L’ecologia nel Settecento

Giuseppe Parini, Odi, La salubrità dell’aria

Luca Pirola
10 min readJan 21, 2024
Bernardo Bellotto, Il castello sforzesco di Milano, 1744

L’ode, scritta nel 1759 e pubblicata nel 1791, affronta la tematica dell’“aria”, proposta dall’Accademia dei Trasformati, descrivendo l’inquinamento ambientale di Milano, determinato da coltivazioni nocive e dalla presenza di rifiuti ammorbanti. Ai tempi di Parini le risaie davano alti profitti ai proprietari terrieri, ma le piantine di riso dovevano restare immerse nelle acque stagnanti; inoltre, i prati venivano costantemente allagati (le marcite), per aumentare la produzione di foraggio destinato all’al- levamento. I ristagni e il fango diffondevano esalazioni malsane, zanzare e malaria a ridosso del perimetro urbano. Nei quartieri milanesi l’avvelenamento atmosferico e il fetore ammorbante erano accentuati dalla raccolta dei rifiuti organici (letame, carogne di animali), trasportati dai carri con i coperchi spalancati, senza rispetto per gli orari e per le prescrizioni legislative sullo smaltimento dell’immondizia.

Metro: sestine, formate da quattro settenari piani a rima alternata e due a rima baciata, seguono lo schema ABABCC.

Oh beato terreno
Del vago Eupili mio,
Ecco al fin nel tuo seno
M’accogli; e del natìo
Aere mi circondi;
E il petto avido inondi.

O terra felice (beato) della piacevole (vago) Brianza (Eupili), ecco finalmente che mi accogli nel tuo seno; mi avvolgi con l’aria del luogo natale e riempi (inondi) il mio petto desideroso (avido) di assaporare l’aria pura.

All’inizio l’ode celebra il paese natio: da Milano Parini torna in Brianza sul lago di Pusiano.

Già nel polmon capace
Urta sè stesso e scende
Quest’etere vivace,
Che gli egri spirti accende,
E le forze rintegra,
E l’animo rallegra.

Finalmente (già) quest’aria tonificante (quest’etere vivace), che rianima (accende) i sensi infiacchiti (egri dalla permanenza in città) e ristabilisce (rintegra) le forze, scende (urta sé stesso e scende) negli ampi polmoni che si dilatano (capace) per accoglierla.

Però ch’austro scortese
Quì suoi vapor non mena:
E guarda il bel paese
Alta di monti schiena,
Cui sormontar non vale
Borea con rigid’ ale.

Infatti (però ch’) il fastidioso (scortese) vento di scirocco (au- stro) non porta in questo luogo (qui) la sua aria umida (vapor) e un’alta catena (schiena) di monti (le Prealpi), che il gelido vento di tramontana (borea con rigid’ale) non riesce a superare (sormontar), protegge (guarda) la bella regione (della Brianza).

La strofa è ricca di figure retoriche. Nei versi 15–16 c’è un’anastrofe (prima il verbo guarda, poi il complemento oggetto il bel paese e nel verso successivo il soggetto alta… schiena) accompagnata dall’iperbato (l’aggettivo alta riferito a schiena, di monti complemento di specificazione)
e dalla metafora (schiena). Nel verso 18 borea con rigid’ale
una ipallage (l’aggettivo rigide è logicamente riferito a borea, ma trasferisce sulle ali la propria qualificazione di freddo). Borea è personificazione della tramontana.

Il lessico di tutta l’ode è estremamente vario e comprende vocaboli letterari (vago, natio, aere, austro scortese, Borea con rigid’ale), ma anche un terminologia scientifica di grande precisione, che rivela l’interesse di Parini per il linguaggio medico, tecnico e geografico (polmon capace, etere vivace, nuvol di morbi infetto).

Nè quì giaccion paludi,
Che dall’impuro letto
Mandino a i capi ignudi
Nuvol di morbi infetto:
E il meriggio a’ bei colli
Asciuga i dorsi molli.

Qui (nella Brianza) non (né) si stendono (giaccion) paludi che dal fondale (letto) putrido (impuro) facciano giungere alle persone indifese (a i capi ignudi) esalazioni (nuvol) infettate di malaria: e il (sole del) pomeriggio asciuga i pendii dei colli umidi (molli) di rugiada.

Il poeta immagina di ritornare dalla città sui colli nativi e contrappone la salubrità della Brianza alle cattive condizioni igienico-sanitarie del capoluogo lombardo, dove la salute pubblica era messa a rischio dagli acquitrini. Il tono elegiaco iniziale lascia spazio a una fiera invettiva contro i danni degli interventi dell’uomo finalizzati al profitto.

dal sito Zanichelli online

Pera colui che primo
A le triste ozïose
Acque e al fetido limo
La mia cittade espose;
E per lucro ebbe a vile
La salute civile.

Possa morire (Pèra) colui che per primo espose la mia città (Milano) alle pericolose acque stagnanti (triste oziose) e al fango (limo) maleodorante (il poeta allude alle redditizie coltivazioni dei proprietari terrieri nelle risaie e nelle marcite); e per desiderio di guadagno (lucro) disprezzò (ebbe a vile) la salute pubblica (civile).

I possidenti agrari sono accusati di aver recato danno alla salubrità dell’aria milanese con la realizzazione di risaie e marcite vicino alla città, mostrando interesse per il profitto e disprezzo nei confronti della comunità.

Certo colui del fiume
Di Stige ora s’impaccia
Tra l’orribil bitume,
Onde alzando la faccia
Bestemmia il fango e l’acque,
Che radunar gli piacque.

Certamente il responsabile di questa nefandezza (colui) ora è intrappolato (s’impaccia) nella orribile fanghiglia (bitume) del fiume Stige, dal quale (onde), quando alza la faccia, maledice (bestemmia) il fango e le acque che in vita decise (gli piacque) di concentrare (radunar) intorno a Milano.

Con il termine Stige Parini allude alla legge dantesca del contrappasso (corrispondenza tra pena e peccato commesso) e pone all’Inferno il simbolico primo inquinatore di Milano, che in vita si è arricchito con l’acqua stagnante delle risaie, coltivazioni dannose alla salute,
e ha creato intorno alla città una specie di palude infernale parago- nata allo Stige, il fiume dell’odio descritto da Dante.

Mira dipinti in viso
Di mortali pallori
Entro al mal nato riso
I languenti cultori;
E trema o cittadino,
Che a te il soffri vicino.

Guarda, o cittadino, i coltivatori malati (languenti cultori) segnati (dipinti) in viso da un mortale colorito grigiastro in mezzo (entro) ai campi del riso, il quale nasce a danno di chi lo coltiva (mal nato riso); e trema tu (cittadino) se tolleri (soffri) che il riso sia coltivato vicino a te.

Io de’ miei colli ameni
Nel bel clima innocente
Passerò i dì sereni
Tra la beata gente,
Che di fatiche onusta
È vegeta e robusta.

Io passerò i giorni serenamente nel bel clima incontaminato (innocente) dei miei accoglienti (ameni) colli tra la gente beata (di Bosisio e della Brianza) che, sebbene carica (onusta) di fatiche, è sana (vegeta) e robusta.

Qui con la mente sgombra,
Di pure linfe asterso,
Sotto ad una fresc’ombra
Celebrerò col verso
I villan vispi e sciolti
Sparsi per li ricolti;

Qui con la mente libera (sgombra), lavato (asterso) in acque limpide (linfe), sotto una fresca ombra loderò nei miei versi (celebrerò) i contadini (i villan) vivaci (vispi) e agili (sciolti) sparsi per i campi coltivati (li ricolti).

E i membri non mai stanchi
Dietro al crescente pane;
E i baldanzosi fianchi
De le ardite villane;
E il bel volto giocondo
Fra il bruno e il rubicondo,

Dicendo: Oh fortunate
Genti, che in dolci tempre
Quest’aura respirate
Rotta e purgata sempre
Da venti fuggitivi
E da limpidi rivi.

e (loderò nei miei versi) i corpi (dei contadini) mai stanchi dietro al grano (pane) in crescita; e i fianchi energici (baldanzosi) delle contadine spavalde (ardi- te); e i bei volti allegri (giocondo) tra il bruno dei capelli e il rosso delle guance (rubicondo), dicendo: «Oh! genti fortunate che respirate (nei pressi del lago Pusiano) in un clima mite (in dolci tempre) quest’aria mossa (aura rotta) e purificata sempre da venti veloci (fuggitivi) e da ruscelli (rivi) limpidi.

La descrizione idealizzata e di gusto arcadico della campagna brianzola (ombra degli alberi, limpidi ruscelli) si accompagna alla concretezza geografica dei luoghi, del clima e del duro lavoro. Nella descrizione dei robusti agricoltori, sparsi nei campi dove si respira a pieni polmoni, e della fisicità sensuale delle contadine brianzole emerge la poetica sensista di Parini. Il sensismo è una teoria filosofica settecentesca che poneva la sensazione come unico fondamento della capacità dell’uomo di conoscere e di ragionare sui dati dell’esperienza.

Ben larga ancor natura
Fu a la città superba
Di cielo e d’aria pura:
Ma chi i bei doni or serba
Fra il lusso e l’avarizia
E la stolta pigrizia?

La natura è stata molto generosa (ben larga) nel dispensare un bel cielo e un’aria pura anche (ancor) alla città superba (Milano, che è detta superba per l’imponenza dei suoi monumenti ma anche, con una connotazione negativa, per il suo sfarzo e la sua presunzione): ma chi (tra i cittadini) conserva ora i bei doni naturali fra il lusso e l’avidità di guadagno (l’avarizia) e la colpevole inettitudine (la stolta pigrizia) di fronte al degrado ambientale?

Ahi non bastò che intorno
Putridi stagni avesse;
Anzi a turbarne il giorno
Sotto a le mura stesse
Trasse gli scelerati
Rivi a marcir su i prati

Ahi! non bastò che Milano avesse intorno le risaie (stagni putridi);
e in aggiunta (anzi) a inquinarne (a turbarne) l’aria (il giorno) portò (trasse) i nocivi (gli scelerati) canali (rivi) a far marcire i prati (a marcir su i prati) fino alle vicinanze delle sue stesse mura.

E la comun salute
Sagrificossi al pasto
D’ambizïose mute,
Che poi con crudo fasto
Calchin per l’ampie strade
Il popolo che cade.

E la salute pubblica (comun) fu sacrificata (sagrificossi) per il foraggio (al pasto) di lussuose pariglie di cavalli (ambiziose mute, frutto dell’ambizione dei loro nobili padroni), che poi con crudele superbia (crudo fasto) calpestino (calchin) nelle ampie strade i pedoni plebei (il popolo), i quali cadono sotto le ruote delle carrozze.

Il realismo illuministico di Parini rivolge poi la propria attenzione ai braccianti padani, infettati dalla malaria e dipinti in viso / di mortali pallori, per condannare aspramente l’avidità dei proprietari terrieri, degli allevatori e dei commercianti che provocavano l’inquinamento di Milano senza tener conto del benessere collettivo.

Il riformismo conservatore di Parini accorda le sue preferenze alla teoria economica dei fisiocratici fondata sull’agricoltura, rispettosa delle esigenze della comunità, più che sui commerci e sull’industria della imprenditorialità borghese, come invece auspicavano gli illuministi milanesi del «Caffè».

Parini unisce la polemica contro la logic del profitto alla critica all’aristocrazia che conduce una vita dissipata e insensibile al popolo (tanto che le carrozze dei nobili travolgono senza avvedersene i cittadini a piedi).

A voi il timo e il croco
E la menta selvaggia
L’aere per ogni loco
De’ varj atomi irraggia,
Che con soavi e cari
Sensi pungon le nari.

Il profumo del timo, dello zafferano (croco) e della menta selvatica impregna (irraggia) per voi (abitanti della Brianza), da ogni parte (per ogni loco) l’aria con le sue varie particelle (atomi), le quali stimolano (pungon) le narici con sensazioni dolci e gradevoli (soavi e cari).

Ai profumi che allietano l’ambiente campestre sono contrapposti i miasmi che ammorbano la città, dei cui abitanti viene stigmatizzata l’abitudina a versare il contenuto dei pitali in strada.

Ma al piè de’ gran palagi
Là il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
Ammorba l’aria lenta,
Che a stagnar si rimase
Tra le sublimi case.

Invece alla base (al piè) dei grandi palazzi il letame ammassato (il fimo alto) fermenta e infesta con le esalazioni nocive (sali malvagi) l’aria immobile (lenta) che rimane perennemente ferma (a stagnar si rimase) tra le alte (sublimi) case che non consentono il ricambio dei venti.

La descrizione della città corrotta dagli odori nocivi e dai rifiuti è condotta con un realismo molto concreto, quasi espressionistico (fetido limo, v. 27, orribil bitume, v. 33, putridi stagni, v. 74, il fimo alto fermenta, v. 92, sali malvagi ammorba l’aria lenta vv.93/94)

Quivi i lari plebei
Da le spregiate crete
D’umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;
Onde il vapor s’aggira;
E col fiato s’inspira.

Qui (a Milano) i popolani (lari plebei: i Lari erano le divinità romane protettrici della casa. L’espressione è una doppia metonimia per “abitazioni popolari”, a loro volta per “abitanti”) rovesciano (versan) dai vasi da notte (spregiate crete: è una sineddoche eufemistica, per attenuare l’espressione troppo cruda e prosaica) senza rispetto (indiscrete) per i passanti liquidi maleodoranti e nocivi (fracidi e rei), il cui lezzo si diffonde e viene inalato respirando.

Il problema di pubblica utilità è affrontato con uno stile classicista, che rafforza il messaggio morale e civile. I termini aulici e raffinati, i latinismi, le figure retoriche, i richiami mitologici trasfigurano la cruda realtà del degrado ambientale e nobilitano poeticamente una materia bassa.

Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti
Empion l’estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l’orme!

Carcasse di animali morti (spenti), abbandonati (ridotti) per le vie affollate (frequenti), riempiono i giorni (die) estivi di putride esalazioni (de gli aliti corrotti): spettacolo ripugnante (deforme) sui percorsi (sull’orme) dei cittadini!

Nè a pena cadde il sole
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l’aura molesta.

E accade che, appena cala la sera, i carri dell’immondizia (vaganti latrine), con i coperchi aperti (spalancate gole), percorrono (lustran) ogni parte (ogni confine) della città che, sveglia, respira (beve) l’aria infetta.

Gridan le leggi è vero;
E Temi bieco guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l’inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne’ comun danni i tuoi?

Le leggi vietano (gridan. Le leggi, all’epoca definite “gride”, prescrivevano norme da seguire per proteggere la salute pubblica: i carri delle immondizie dovevano viaggiare di notte e con i coperchi chiusi) per la verità tali usi e Temi (era la dea greca della giustizia. Qui è una personifica- zione) guarda severamente (bieco) chi non le rispetta: ma l’indifferenza dei singoli (l’inerzia privata) fa sì che questi si occupino solo dei propri interessi. Stolto cittadino! E non vuoi renderti conto (mirar) che il danno collettivo (comun) è anche il tuo?

Ma dove ahi corro e vago
Lontano da le belle
Colline e dal bel lago
E dalle villanelle,
A cui sì vivo e schietto
Aere ondeggiar fa il petto?

Ahi, ma dove corro allontanando- mi (corro e vago) dalle belle colline e dal bel lago (Pusiano) e dalle contadinelle alle quali un’aria così stimolante (vivo) e pura (schietto) fa ondeggiare il petto?

Va per negletta via
Ognor l’util cercando
La calda fantasìa,
Che sol felice è quando
L’utile unir può al vanto
Di lusinghevol canto.

La mia appassionata ispirazione poetica (calda fantasia) percorre una strada trascurata (negletta dagli altri poeti), cercando sempre (ognor) l’utilità sociale, ed è felice solo quando può unire all’utile il merito (vanto) di una poesia piacevole (lusinghevol canto). Parini segue il principio del poeta latino Orazio (65–8 a.C.) di una letteratura utile e dilettevole, che unisca l’utilità pratica e sociale dei contenuti al piacere della bella forma.

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Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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