La vita, ingannevole sogno

Colli Euganei, 19 gennaio 1798

Luca Pirola
4 min readJan 3, 2023
Alexandre Hyacinthe Dunouy, A neoclassical landscape with a young woman running on a path

La lettera è scritta dopo aver compreso che l’amore provato per Teresa non ha possibilità di essere vissuto felicemente. Jacopo per consolarsi inizia a vagabondare nelle campagne dei Colli Euganei, dove la contemplazione del paesaggio gli ispira profonde riflessioni. La lettera, dunque, risulta divisa in due parti: nel primo paragrafo Jacopo riflette sull’assenza di ogni valore della vita umana. Nel secondo paragrafo Jacopo descrive il paesaggio alpino che il giorno precedente ha osservato durante una passeggiata.

19 gennaio 1798
Umana vita? sogno; ingannevole sogno al quale noi pur diam sì gran prezzo, siccome le donnicciuole ripongono la loro ventura nelle superstizioni e ne’ presagj! Bada; ciò cui tu stendi avidamente la mano è un’ombra forse, che mentre è a te cara, a tal altro è nojosa. Sta dunque tutta la mia felicità nella vota apparenza delle cose che ora m’attorniano; e s’io cerco alcun che di reale, o torno a ingannarmi, o spazio attonito e spaventato nel nulla! Io non lo so; ma, per me, temo che Natura abbia costituito la nostra specie quasi minimo anello passivo dell’incomprensibile suo sistema, dotandone di cotanto amor proprio, perché il sommo timore e la somma speranza creandoci nella immaginazione una infinita serie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre affannati di questa esistenza breve, dubbia, infelice. E mentre noi serviamo ciecamente al suo fine, essa ride del nostro orgoglio che ci fa reputare l’universo creato solo per noi, e noi soli degni e capaci di dar leggi al creato.

La vita è un sogno ingannevole, un insieme di illusioni, tuttavia necessarie alla maggioranza delle persone. Illudersi che la felicità sia raggiungibile, che i riti e la religione (superstizioni e presagi) possano aiutare, permette a certe donnicciuole di vivere in pace, di non disperare. L’inganno, tuttavia, non è possibile per Ortis, che riflettendo sulla delusione sentimentale ritiene la felicità una menzogna, perché viene riposta speranza in cose che sono solamente vote apparenze. L’illusione dell’amore fa credere agli uomini in una felicità che non esiste ed è solo lo specchio delle nostre aspettative, che non trovano riscontro nella realtà. Lo sconforto è tale che Jacopo ritiene l’uomo specie quasi minimo anello passivo in balia dell’incomprensibile suo sistema del Fato; l’uomo perciò è costretto a un’esistenza breve, dubbia, infelice.

Andava dianzi perdendomi per le campagne, inferrajuolato sino agli occhi, considerando lo squallore della terra tutta sepolta sotto le nevi, senza erba né fronda che mi attestasse le sue passate dovizie. Né potevano gli occhi miei lungamente fissarsi su le spalle de’ monti, il vertice de’ quali era immerso in una negra nube di gelida nebbia che piombava ad accrescere il lutto dell’aere freddo ed ottenebrato. E parevami vedere quelle nevi disciogliersi e precipitare a torrenti che innondavano il piano, trascinandosi impetuosamente piante, armenti, capanne, e sterminando in un giorno le fatiche di tanti anni, e le speranze di tante famiglie.

La descrizione rispecchia il rapporto conflittuale tra Natura e uomo: le nevi, sciogliendosi e precipitando a torrenti, inondano tutto, distruggendo ogni opera dell’uomo.

Trapelava di quando in quando un raggio di Sole, il quale quantunque restasse poi soverchiato dalla caligine, lasciava pur divedere che sua mercé soltanto il mondo non era dominato da una perpetua notte profonda. Ed io rivolgendomi a quella parte di cielo che albeggiando manteneva ancora le tracce del suo splendore: — O Sole, diss’io, tutto cangia quaggiù! E verrà giorno che Dio ritirerà il suo sguardo da te, e tu pure sarai trasformato; né più allora le nubi corteggeranno i tuoi raggi cadenti; né più l’alba inghirlandata di celesti rose verrà cinta di un tuo raggio su l’oriente ad annunziar che tu sorgi. Godi intanto della tua carriera, che sarà forse affannosa, e simile a questa dell’uomo; tu ‘l vedi; l’uomo non gode de’ suoi giorni; e se talvolta gli è dato di passeggiare per li fiorenti prati d’Aprile, dee pur sempre temere l’infocato aere dell’estate, e il ghiaccio mortale del verno.

Lo sguardo di Jacopo si dirige verso un sole offuscato dalle nubi. a cui il giovane preannuncia il futuro spegnimento della stella (E verrà il giorno che Dio ritirerà il suo sguardo da te). L’affermazione sottolinea il parallelismo tra la vita dell’uomo e quella del Sole: come l’uomo sembra governare sugli animali, così il Sole vigila su tutti gli esseri terrestri; ma in realtà entrambi sono sottoposti al rigido ordine della Natura, non hanno libertà d’azione e sono destinati a dissolversi senza lasciare traccia.
Foscolo sostiene un rigido materialismo e meccanicismo, l’uso della religione come strumento di inganno e potere, uno stato di natura di “guerra di tutti contro tutti” da cui l’uomo non è mai uscito, il continuo rivolgimento dei rapporti di potere, a opera dei capricci della fortuna. L’ammonimento al Sole serve a ricordare che anche i più grandi sono destinati a cadere.

Dal punto di vista stilistico e lessicale, la prosa di Foscolo risulta estremamente curata, ricercata, quasi “lirica”, e coperta da una patina arcaica. Numerosi sono i latinismi (aere, verno, dee (per “deve”)) e i termini aulici (dianzi, ottenebrato, soverchiato), così come le inversioni sintattiche (“umana vita”, “pur diam sì gran prezzo”) e le strutture che richiamano la grammatica latina (“sua mercé soltanto”, un ablativo assoluto).

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