una crisi morale.

Il ricordo del passato coincide con la rievocazione dei momenti dolci che non di sono più e il futuro è sentito carico di incertezze e minacce, senza speranza di serenità o salvezza.

veggio fortuna in porto, et stanco omai
il mio nocchier, et rotte arbore et sarte,
e i lumi bei che mirar soglio, spenti.

L’ultima terzina riprende la metafora del navigare che chiude la strofa precedente precedente: il poeta si descrive come una nave alla deriva, priva di timone e di un faro che ne indirizzi la navigazione. La metafora riprende la struttura antitetica della prima quartina, infatti all’effimera dolcezza che il poeta in passato ha potuto provare si oppone la constatazione della fine a cui vanno incontro tutte le cose umane, individuando soprattutto tra queste gli occhi della donna amata (spenti, v.14), e la sua stessa vita (e nell’immagine della tempesta nel porto (v.12), si adombra probabilmente il timore di una fine traumatica, forse della dannazione post mortem).

In questa strofa il ritmo si fa più affannoso, grazie alle pause che precedono una nuova serie di et (vv. 12–13), inoltre l’inciso che mirar soglio (v.14) isola alla fine l’aggettivo spenti come una parola di una cupa, definitiva condanna.

--

--

Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

No responses yet