Le smanie per la villeggiatura

La satira dei costumi borghesi

Luca Pirola
11 min readJan 23, 2021
Giandomenico Tiepolo, Minuetto in villa

La trilogia della villeggiatura, composta nel 1761, rappresenta un esemplare vicenda di dissipazione economica e sentimentale, i cui protagonisti sono ricchi borghesi.

“Ho concepito l’idea di tre commedie consecutive…: nella prima si vedono i pazzi preparativi, nella seconda la folle condotta, nella terza le conseguenze dolorose che ne provengono” (Carlo Goldoni, prefazione alla Trilogia della villeggiatura).

I personaggi di questa trilogia sono borghesi abbastanza benestanti, non lavorano, sono più che altro dediti a consolidare, attraverso le relazioni, la loro posizione sociale. Durante i frenetici preparativi per la villeggiatura la superficialità del personaggio di Giacinta, è evidente in tutto ciò che dice: la sua mente è occupata solo dall’obiettivo di apparire, quindi sono gli oggetti, i beni, i vestiti, il cibo a riempire i suoi discorsi.
Giacinta e l’amante Leonardo — che in queste scene non compare — rappresentano la meschinità della mentalità borghese provinciale alla ricerca di una propria identità sociale attraverso l’imitazione dei modi dell’aristocrazia. Tali caratteristiche emergono più chiaramente quando in contrapposizione ai giovani borghesi appaiono i servitori, dotati del buon senso di una classe popolare, capaci di riconoscere l’eccesso, l’inutilità di certi gesti, ma che di fronte ai capricci del padroni sono costretti a tacere.

Nella prima commedia (Le smanie per la villeggiatura) Filippo, con la figlia Giacinta, e Leonardo, con la sorella Vittoria, stanno per partire per la villeg- giatura, momento fondamentale nella vita borghese, dedicato al consolidamento della posizione sociale e delle relazioni che le sono annesse, nonché all’ostentazione delle possibilità economiche. Tutta la commedia si svolge durante gli interminabili preparativi della partenza. Per non sfigurare di fronte ai conoscenti Leonardo sembra non accorgersi dei debiti che contrae, l’importante è partire, ma la villeggiatura sembra continuamente compromessa da vari ostacoli: Leonardo, innamorato di Giacinta, pensa di partire nella carrozza con lei, ma Filippo, distrattamente, invita con loro il signor Guglielmo, altro innamorato di Giacinta; Vittoria si rifiuta di partire prima che sia pronto il suo nuovo abito. Il meccanismo su cui si regge la commedia è quello di ritardare continuamente la partenza, che infine avverrà solo dopo la firma di un contratto che vedrà Leonardo e Giacinta promessi sposi.

La seconda commedia (Le avventure della villeggiatura) si svolge tutta in villeggiatura, durante la quale Giacinta finisce di innamorarsi proprio di Gu- glielmo e, sorpresa troppo spesso in sua compagnia, è costretta a spacciare il suo amante per pretendente di Vittoria per giustificarsi e salvare le appa- renze. La promessa fatta a Leonardo vale più dell’autentico sentimento d’amore, perché alla parola data è legato l’onore e quindi l’immagine che si dà di sé agli altri.

Il terzo e ultimo atto della trilogia (Il ritorno dalla villeggiatura) porta a compimento il tracciato disegnato fin qui. La rassegnazione al grigiore di esistenze sacrificate al denaro e al prestigio e l’incombere inevitabile della miseria sono il punto di gravità cui tendeva la trilogia fin dall’inizio. Gli eventi, gli interessi economici e l’importanza data alla reputazione hanno portato alla nascita di coppie infelici: Leonardo e Giacinta, innamorata di un altro, sprovvista della cospicua dote in cui confidava il fidanzato e costretta alla partenza, Guglielmo e Vittoria, anch’essa consapevole che il suo sposo ama un’altra, Rosina con lo sciocco Tognino, e Ferdinando con la zia di Gia- cinta, anzi con la sua eredità.

Le smanie per la villeggiatura atto 2, scene 9 e 10

Nelle scene presentate Fulgenzio rivela all’amico Filippo che c’è un ammiratore segreto della figlia e che non sta bene che un uomo (Guglielmo), viaggi con lei nella stessa carrozza perché qualcuno potrebbe parlar male. Nonostante Filippo condivida le perplessità di Fulgenzio, Giacinta dialoga con il padre e alla fine riesce ad ottenere ciò che vuole.

Il video riproduce un’attualizzazione della commedia goldoniana, perciò la vicenda è ambientata negli anni Cinquanta del Novecento e Fulgenzio è trasformato in donna Fulgenzia. Il carattere dei personaggi e lo sviluppo della commedia, tuttavia, rimangono fedeli all’originale.

Atto 2, scene 9–11 dall’inizio fino a 58'33"

SCENA NONA
Filippo, poi Fulgenzio.

FULGENZIO: Buon giorno, signor Filippo.
FILIPPO: Riverisco il mio carissimo signor Fulgenzio. Che buon vento vi conduce da queste parti?
FULGENZIO: La buona amicizia, il desiderio di rivedervi prima che andiate in villa, e di potervi dare il buon viaggio.
FILIPPO: Son obbligato al vostro amore, alla vostra cordialità, e mi fareste una gran finezza, se vi compiaceste di venir con me.
FULGENZIO: No, caro amico, vi ringrazio. Sono stato in campagna alla raccolta del grano, ci sono stato alla semina, sono tornato per le biade minute, e ci anderò per il vino. Ma son solito di andar solo, e di starvi quanto esigono i miei interessi, e non più.
FILIPPO: Circa agl’interessi della campagna, poco più, poco meno, ci abbado anch’io, ma solo non ci posso stare. Amo la compagnia, ed ho piacere nel tempo medesimo di agire, e di divertirmi.

Qui possiamo estrarre due caratteri differenti: A Fulgenzio piace la solitudine e dice che era in campagna per il vino, il grano. Possiede terreni, ci va per la gestione delle sue proprietà e dunque sono soggiorni legati ad attività produttive. Filippo ha un’altra idea della villeggiatura: il divertimento.

I due personaggi esprimono due contrapposte concezioni della vita in villa: Fulgenzio ha un rapporto con la campagna tradizionale, proprio dei veneziani proprietari di fondi improntato alla produttività; al contrario Filippo concepisce diversamente la campagna, infatti segue poco il lavoro nei campi, ama i divertimenti, la compagnia, non bada a spese. La preoccupazione costante di Filippo è essere all’altezza di ciò che la piccola società borghese villeggiante si aspetta. A dominare è una vacua attesa di generiche e approssimative novità che regalino una fuga dalla quotidianità.
I borghesi desiderano mostrare la propria raffinatezza dimenticando i valori dell’etica del proprio ceto, fondata sulla dedizione al lavoro e alla famiglia.

FULGENZIO: Benissimo, ottimamente. Dee ciascuno operare secondo la sua inclinazione. Io amo star solo, ma non disapprovo chi ama la compagnia. Quando però la compagnia sia buona, sia conveniente, e non dia occasione al mondo di mormorare.
FILIPPO: Me lo dite in certa maniera, signor Fulgenzio, che pare abbiate intenzione di dare a me delle staffilate.
FULGENZIO: Caro amico, noi siamo amici da tanti anni. Sapete se vi ho sempre amato, se nelle occasioni vi ho dati dei segni di cordialità.
FILIPPO: Sì, me ne ricordo, e ve ne sarò grato fino ch’io viva. Quando ho avuto bisogno di denari, me ne avete sempre somministrato senz’alcuna difficoltà. Ve li ho per altro restituiti, e i mille scudi che l’altro giorno mi avete prestati, li avrete, come mi sono impegnato, da qui a tre mesi.
FULGENZIO: Di ciò son sicurissimo, e prestar mille scudi ad un galantuomo, io lo calcolo un servizio da nulla. Ma permettetemi che io vi dica un’osservazione che ho fatta. Io veggo che voi venite a domandarmi denaro in prestito quasi ogni anno, quando siete vicino alla villeggiatura. Segno evidente che la villeggiatura v’incomoda; ed è un peccato che un galantuomo, un benestante come voi siete, che ha il suo bisogno per il suo mantenimento, s’incomodi e domandi denari in prestito per ispenderli malamente. Sì, signore, per ispenderli malamente, perché le persone medesime che vengono a mangiare il vostro, sono le prime a dir male di voi, e fra quelli che voi trattate amorosamente, vi è qualcheduno che pregiudica al vostro decoro ed alla vostra riputazione.

Fulgenzio, pur con un atteggiamento a volte rigorista e moraleggiante, si dimostra essere amico di Filippo. Egli è caratterizzato da una notevole e persuasiva parlantina e da ottimi argomenti riesce sempre ad adulare le persone, esprimendo sinceramente la propria opinione e consigliando per il bene dell’interlocutore. Durante la commedia appare come figura saggia ed è l’unico personaggio sensato e ragionevole dell’opera.

FILIPPO: Cospetto! voi mi mettete in un’agitazione grandissima. Rispetto allo spendere qualche cosa di più, e farmi mangiare il mio malamente, ve l’accordo, è vero, ma sono avvezzato così, e finalmente non ho che una sola figlia. Posso darle una buona dote, e mi resta da viver bene fino ch’io campo. Mi fa specie che voi diciate, che vi è chi pregiudica al mio decoro, alla mia riputazione. Come potete dirlo, signor Fulgenzio?
FULGENZIO: Lo dico con fondamento, e lo dico appunto, riflettendo che avete una figliuola da maritare. Io so che vi è persona che la vorrebbe per moglie, e non ardisce di domandarvela, perché voi la lasciate troppo addomesticar colla gioventù, e non avete riguardo di ammettere zerbinotti in casa, e fino di accompagnarli in viaggio con essolei.
FILIPPO: Volete voi dire del signor Guglielmo?
FULGENZIO: Io dico di tutti e non voglio dir di nessuno.
FILIPPO: Se parlaste del signor Guglielmo, vi accerto che è un giovane il più savio, il più dabbene del mondo.
FULGENZIO: Ella è giovane.
FILIPPO: E mia figlia è una fanciulla prudente.
FULGENZIO: Ella è donna.
FILIPPO: E vi è mia sorella, donna attempata…
FULGENZIO: E vi sono delle vecchie più pazze assai delle giovani.
FILIPPO: Era venuto anche a me qualche dubbio su tal proposito, ma ho pensato poi, che tanti altri si conducono nella stessa maniera…
FULGENZIO: Caro amico, de’ casi ne avete mai veduti a succedere? Tutti quelli che si conducono come voi dite, si sono poi trovati della loro condotta contenti?
FILIPPO: Per dire la verità, chi sì e chi no.
FULGENZIO: E voi siete sicuro del sì? Non potete dubitare del no?
FILIPPO: Voi mi mettete delle pulci nel capo. Non veggo l’ora di liberarmi di questa figlia. Caro amico, e chi è quegli che dite voi, che la vorrebbe in consorte?
FULGENZIO: Per ora non posso dirvelo.
FILIPPO: Ma perché?
FULGENZIO: Perché per ora non vuol essere nominato. Regolatevi diversamente, e si spiegherà.
FILIPPO: E che cosa dovrei fare? Tralasciar d’andare in campagna? È impossibile; son troppo avvezzo.
FULGENZIO: Che bisogno c’è, che vi conduciate la figlia?
FILIPPO: Cospetto di bacco! se non la conducessi, ci sarebbe il diavolo in casa.
FULGENZIO: Vostra figlia dunque può dire anch’ella la sua ragione.
FILIPPO: L’ha sempre detta.
FULGENZIO: E di chi è la colpa?
FILIPPO: È mia, lo confesso, la colpa è mia. Ma son di buon cuore.
FULGENZIO: Il troppo buon cuore del padre fa essere di cattivo cuore le figlie.
FILIPPO: E che vi ho da fare presentemente?
FULGENZIO: Un poco di buona regola. Se non in tutto, in parte. Staccatele dal fianco la gioventù.
FILIPPO: Se sapessi come fare a liberarmi dal signor Guglielmo!
FULGENZIO: Alle corte: questo signor Guglielmo vuol essere il suo malanno. Per causa sua il galantuomo che la vorrebbe, non si dichiara. Il partito è buono, e se volete che se ne parli, e che si tratti, fate a buon conto che non si veda questa mostruosità, che una figliuola abbia da comandar più del padre.

Filippo è fin troppo comprensivo e generoso, stravede per la figlia Giacinta e non può fare altro che assecondarla in ogni sua richiesta o capriccio, poiché le vuole bene e sarebbe disposto ad ogni cosa pur di accontentarla, e lei di questo ne è consapevole e spesso se ne approfitta (come si può notare nella scena X dell’atto I “Non so dir di no, non son capace a dir di no, e non dirò mai di no.”). Inoltre emerge il fare indeciso del personaggio, come si può notare in quasi tutte le discussioni e il suo essere arrendevole alle idee e porposte degli altri, sempre in primo luogo a quelle della figlia.
[…]

FILIPPO: Potreste ben farmi la confidenza di dirmi chi sia l’amico che aspira alla mia figliuola.
FULGENZIO: Per ora non posso, compatitemi. Deggio andare per un affare di premura.
FILIPPO: Accomodatevi, come vi pare.
FULGENZIO: Scusatemi della libertà, che mi ho preso.
FILIPPO: Anzi vi ho tutta l’obbligazione.
FULGENZIO: A buon rivederci.
FILIPPO: Mi raccomando alla grazia vostra.
FULGENZIO: (Credo di aver ben servito il signor Leonardo. Ma ho inteso di servire alla verità, alla ragione, all’interesse e al decoro dell’amico Filippo). (Parte.)

SCENA DECIMA
Filippo, poi Giacinta.

FILIPPO: Fulgenzio mi ha dette delle verità irrefragabili, e non sono sì sciocco ch’io non le conosca, e non le abbia conosciute anche prima d’ora. Ma non so che dire, il mondo ha un certo incantesimo, che fa fare di quelle cose che non si vorrebbono fare. Dove però si tratta di dar nell’occhio, bisogna usare maggior prudenza. Orsù, in ogni modo mi convien licenziare il signor Guglielmo, a costo di non andare in campagna.
GIACINTA: Mi consolo, signore, che la seccatura è finita.
FILIPPO: Chiamatemi un servitore.
GIACINTA: Se volete che diano in tavola, glielo posso dire io medesima.
FILIPPO: Chiamatemi un servitore. L’ho da mandare in un loco.
GIACINTA: Dove lo volete mandare?
FILIPPO: Siete troppo curiosa. Lo vo’ mandare dove mi pare.
GIACINTA: Per qualche interesse che vi ha suggerito il signor Fulgenzio?FILIPPO: Voi vi prendete con vostro padre più libertà di quello che vi conviene.
GIACINTA: Chi ve l’ha detto, signore? Il signor Fulgenzio?
FILIPPO: Finitela, e andate via, vi dico.
GIACINTA: Alla vostra figliuola? Alla vostra cara Giacinta?

Giacinta è una giovane affrettata, frivola e sciocca nell’adempiere ai suoi obblighi sociali. Mette in luce, però, un carattere molto testardo, indipendente, ma anche molto persuasivo, come emerge nei dialoghi con il padre, che la asseconda sempre. In questa occasione vuol far vedere che a lei non ha interessi per il signor Guglielmo e che quindi non c’è nessun problema riguardo al viaggio insieme.

FILIPPO: (Non sono avvezzo a far da cattivo, e non lo so fare).
GIACINTA: (Ci scommetterei la testa, che Leonardo si è servito del signor Fulgenzio per ispuntarla. Ma non ci riuscirà).
FILIPPO: C’è nessuno di là? C’è nessun servitore?
GIACINTA: Ora, ora, acchetatevi un poco. Anderò io a chiamar qualcheduno.
FILIPPO: Fate presto.
GIACINTA: Ma non si può sapere, che cosa vogliate fare del servitore?
FILIPPO: Che maledetta curiosità! Lo voglio mandare dal signor Guglielmo.
GIACINTA: Avete paura che egli non venga? Verrà pur troppo. Così non venisse.
FILIPPO: Così non venisse?
GIACINTA: Sì, signore, così non venisse. Godremmo più libertà, e potrebbe venire con noi quella povera Brigida, che si raccomanda.
FILIPPO: E non avreste piacere d’aver in viaggio una compagnia da discorrere, da divertirvi?
GIACINTA: Io non ci penso, e non v’ho mai pensato. Non siete stato voi che l’ha invitato? Ho detto niente io, perché lo facciate venire?
FILIPPO: (Mia figliuola ha più giudizio di me). Ehi, chi è di là? Un servitore.
GIACINTA: Subito lo vado io a chiamare. E che volete far dire al signor Guglielmo?
FILIPPO: Che non s’incomodi, e che non lo possiamo servire.
GIACINTA: Oh bella scena! bella, bella, bellissima scena. (Con ironia.)
FILIPPO: Glielo dirò con maniera.
GIACINTA: Che buona ragione gli saprete voi dire?
FILIPPO: Che so io?… Per esempio… che nella carrozza ha da venire la cameriera, e che non c’è loco per lui.
GIACINTA: Meglio, meglio, e sempre meglio. (Come sopra.)
FILIPPO: Vi burlate di me, signorina?
GIACINTA: Io mi maraviglio certo di voi, che siate capace di una simile debolezza. Che cosa volete ch’ei dica? Che cosa volete che dica il mondo? Volete essere trattato da uomo incivile, da malcreato?

Padre e figlia discutono animatamente sull’opportunità o meno di revocare a Guglielmo l’invito a fare il viaggio in carrozza. Alla fine Giacinta convince Filippo che il miglior partito sia mantenere l’impegno preso

FILIPPO: Vi parrebbe dunque meglio fatto, che il signor Guglielmo venisse con noi?
GIACINTA: Per questa volta, giacché è fatta. Ma mai più, vedete, mai più. Vi serva di regola, e non lo fate mai più.
FILIPPO: (È una figliuola di gran talento).
GIACINTA: E così? Volete che chiami il servitore, o che non lo chiami?
FILIPPO: Lasciamo stare, giacché è fatta.
GIACINTA: Sarà meglio, che andiamo a pranzo.
FILIPPO: E in villa abbiamo da tenerlo in casa con noi?
GIACINTA: Che impegni avete presi con lui?
FILIPPO: Io l’ho invitato, per dirla.
GIACINTA: E come volete fare a mandarlo via?
FILIPPO: Ci dovrà stare dunque.
GIACINTA: Ma mai più, vedete, mai più.
FILIPPO: Mai più, figliuola, che tu sia benedetta, mai più! (Parte.)

SCENA UNDICESIMA
Giacinta, poi Brigida.

GIACINTA: Nulla mi preme del signor Guglielmo. Ma non voglio che Leonardo si possa vantare d’averla vinta. Già son sicura che gli passerà, son sicura che tornerà, che conoscerà non essere questa una cosa da prendere con tanto caldo. E se mi vuol bene davvero, com’egli dice, imparerà a regolarsi per l’avvenire con più discrezione, ché non sono nata una schiava, e non voglio essere schiava.

Durante tutta la commedia si hanno numerosi accenni su come Giacinta ami godersi la vita con i suoi coetanei e ricevere favori e attenzioni dai suoi pretendenti senza, tuttavia, badarci troppo. Ella prova un sentimento, che chiama “amore” ma non è convinta che sia realmente esso, più grande verso Leonardo che rispetto ad altri, ma non è disposta ad accettarne la sua ossessiva gelosia, che interpreta come un insulto come si evidenzia da un dialogo con Leonardo, in cui rimprovera il corteggiatore: “La gelosia che avete per lui è un’offesa che fate a me, e non potete essere di lui geloso senza credere me una frasca, una civetta, una banderuola.”.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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