Le lingue romanze e le prime opere in volgare
Alle origini della cultura e della letteratura medievale
Il Medioevo è un periodo complesso che difficilmente può essere ridotto a pochi caratteri generali. Di certo, se si considerano tutti i dieci secoli che tradizionalmente sono indicati come Medioevo, si può riconoscere una continuità culturale che caratterizza il periodo: la concezione religiosa di ogni aspetto dell’esistenza. Il mondo terreno per l’uomo medievale è imitazione di un ordine celeste, che rappresenta il suo modello di perfezione. Tale concezione fa sì che la vita nel Medioevo è concepita come un percorso temporaneo, finalizzato all’incontro con il Creatore. Ogni aspetto della società medievale, dunque, è interpretato in chiave religiosa: il potere è giustificato in quanto conferito da Dio al Papa, all’Imperatore o ai re. Il privilegio dell’aristocrazia terriera deriva da un’ordine divino della società, in cui ogni individuo ha un ruolo ben preciso a lui assegnato. La morale, la distinzione dei concetti di Bene e Male, è determinata dalla rispondenza delle azioni e dei pensieri alla volontà divina. Il presente dell’uomo medievale è insignificante, se non per le conseguenze che ciò che vive in ogni istante potrà avere sul suo destino ultraterreno.
I centri di cultura
Nei secoli dell’Alto Medioevo la cultura latina e la civiltà germanica faticosamente — e spesso violentemente — cercano di trovare un equilibrio; il risultato del lungo processo di assimilazione reciproca porta alla nascita della cultura europea, che mantiene un contatto con il passato latino solo grazie all’opera di conservazione intellettuale operata dai monaci benedettini. I monasteri prima dell’XI secolo sono gli unici centri culturali rimasti, ciò condiziona fortemente la cultura, poiché i monasteri non sono centri di rielaborazione o produzione culturale, bensì di conservazione delle opere latine, selezionate secondo criteri di coerenza o di adattabilità al messaggio cristiano. Pertanto il pensiero classico è reinterpretato per dare un fondamento filosofico alla nuova religione, la conseguenza di ciò consiste nel mantenimento delle strutture grammaticali del latino e le figure retoriche, ma nel rifiuto dei contenuti ritenuti errati e peccaminosi. L’interpretazione religiosa della cultura è talmente profonda che il chierico (clericus, cioè l’uomo di Chiesa) è la sola figura intellettuale presente, tanto da diventare sinonimo di litteratus, uomo colto che sa (almeno) leggere e scrive. La condizione religiosa, quindi, si assimila sociale all’attività intellettuale stessa. La stessa rinascita carolingia, l’ambiziosa opera di Carlo Magno di omologazione culturale del Sacro Romano Impero, è guidata dal monaco Alcuino di York; coloro che sono istruiti alla Schola Palatina o alle scuole vescovili sorte presso le poche città rimaste vitali, sono chierici destinati sia alla cura delle anime, sia all’amministrazione imperiale. Essi si esprimono in latino, che diventa la lingua di comunicazione continentale al di sopra delle parlate volgari che si vanno diffondendo tra la gente comune o gli illitterati.
Dopo l’Anno Mille le caratteristiche politico-sociale dell’Europa occidentale mutano: Espansione del sistema feudale: si afferma la cultura aristocratica, si assiste alla la rinascita economica e urbana; perdono di importanza le istituzioni universali contemporaneamente alla nascita dei particolarismi (comuni, monarchie nazionali). Le trasformazioni portano con sé le nuove esigenze culturali della nobiltà guerriera e della nascente borghesia mercantile, e consentono anche contatti più frequenti con le altre culture, in particolare quella araba, erede della tradizione filosofico-scientifica e tecnica dell’Ellenismo. Si assiste quindi alla riorganizzazione del sistema scolastico per preparare alle esigenze del mondo più complesso: istruzione è sempre monopolizzata dalla Chiesa, ma le scuole hanno una maggiore diffusione estendendo la competenza di lettura, scrittura e analisi critica anche ai laici.
I burgenses, infatti, hanno l’esigenza di saper leggere e scrivere per condurre le proprie attività mercantili o artigianali, perciò mandano i figli alle scuole vescovili con la finalità di acquisire una conoscenza pratica, da spendere nel mondo presente, non solo dedita allo studio delle Sacre Scritture. Di fronte alla domanda, nascono le scuole urbane gestite da corporazioni di insegnanti o da associazioni di studenti che, sul modello delle associazioni di mestiere, forniscono un servizio nelle città sempre più vivaci. Le prime università europee — la Sorbona a Parigi e lo studio di Bologna — sono fondate proprio con questo intento.
Il corso di studi è organizzato in: Trivio (grammatica, logica e retorica) e Quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia); la sintesi di ogni sapere è rappresentato dalla Teologia.
La maggiore frequenza dei commerci continentali e l’aumento degli scambi permette spostamenti culturali: gli studenti — non avendo problemi linguistici, poiché il latino è lingua franca della cultura — si spostano presso le università e le scuole che rispondono meglio alle loro esigenze. I clerici vagantes sono tra i protagonisti della diffusione della cultura in tutto il continente europeo.
Le auctoritates
I cambiamenti determinano una rottura netta con la cultura monastica dell’Alto Medioevo? No di certo, l’impostazione rimane la medesima; ciò è soprattutto evidente dal persistere del concetto di auctoritas. La cultura è concepita in modo rigidamente gerarchico: la Verità è declamata dalle Sacre Scritture che — in quanto Parola di Dio — rappresentano la vetta del sapere donato all’uomo. Dalla Bibbia derivano tutti gli altri saperi, perciò nulla può contraddire la Verità rivelata; se l’esperienza quotidiana evidenzia delle incoerenza con il dettato biblico, l’esperienza è ingannevole. Gli autori che sono considerati ispirati dalle Sacre Scritture sono indiscutibili nelle loro affermazioni, in ogni campo dello scibile umano: scienza, medicina, arte, letteratura.
Le corti feudali
Accanto alla cultura ufficiale a partire dal XII secolo si formano altri centri culturali: le corti feudali. I grandi signori, pur rimanendo spesso guerrieri e proprietari terrieri, trovano lustro nel proteggere e mantenere presso le loro residenze artisti e poeti. Tale fenomeno si afferma più che altrove nella Francia orientale e meridionale, dove i feudatari provenzali e della Champagne rappresentano un modello sociale dominante.
Le corti dei signori feudali sono importanti centri di produzione letteraria di svago, quindi volgare, nel senso che si esprime nella lingua parlata dagli illitterati e non in latino. Le opere prodotte in questo contesto rispecchiano l’etica militare e diffondono l’ideale della cavalleria, fondato sulla virtù del coraggio e della dedizione ai deboli.
I temi della letteratura volgare
La produzione letteraria laica si sviluppa prima che in ogni altra regione in Francia.
Tra i secoli XI e XII nella Francia settentrionale, invece, appaiono le canzoni di gesta, poemi ad opera di chierici e giullari in lingua d’oil, l’antico francese. Le canzoni di gesta (chansons de geste) si suddividono in due cicli tematici: il Ciclo carolingio, che narra di fatti storici reinterpretati in chiave leggendaria; i protagonisti sono Carlo Magno e i suoi paladini, che combattono per difendere la fede cristiana, per il re e per dimostrare il proprio valore militare contro gli infedeli.
Il Ciclo bretone invece si occupa delle storie dei cavalieri di re Artù, i quali compiono imprese eroiche durante la queste (ricerca) della donna amata o del sacro graal. I valori espressi dai poemi del ciclo bretone sono l’eroismo individuale, l’aiuto ai deboli e la fedeltà feudale.
In Provenza tra i secolo XII e XIII si afferma l’opera dei trovatori, poeti professionisti che sono ospitati nelle corti nobiliari. I trovatori (il cui nome significa letteralmente “compositori” dal verbo tropar) scrivono in provenzale o lingua d’oc, sviluppando la tematica dell’amore cortese. Il sentimento ha come scopo il conseguimento del favore della donna amata, che è sempre di rango sociale superiore ed è esempio di bellezza e virtù.
Dalla donna deriva la gioia, cioè la massima felicità, e il vigore, energia vitale, infatti il sentimento è fonte di ogni bene, perciò l’amore è un percorso di educazione interiore.
I valori alla base della concezione cortese sono la liberalità, cioè la generosità nel donare; la misura, ossia l’autocontrollo e la nobiltà, cioè la somma di ogni perfezione.
Le lingue romanze
Il latino, dunque, rimane la lingua della cultura ufficiale, parlata e scritta dagli intellettuali e usata per i documenti delle cancellerie. La gente normale, ormai non più semplicemente illitterata parla — e sempre più spesso — scrive in volgare. Si crea un sistema linguistico articolata su due livelli, che porta a una varietà linguistica molto ricca.
Come si è arrivati alla differenziazione linguistica nell’ambito della cultura latina? Le lingue sono organismi viventi, mutevoli secondo l’uso e il luogo. Il latino classico, che durante le migrazioni germaniche (o invasioni barbariche, in relazione dal lato del limes in cui si vive) si è trovato a convivere con le parlate germaniche, in precedenza si era imposto sui linguaggi locali (celtico, ligure, greco, lusitano e così via. Questi ultimi idiomi, preesistenti all’affermazione del latino, si dicono lingue di substrato, le quali hanno influenzato il lessico e la sintassi latina della regione.
Successivamente le lingue germaniche si sono sovrapposte al latino, esercitando un’ulteriore influenza sul latino stesso; queste si dicono lingue di sostrato. Dato che il latino è divenuto lingua comune della cultura e della popolazione per l’assimilazione culturale avvenuta tra latini e germani, esso si è imposto subendo tuttavia delle variazioni locali dovute ai diversi substrati e sostrati linguistici. Da tale processo deriva la differenziazione linguistica delle lingue medievali.
Nelle regioni dell’antico Impero Romano si sono affermate delle lingue che derivano dal latino, differenziandosi sempre di più dall’origine.
Le lingue sorte dalle trasformazioni dal latino si dicono neolatine o romanze (da romanicus); esse costituiscono una delle grandi famiglie linguistiche europee insieme alle lingue germaniche, slave e ugro-finniche.
I primi documenti in volgare in Italia
In Italia l’affermazione di un volgare nella scrittura avviene in forte ritardo rispetto ad altre aree dell’Europa, a causa della mancanza di un potere politico unitario e dell’invasione di popoli esterni. Le prime testimonianze di scrittura volgare, inoltre, riguarda iscrizioni o documenti giuridici. La più antica testimonianza di testo in volgare è l’indovinello veronese che può esser fatto risalire alla fine dell’VIII secolo o all’inizio del IX.
Il testo nella versione originaria è scritto senza spazi tra una parola e l’altra, tuttavia la lettura più accreditata come fedele all’originale è la seguente:
Se pareba boves, alba pratalia araba,
et albo versorio teneba, et negro semen seminaba.
Gratiam tibi agimus omnipotens sempiterne Deus.
Il testo si compone di una dozzina di parole in una lingua mista di caratteri latini e volgari, seguite da una formula di ringraziamento a Dio in latino.
Gli elementi latini sono:
- la consonante finale in semen
- la conservazione della -b- negli imperfetti
- le radici delle parole vicine alla forma latina
Gli elementi che preannunciano il volgare sono:
- la caduta delle consonanti finali nella declinazione del verbo all’imperfetto
- il passaggio dalla ĭ rìtonica alla e (nigrum →negro)
- la trasformazione della desinenza -um dell’accusativo in -o (albo versorio)
- il sostantivo versorio al posto del termine classico aratrum
Il significato dell’indovinello rivela la natura colta dello scritto, infatti i buoi vanno interpretati come le dita dello scrivente, il prato bianco è il foglio, il bianco aratro è la penna, il seme nero è la traccia dell’inchiostro. Dunque l’indovinello allude all’atto della scrittura.
Del X secolo è il placito di Capua, un documento notarile in cui il giudice Arechisi riporta la testimonianza sulla proprietà di un terreno così come il testimone la pronuncia. Tutto l’atto è redatto in latino tranne questa breve frase, probabilmente per permettere ai presenti di comprendere la decisione finale che assegna al monastero di Montecassino la proprietà di un tereno conteso.
Sao ka kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte sancti Benedicti.
I residui latini nel testo sono:
- ko, che continua il latino quod per poi confluire nell’italiano che
- la locuzione parte sancti Benedicti che ricalca il costrutto pars + genitivo
Gli elementi volgari sono:
- l’uso di trenta al posto del latino triginta
- l’uso della conosnante k
- il pronome le al posto del latino illas.