Le chanson de geste: il ciclo carolingio
Le origini dell’epica cavalleresca
L’epica medievale
La narrazione epica nel Meiodevo si sviluppò con l’affermazione dei volgari nazionali. Destinata agli aristocratici delle corti feudali (ma i giullari divulgarono questo genere anche tra i ceti popolari), celebrava le imprese di eroi leggendari e cavalieri che agiscono in uno spazio astorico, presentano una psicologiaelementare, vivono passioni primordiali, senza dubbi o incertezze, e sono quasi sempre destinati alla morte. Nell’epica medioevale ritro- viamo la struttura e le tecniche narrative dell’epica classica: recitazione accompagnata da musica, narratore onnisciente, sintassi paratattica e stile formulare per agevolarela diffusione orale.
L’epica si diffuse, in modo particolare, in Francia, in Spagna, in Germania.
• Le chansons de geste (XI secolo), in volgare d’oïl, nella Francia settentrionale, esaltarono le origini della monarchia carolingia e le gesta dei suoi leggendari eroi cristiani (Canzone di Orlando), che tra l’VIII e il IX secolo combatterono contro i saraceni; gli eventi storici sono idealizzati e i protagonisti, esempi di coraggio e virtù, esprimono i valori della nobiltà feudale.
• Nell’Italia settentrionale il modello carolingio delle chansons ispirò i poemi della letteratura franco-veneta, che comprende poemi, spesso anonimi,destinati a un pubblico popolare ma anche borghese.
• I cantares, in Spagna, in lingua castigliana, narrarono lo scontro tra civiltà cristiana e arabo-musulmana (Poema del mio Cid), con una visione della realtà meno idealizzata di quella delle chansons de geste; rappresentano un importante documento della società feudale spagnola impegnata a con-trastare l’espansionismo arabo.
• I poemi dell’area anglosassone-germanica rinnovarono narrazioni nordiche (Beowulf, Canzone dei Nibelunghi) tramandate da poeti girovaghi (i bardi celtici, gli scaldi scandinavi ecc.); nelle vicende narrate si mescolavano credenze popolari e riti religiosi.
Gli ideali dell’epica medievale
Con l’affermarsi delle lingue volgari nazionali e di una classe nobiliare più salda nei suoi privilegi e più evoluta culturalmente, si crearono le condizioni, nelle corti feudali, per la fioritura di un nuovo epos, che fondeva i più alti valori umani dell’età classica greco-romana con la visione cristiana dell’esistenza e con la remota tradizione barbarica. I personaggi epici:
• agiscono in un tempo astorico e in uno spazio mitico;
• presentano una psicologia elementare;
• vivono passioni primordiali e agiscono senza dubbi e incertezze;
• sono quasi sempre destinati alla morte, che conferisce loro una dimensione sovrumana, un sacro alone di gloria.
Le canzoni di gesta (chansons de geste, XI secolo) francesi e i cantari spagnoli (XII secolo) rivisitarono in chiave leggendaria eventi storici, come le guerre di religione contro gli arabi insediati in Spagna, allo scopo di celebrare gli ideali della civiltà cristiana contrapposti ai valori di quella musulmana.
L’epica germanica (IX-XIII secolo) fuse gli ideali eroici di un popolo di guerrieri con elementi magico-favolistici (anelli fatati, draghi) e miti religiosi nordici (Odino, Thor, le Valchirie).
Lo stile epico
Nell’epica medioevale ritroviamo la struttura e le tecniche narrative dell’epica omerica:
• la recitazione è accompagnata dalla musica (i termini “chanson” e “cantare” significano “canzone”) e il ritmo del testo è lento ecadenzato;
• il narratore esterno è onnisciente, conosce gli stati d’animo e i pensieri dei protagonisti, e alterna la narrazione dei fatti ai dialoghidei personaggi;
• la sintassi è prevalentemente coordinata, semplice e lineare;
• la recitazione a memoria dei giullari e la diffusione orale sono facilitate da numerose espressioni formulari (modi di dire fissi), da ripetuti epiteti (dal greco epìtheton, “pongo sopra”), cioè aggettivi collocati vicino ai nomi comuni per qualificarli (alti i monti… gli alberi son alti) o ai nomi propri per segnalare una qualità del personaggio (Carlo Magno è grande e potente) e da frequenti similitudini (Come pantere selvagge corsero nelpiano. Ma accanto alla sorgente fu visto prima Sigfrido).
Il ciclo carolingio
Il ciclo carolingio canta le gesta guerresche contro i saraceni, compiute tra l’VIII e il IX secolo da Carlo Magno e dai suoi paladini (dal latino comes palatinus, “compagno del palazzo imperiale”). In queste opere gli eventi storici sono idealizzati e i protagonisti, esempi di coraggio e di virtù, esprimono i valori della nobiltà feudale. Il capolavoro delgenere è la Canzone di Orlando, composta intorno al 1140, che narra le gesta del paladino Orlando, valoroso guerriero e martire della fede, morto nella battaglia di Roncisvalle permano dei mori.
La Chanson de Roland
Il protagonista è il paladino Rolando che, in nome della fedeltà a Carlo e ai suoi valori cristiani, si sacrifica con un manipolo di soldati per bloccare a Roncisvalle, sui Pirenei, gli Arabi e salvare così l’esercito franco.
I fatti storici — ormai accertati con sicurezza — sono meno epici: nel 778 la retroguardia dell’esercito di Carlo, che ritornava da una razzia contro alcune città spagnole, mentre passava i Pirenei fu attaccata e distrutta da popolazioni basche che vivevano nelle regioni di montagna. Nell’imboscata morirono Rolando e alcuni esponenti della nobiltà franca.
La rielaborazione letteraria trasfigura completamente l’episodio e ne fa un momento simbolico dello scontro tra cristiani e “infedeli”.
Sul piano formale, la chanson de Roland è un componimento in versi (prevalentemente decasillabi), organizzati in strofe di misura variabile, dette lasse, che si distinguono l’una dall’altra in base all’assonanza. la lunghezza variabile delle lasse è funzionale a una narrazione estesa come quella epica, infatti ogni lassa rappresenta un’unità narrativa chiusa, che si lega per giustapposizione o per opposizione a quelle che precedono o seguono. L’intento è quello di sottolineare l’importanza dell’evento narrato imprimendolo nella memoria collettiva con un ritmo e un’intensità crescente.
anche lo stile formulare, con la ripetizione di formule ed epiteti che accompagnano l’ingresso in scena dei personaggi, intende facilitare l’esecuzione del testo fatta dal giullare e la sua memorizzazione da parte del pubblico.
Rolando suona l’olifante
Dopo aver tentato disperatamente di resistere all’assalto dei saraceni del re Marsilio, Rolando si decide finalmente a chiedere aiuto al re Carlo, ormai lontano, oltre il passo di Roncisvalle, suonando il corno olifante. Il cognato e amico Oliviero lo rimprovera aspramente perché avrebbe dovuto farlo prima, mentre adesso è troppo tardi.
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Dei suoi la strage il conte Rolando vede,
e si rivolge al compagno Oliviero:
“Signor compagno, per Dio, che ve ne sembra?
Vedete tanti prodi giacer per terra!
Possiamo piangere la Francia dolce e bella,
or che di tali baroni resta vedova!
Ahimé, re, amico, perché voi qui non siete?
Che si piò fare, Oliviero, fratello?
In quale modo avvisarlo potremo?”
Disse Oliviero: “Io non so in che maniera.
Meglio che infamia la morte voglio averne”.128
Rolando disse: “Suonerò l’olifante.
Carlo l’udrà, che sta passando i valichi:
io ve lo giuro che torneranno i Franchi”.
Disse Oliviero: “Una vergogna grande
sarebbe ai vostri parenti tutti quanti:
fino a che vivano, ne avrebbero l’infamia!
Quand’io lo dissi, nulla voleste farne;
col mio consenso non lo farete ormai!
Se voi suonate, non sarà più da bravo;
e avete entrambe le braccia sanguinanti!”
Risponde il conte: “Colpi gagliardi ho dati!”129
Rolando disse: “É dura la battaglia!
Io suonerò: così l’udrà re Carlo”.
Disse Oliviero: “Non sarebbe da bravo!
Quand’io lo dissi, compagno, rifiutaste.
Se il re qui fosse, non avremmo danno.
Quelli di là, non debbono aver biasimo”.
Disse Oliviero: “Ora per la mia barba,
se mia sorella Alda rivedrò mai,
voi non potrete giacer fra le sue braccia!”
L’ira di Oliviero è espressa con parole amare, che si articolano in un desiderio irrealizzabile e in una minaccia. Oliviero incolpa Rolando di superbia, che lui definisce pazzia: per il suo insano desiderio di mostrare il suo valore, ROlando ha causato la morte di tanti guerrieri franchi, la sconfitta dell’esercito e la perdita per re Carlo di valorosi guerrieri. Il lamento non si focalizza sulla morte — in ogni caso gloriosa — ma sul danno arrecato all’esercito di Carlo, che esce indebolito da questo episodio, pur se valoroso.
In questa lassa si rileva lo stile formulare nella ripetizione del Disse Oliviero, che evidenzia il soggetto che esprime le parole riportate dal giulalre.
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Rolando disse: “Perché avete quest’ira?”
Quello risponde: “Voi non ne deste il motivo:
valor con senno non è certo follia,
e la misura val più della stoltizia.
Son morti i Franchi per la vostra pazzia.
Noi non potremo Carlo mai più servire.
Se aveste udito, il re sarebbe qui:
questa battaglia ormai l’avremmo vinta,
e preso o morto sarebbe il re Marsilio.
Fu mal vedere la nostra valentia!
Ora al re Carlo non saremo d’ausilio,
all’uom più grande fino al dì del Giudizio.
Morrete, e avrà la Francia l’ignonimia.
Oggi finisce la nostra compagnia:
prima del vespro sarà triste il dividerci”.
La conclusione del discorso di Oliviero tocca accenti di amicizia e dolore per la perdita del compagno d’armi.
Dal punto di vista stilistico si può evidenziare come le frasi siano molto brevi, lapidarie, spesso corrispondenti a un solo verso; i periodi più complessi sono costituiti da coordinate che evidenziano ancora di più lo stile lapidario degno dei nobili guerrieri, non usi alle sottigliezze del ragionamento sottile. Si noti infine come i paladini si rivolgano tra loro con il voi di cortesia, tipico del mondo cavalleresco feudale.
Olivieri e Rolando rappresentano due modelli complementari di cavaliere: il primo è un uomo saggio ed equilibrato, capace di valutare la situazione con lungimiranza, considerando anche eventualità alternative. Rolando è prode, coraggioso e sprezzante del pericolo, ma eccede in queste sue caratteristiche portando sé e i suoi compagni alla morte. Egli è pienamente guerriero, non calcola le opportunità, ma è teso alla lotta per difendere la fede cristiana, la patria, il re e il proprio onore. La mancanza di riflessione di Rolando è evidente quando chiede un consiglio a Olivieri sull’opportunità di suona il corno: egli non si ricorda della discussione precedente — opportunamente ricordata da Olivieri — perché è concentrato solo sul presente.
Olivieri esprime la pienezza dell’ideale cavalleresco, che unisce coraggio e saggezza, nei versi valor con senno non è certo follia, / e la misura val più della stoltizia.
Gano di Maganza, patrigno di Rolando, che ha causato l’agguato nel quale il figliastro si trova, cerca di far credere al re che i lsuono dell’olifante non sia un segnale d’aiuto, per indurlo a non intervenire in soccorso dei paladini. Namo di Baviera, vecchio e saggio consigliere di Carlo, mette in guardia l’imperatore contro il malizioso traditore.
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Il conte Rolando ora ha la bocca piena
tutta di sangue e schiantate le tempie;
e l’olifante suona con grande pena.
L’ode re Carlo e i Francesi lo sentono.
Disse il sovrano: “Quel corno a lungo geme!”
Risponde Namo: “Fa sforzo il prode certo!”
C’è una battaglia, per quello ch’io ne penso.
Chi vi trattiene, gli ha fatto tradimento.
Vestite l’armi: s’alzi il grido di guerra,
e i vostri nobili compagni soccorrete!
Udite bene che Rolando si dispera!”.135
L’imperator fa suonare i suoi corni.
Scendon di sella i Francesi, ed indossano
usberghi ed elmi e spade ornate d’oro.
Han begli scudi e spiedi grandi e forti,
bianchi e vermigli e azzurri gonfaloni.
Tutti i baroni sopra i destrieri montano,
per tutti i valichi spronano a gran forza,
e l’uno e all’altro parlano in questo modo:
“Se mai vedessimo Rolando ancor non morto,
insiem con lui ne daremmo di colpi!”
Però a che vale? Ritardato han troppo.
I guerrieri franchi sono più simili a Rolando che a Olivieri, infatti pregustano l’occasione di dare colpi al nemico, tutti tesi a compiere il proprio dovere militare e a mostrare il loro valore; il ruolo di saggio consigliere è assunto da Namo di Baviera, che suggerisce a Carlo l’interpretazione corretta del suono lontano del corno.
Nella descrizione delle armi indossate dai cavalieri si nota il registro alto dell’epica cavalleresca: usberghi, spiedi, gonfaloni sono termini del lessico elevato tipico dei poemi del ciclo carolingio.