Leopardi, il poeta della ragione
Un pessimismo dall’esito positivo
I luoghi del poeta
Leopardi nasce a Recanati nel 1798. Passata l’infanzia e la giovinezza nel piccolo paese natio fin dal 1819 tenta di fuggire, ma senza successo; lascia per la prima volta il luogo di nascita nel 1822, ma vi ritorna nel 1823 per dedicarsi alla scrittura delle Operette morali. Sempre a Recanati dal 1828 al 1830 compone i “grandi idilli” e poi abbandona Recanati per sempre
Roma è la meta del primo soggiorno lontano da Recanati tra la fine del 1822 e l’aprile del 1823. Abbandona la città deluso perché le aspettative che si era creato non sono state soddisfatte dall’urbe culturalmente chiusa e provinciale. Ritorna a Roma per un secondo soggiorno nel 1830.
Nel 1825 si reca a Milano dove svolge una collaborazione editoriale per l’editore Stella, si sposta poi a Bologna e Firenze, dove conosce Alessandro Manzoni nel 1825. Torna nel capoluogo toscano nel 1830 e collabora alla rivista “Antologia” di Vieusseux. In questo periodo conosce Fanny Targioni Tozzetti e vive il triste “inganno” amoroso.
Ulteriormente deluso dall’espereinza fiorentina si sposta a Napoli, dove trascorre gli ultimi anni (1833–1837) e viene sepolto.
Gli episodi biografici influenzano la poesia di Leopardi, perchè la nascita in uno sperduto e periferico paese delle Marche (al tempo facente parte dello Stato delle Chiesa, luogo chiuso ad ogni discussione culturale contemporanea) suscita in lui il grande desiderio di uscire dalla dimensione provinciale di Recanati; inoltre la malattia degenerativa gli fa prendere coscienza della debolezza umana; infine il distacco dal Risorgimento determina la mancanza di passione patriottica, che è segno del distacco del poeta da ogni problema contingente.
Nonostante si rilevi una decisiva influenza delle vicende personali nell’opera di Leopardi, il poeta scrive: “Prima di morire […] pregherò i miei lettori di impegnarsi a confutare le mie riflessioni e i miei ragionamenti piuttosto che mettere in risalto le mie malattie”. Con ciò intende sottolineare che la sua poesia è una spinta propulsiva all’indagine filosofica sulla condizione generale dell’uomo, in quanto il suo dolore diventa uno strumento di conoscenza esistenziale.
La poetica tra Classicismo e Romanticismo
Nonostante Leopardi partecipi del dibattito letterario contemporaneo, è difficilmente inquadrabile entro i confini di un movimento letterario. Il suo impegno culturale più che politico è segno di una passione etica e civile: egli sostiene che la letteratura è maestra di civiltà, perché sviluppa idee nobili, morali e civili, perchè difende dal conformismo e impedisce la manipolazione delle coscienze.
Leopardi, tuttavia, è estraneo a circoli e gruppi culturali, tanto che il suo sarcasmo è rivolto sia contro i miti illuministi del progresso, sia contro lo spiritualismo cattolico. Egli considera entrambe le visioni ottimistiche sull’esistenza umana fondate sull’autoinganno e sulla mistificazione.
Entro il dibattito più prettamente letterario, se si può considerare Leopardi affine al Romanticismo per molti aspetti della sua produzione, lui stesso conduce una critica serrata a questa corrente culturale nel suo Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, 1818, in cui afferma che il progresso esaltato dai Romantici impedisce ai moderni la sintonia con la Natura, rinchiudendo la creatività umana nella gabbia del Vero. Tale atteggiamento spegne la fantasia e la naturalezza degli antichi, cioè degli autori classici, i quali sono i soli capaci di suscitare illusioni e diletto grazie all’immaginazione, perché mantengono un rapporto armonioso tra poeta e Natura.
La posizione di Leopardi, tuttavia, si discosta nettamente anche dalle posizioni dei classicisti, di cui mette in discussione il principio fondante, cioè l’imitazione degli antichi, quando afferma che “non vogliamo che il poeta imiti gli altri poeti, né che vada accattando e cucendo insieme ritagli di roba altrui”. Il connubio dei classici con la Natura è ormai perduto, perché l’uomo moderno è talmente lontano dalla loro concezione del mondo che non può recuperare l’ingenuo e spontaneo modo di poetare.
La poesia, infatti, per Leopardi esprime il contatto con il mondo dei sensi, nasce da una fantasia infantile che gode del beneficio dell’immaginazione. Senza questa l’uomo moderno rinuncia agli effetti della poesia che lo rendono capace di superare la realtà di dolore e infelicità. Quindi l’unica poesia possibile è la poesia “sentimentale”, nel senso che è percepita con i sensi, e “filosofica”, introspettiva, consapevole della sofferenza esistenziale dell’uomo. Questa impostazione poetica determina la creazione di immagini caratterizzate da vaghezza e lontananza nel tempo (rimembranza) e nello spazio (indeterminatezza). Nel dare voce alla propria e comune infelicità, infatti, il poeta moderno ripercorre la caduta delle illusioni, rievoca i sogni dell’infanzia, l’età della vita in cui l’uomo è più vicino alla Natura. I ricordi — la rimembranza per usare una parola leopardiana — si rivolgono al sentimento, all’immaginazione del lettore, che riceve una consolazione momentanea. La poesia ha questa prerogativa perché usa un linguaggio che mira all’evocazione, alla suggestione in quanto indefinito. La poesia, dunque non parla la lingua della ragione, ma delle illusioni, e anche quando ne dichiara la caducità e l’inconsistenza, le fa rivivere nell’indeterminata suggestione delle sue immagini.
La poesia, quindi, crea un piacere che non è semplice svago. Il carattere vago e indefinito della poesia soddisfa il desiderio di infinito dell’uomo più di qualsiasi altra esperienza. Essa infatti “destando mozioni vivissime e riempiendo l’animo di idee vaghe e indefinite e vastissime e sublimissime e mal chiare lo riempie quanto più si possa a questo mondo.”
Il pessimismo storico
L’uomo è destinato all’infelicità. Leopardi fa risalire questa concezione al conflitto tra Natura e civiltà. che si esprime nella vita di ogni individuo così come nel percorso storico dell’umanità.
Per Leopardi l’età antica era un’epoca rasserenata dai sogni e dalle favole nati dal contatto diretto con la Natura. Gli uomini antichi potevano sperare nella felicità grazie all’immaginazione. Nello sviluppo della civiltà umana si affermano le età dominate dalla Ragione, la quale ha tolto agli uomini la possibilità di illudersi e sperare, pertanto gli uomini sono imprigionati dall’arido vero della condizione di sofferenza. Quindi l’infelicità è causata dal progresso della civiltà
D’altronde la Natura, infatti, ha fornito ad ogni uomo le illusioni, che gli permettevano di provare grandi passioni tramite l’immaginazione; però la civiltà (età adulta dell’uomo) ha svelato che la realtà è fatta di malattia e sofferenza, perciò le illusioni sono solo fantasie infantili. Le illusioni principali sono la felicità e l’infinito (andare oltre i propri confini): l’uomo, infatti, prova un’infinita tensione verso il piacere, ma non potrà mai soddisfarla perché l’uomo è limitato e finito. L’infinito corrisponde con il solido nulla perciò l’uomo può solo provare noia,un patire mancamento e vuoto. La conclusione di questa riflessione è il pessimismo individuale e storico.
Il pessimismo cosmico
Leopardi prosegue la sua riflessione filosofica avvicinandosi a posizioni materialistiche, infatti giunge a negare l’esistenza di un principio metafisico regolatore dell’esistenza. In seguito a tale considerazione elaborala teoria del piacere, secondo la quale sostiene che la Natura maligna illude gli uomini con le sue promesse di felicità, dotando l’uomo di un desiderio di piacere che non ha confini. La felicità e il piacere sono, dunque, ricercati dagli uomini ma sono irraggiungibili, perché la Natura ha dato all’uomo dei sensi inadeguati e limitati. Il desiderio dell’uomo è, quindi, frustrato, e l’uomo vive un senso di vuoto, il quale costituisce la radice dell’infelicità esistenziale. Leopardi definisce tale sensazione come noia, che consiste ne “la semplice vita sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all’individuo”. La noia, perciò, è peculiare della vita umana, in quanto il vuoto percepito occupa l’intervallo temporale tra il desiderio di piacere e la scoperta della sua irrealizzabilità. Questo sentimento appartiene a tutti gli uomini, perché deriva dall’inappagato desiderio di felicità, ma coglie solo chi ha la coscienza della vanità delle cose e vede frustrato il proprio bisogno di assoluto, quindi è un sentimento sublime.
In sintesi si può affermare che l’inconciliabilità tra esistenza e desiderio di felicità condanna l’umanità a una condizione di perenne inappagamento, pertanto Leopardi ripensa al rapporto tra uomo e Natura. Tale riflessione è condotta anche attraverso una rilettura degli autori classici, che riflettendo sul dolore dell’esistenza porta Leopardi a negare l’esistenza di una condizione di armonia tra uomo e Natura nell’età antica, contrariamente a quanto aveva affermato in precedenza, perché ora sostiene che il mondo classico non ha raggiunto la felicità. La conseguenza di tale rivelazione è la constatazione che l’infelicità è un dato costitutivo e assoluto che riguarda ogni essere vivente in ogni epoca. La Natura è concepita come un’entità meccanica che conserva l’ordine cosmico secondo un inesorabile ciclo di vita e morte in modo assolutamente indifferente alle sorti dell’uomo.
La sola soluzione per l’uomo è affidarsi alla Ragione, fredda e spietata, che smaschera tutte le illusioni; essa, infatti, è l’antidoto alle mistificazioni ideologiche, perché consente di rivelare gli “inganni dell’intelletto” e porta gli uomini ad accettare dignitosamente la realtà.
Il pensiero di Leopardi approda a ciò che si definisce pessimismo cosmico, perché derivato dalla condizione naturale dell’uomo, non legato alle condizioni storiche o personali.
Il valore della solidarietà
Il pessimismo di Leopardi è piuttosto un rifiuto dell’ottimismo, che discende dalla consapevolezza dell’orrido “vero” e dell’insignificanza dell’uomo nell’universo. L’atteggiamento del poeta si esprime attraverso il sarcasmo contro “le magnifiche sorti progressive”, cioè contro l’ingenua speranza nella Provvidenza e contro la stoltezza dell’uomo comune. Ciò non porta, tuttavia, alla disperazione, poiché Leopardi indica come atteggiamento degno dell’uomo consapevole ciò che si può chiamare pessimismo eroico, cioè un atteggiamento caratterizzato dalla volontà di affrontare con coraggio e imperturbabilità la sofferenza del vivere. Leopardi, infatti, lancia un appello alla “grande alleanza degli esseri intelligenti” in nome di un sentimento comune di amore e rispetto, facendosi così portatore di un messaggio di etica sociale, che propugna la pratica di una solidarietà che non dà la felicità, ma rende la vita più giusta e pietosa.
La conclusione della riflessione di Leopardi conduce alla fine dei miti illuministici e romantici, poiché egli nega sia il mito illuminista del progresso dell’umanità attraverso la scienza e lo sviluppo razionale, sia il mito del romanticismo del miglioramento dell’uomo tramite lo Spirito e le passioni. Questi concetti sono ribaltati de Leopardi nel loro significato in quanto la Ragione diventa elemento di disillusione che permette all’uomo di essere consapevole della propria realtà, ma gli impedisce di essere felice. Mentre l’infinito non è più forza dell’esistenza, ma il niente, le illusioni non sono più elemento che permette all’uomo grandi sentimenti, ma sono sogni; la noia non è condizione creativa, ma angoscia esistenziale. Però Leopardi afferma la volontà disperata di vivere dell’uomo, perché nel momento in cui nega la possibilità di felicità, egli rivendica il diritto alla dignità umana, che confronta la propria miseria con l’infinità dei mondi possibili.