Lasciatemi divertire

La poesia è come un gioco

Luca Pirola
5 min readNov 20, 2020

La poesia è uno dei componimenti poetici più noti di Aldo Palazzeschi, presente nella prima edizione della raccolta L’Incendiario(1910).

Il poeta si diverte a scrivere parole senza “nesso”. Contemporaneamente il pubblico, scandalizzato di fronte a questi versi, chiede una spiegazione; l’autore risponde di fare poesia con la “spazzatura” delle altre poesie, cioé con i temi rifiutati dalla tradizione leteraria. In questa lirica si riafferma l’idea del poeta-intrattenitore e della poesia come divertimento («il poeta di diverte, / pazzamente / smisuratamente», vv. 1–3) con l’obiettivo — aderente al modello futurista — di scardinare la tradizione poetica e di offrire una poesia che altro non è che «spazzatura / delle altre poesie» (vv. 28–29), perché «i tempi sono cambiati, / gli uomini non domandano più nulla / dai poeti» (vv. 93–95). Dunque, ciò che spinge Palazzeschi a scrivere è solo la ricerca del piacere personale, come esplicita l’ultimo verso della canzonetta: E lasciatemi divertire!

Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi.

Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.

Con l’incipit, che mette in ridicolo l’uso dell’onomatopea — proseguendo poi lungo tutta la lirica — il poeta propone un tipo di poesia di puro divertimento , fatto di semplici accostamenti e suoni verbali apparentemente privi di qualsiasi significato. Successivamente nella seconda strofa, Palazzeschi riporta le voci del pubblico che finge indulgenza nei suoi confronti, ma che in realtà lo ritiene un «poveretto» e, più avanti, un «fesso».

Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione.

I personaggi anonimi rappresentano il lettore medio dell’epoca, tradizionale e conformista. Queste voci sono a volte isolate, a volte mescolate tra loro: ruoli e punti di vista s’intrecciano bizzarramente. In sottofondo, una divertita girandola di fonemi propone una specie di commento canoro e musicale a queste battute di dialogo.

Farafarafarafa,
tarataratarata,
paraparaparapa,
laralaralarala!

Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie.

Bubububu,
fufufufu,
Friu!
Friu!

Ma se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?

Bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù.
U.

Non è vero che non voglion dire,
vogliono dire qualcosa.
Voglion dire…
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.

La sintassi è quella tipica del linguaggio parlato (come quando uno si mette a cantare…; che ci son professori…): si spiegano così i rapidi passaggi dalla terza persona singolare (il poeta si diverte) alla terza persona plurale (Cosa sono queste indecenze?; Sono la mia passione), fino al voi del verso sembra ormai che scriviate in giapponese.

Aaaaa!
Eeeee!
Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!

Ma giovinotto,
ditemi un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tenere alimentato
un sì gran foco?

A questo punto, nel pubblico sorge il dubbio che quella di Palazzeschi, in realtà, sia solamente «una posa» — che egli abbia cioè del poeta solamente l’atteggiamento, ma non la vocazione — e gli viene fatto notare che «con così poco» non si può alimentare il «gran foco» della poesia.

Huisc… Huisc…
Huisciu… sciu sciu,
Sciukoku… Koku koku,
Sciu
ko
ku.

Ma come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.

Il pubblico — di fronte all’incomprensibilità dei versi — accusa il poeta di sopravvalutare il pubblico se pensa che possa dare un senso a ciò che lui scrive e che, ormai, sembra «giapponese». Il riferimento alla lingua orientale ed esotica il pubblico afferma che i versi di Palazzeschi sono incomprensibili, privi di senso, all’opposto di ciò a cui il pubblico è abituato.

Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.

Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi è bene che non la finisca.
Il divertimento gli costerà caro:
gli daranno del somaro.

Di fronte ai nonsense del poeta, il pubblico si arrende polemicamente. La concessione falsamente comprensiva alla libertà del poeta di esprimersi come preferisce si qualifica come ipocrisia, perché contemporaneamente al bonario Lasciate pure crescono gli insulti e gli attacchi contro il poeta.

Labala
Falala
falala
appoi lala.
Lalala, lalala.

Certo è un azzardo un po’ forte,
scrivere delle cose così,
che ci son professori oggidì,
a tutte le porte.
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!

Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire!

Palazzeschi conosce i rischi di ciò che fa, soprattutto perché ovunque «ci son professori», cioè gli accademici, i difensori della tradizione e della poesia istituzionale. Nonostante questo, però, egli sa che la poesia ha perso qualsiasi funzione («gli uomini non domandano più nulla / dai poeti»), perciò tanto vale “lasciar divertire” il poeta. L’uso di materiale “povero” come semplici sillabe e vocali vuole, infatti, essere una sfida al mondo rispettabile che ora sta ascoltando completamente sbigottito. Eppure non è così strano fare poesie così inconcludenti, perché comunque gli uomini non si aspettano più niente dai poeti.

La rivendicazione dell’arte quale divertimento coincide con la funzione liberatrice del piacere e del gioco. Dietro l’insensatezza di suoni emessi a caso si manifesta la volontà di dissacrare il linguaggio ufficiale, vale a dire la cultura borghese che reprime il mondo degli adulti in comporamenti ipocriti e formali. Di contro, la poesia deve adottare un linguaggio alternativo, fondato sull’autenticità originaria della dimensione infantile e sul principio del piacere.

Dunque divertirsi, per Palazzeschi, significa giocare con le forme della tradizione letteraria e con le stesse parole, ridotte a suono elementare, a sberleffo. Al pubblico borghese, che protesta contro le indecenze e le strofe bisbetiche della sua poesia, il poeta oppone la libertà di fare ciò che più gli aggrada, persino la libertà di riutilizzare la roba avanzata, la spazzatura delle altre poesie.

L’impertinente filastrocca prende di mira i benpensanti, i professori, chi ancora identifica la poesia in un gran foco divino, o la ritiene portatrice di valori e di significati. L’assenza di un ordine logico e sintattico sottintende il desiderio dell’autore di regredire a un linguaggio pre-razionale. Infatti E lasciatemi divertire! ha il ritmo di filastrocche infantili, con i suoi versi brevi e brevissimi, spesso in rima baciata, e con le sue frequenti e comiche onomatopee. Siamo all’opposto dello stile prestigioso dannunziano, attento alla forma e alle sue raffinatezze sublimi.

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Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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