L’importanza delle traduzioni
Madame de Staël, Sulla maniera e sulla utilità delle traduzioni
Anne-Louise-Germaine Necker, sposata con il barone de Staël-Holstein, fu una delle intellettuali europee più in vista della sua epoca. Scrisse un trattato che raccolglie tutte le questioni care al Romanticismo: il rifiuto dei canoni del classicismo, l’idea di poesia come espressione della spontaneità individuale, l’esaltazione della fantasia creatrice, del sentimento e della passione. Il suo articolo Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, apparso nel 1816 sulla “Biblioteca italiana” creò grande scalpore nei circoli letterari italiani ed è considerato il punto di partenza della polemica tra classicisti e romantici in Italia, che sancisce l’inizio del Romanticismo nel nostro paese.
L’Europa certamente non ha una traduzione omerica, di bellezza e di efficacia tanto prossima all’originale, come quella del Monti: nella quale è pompa ed insieme semplicità; le usanze più ordinarie della vita, le vesti, i conviti acquistano dignità dal naturale decoro delle frasi: un dipinger vero, uno stile facile ci addomestica a tutto ciò che ne’ fatti e negli uomini d’Omero è grande ed eroico. Niuno vorrà in Italia per lo innanzi tradurre la Iliade; poichè Omero non si potrà spogliare dell’abbigliamento onde il Monti lo rivestì: e a me pare che anche negli altri paesi europei chiunque non può sollevarsi alla lettura d’Omero originale, debba nella traduzione italiana prenderne il meglio possibile di conoscenza e di piacere. Non si traduce un poeta come col compasso si misurano e si riportano le dimensioni d’un edificio; ma a quel modo che una bella musica si ripete sopra un diverso istrumento: nè importa che tu ci dia nel ritratto gli stessi lineamenti ad uno ad uno, purchè vi sia nel tutto una eguale bellezza. […]
Dopo aver messo in risalto, lodando la traduzione omerica di Monti, l doti della lingua italiana, Madame de Staël lancia un’esortazione gli intellettuali italiani, in cui non lesina diversi attacchi ai costumi culturali della Penisola. I difetti principali delle lettere italiane sono un esagerato ossequio degli scrittori antichi, la considerazione della mitologia come viva e attuale, la presenza di una letteratura che si compiace della bella forma, ma risulta vuota di contenuti.
Dovrebbero a mio avviso gl’Italiani tradurre diligentemente assai delle recenti poesie inglesi e tedesche; onde mostrare qualche novità a’ loro cittadini, i quali per lo più stanno contenti all’antica mitologia: nè pensano che quelle favole sono da un pezzo anticate, anzi il resto d’Europa le ha già abbandonate e dimentiche.
L’autrice si rivolge agli scrittori italiani, suggerendo l’importanza della traduzione in italiano dei maggiori scrittori europei per svecchiare la nostra letteratura, considerata dall’autrice ancora vincolata a un eccessivo classicismo, consentirle l’assimilazione di modelli nuovi e ridarle vitalità. La scrittrice infatti sostiene che le traduzioni rappresentano l’unico sistema per far circolare e per assorbire le novità che la cultura europea stava producendo, mentre gli italiani insistevano nella traduzione dei testi classici e nel reimpiego di moduli classicisti, ormai quasi del tutto obsoleti.
Perciò gl’intelletti della bella Italia, se amano di non giacere oziosi, rivolgano spesso l’attenzione al di là dall’Alpi, non dico per vestire le fogge straniere, ma per conoscerle; non per diventare imitatori, ma per uscire di quelle usanze viete, le quali durano nella letteratura come nelle compagnie i complimenti, a pregiudizio della naturale schiettezza.
Madame de Staël alterna blandizie e severità: non nega che la bellezza sia una caratteristica dell’Italia, ma al tempo stesso sollecita un’operazione di rinnovamento culturale che superi l’atavico vizio dell’imitzione.
Che se le lettere si arricchiscono colle traduzioni de’ poemi; traducendo i drammi si conseguirebbe una molto maggiore utilità; poichè il teatro è come il magistrato della letteratura. Shakspear tradotto con vivissima rassomiglianza dallo Schlegel, fu rappresentato ne’ teatri di Germania, come se Shakspear e Schiller fossero divenuti concittadini. E facilmente in Italia si avrebbe un eguale effetto: […]nè parmi a dubitare che sul bel teatro milanese non fosse gradita l’Atalía, se i cori fossero accompagnati dalla stupenda musica italiana. Mi si dirà che in Italia vanno le genti al teatro, non per ascoltare, ma per unirsi ne’ palchetti gli amici più famigliari e cianciare. E io ne conchiuderò che lo stare ogni dì cinque ore ascoltando quelle che si chiamano parole dell’opera italiana, dee necessariamente fare ottuso, per mancanza di esercizio, l’intelletto d’una nazione.
L’autrice muove da un assunto universalmente condiviso: le lettere traggono beneficio dal commercio de’ pensieri, che è favorito dalle traduzioni e che deve essere libero e continuo. La traduzione permette di veicolare un testo in un’altra lingua, arricchendola grazie allo stile del linguaggio di provenienza e in virtù dei contenuti che una cultura elabora indipendentemente dalle altre. Se la letteratura si ritrae entro i confini geografici di una nazione, invece, corre il rischio di produrre testi ripetitivi e monotoni, come infatti stava accadendo in Italia.
In questa continua ed universale frivolezza di tutte le pubbliche e private radunanze, dove ognuno cerca l’altrui compagnia per fuggire sè stesso e liberarsi da un grave peso di noia, se voi poteste per mezzo a’ piaceri mescere qualche util vero, e qualche buon concetto, porreste nelle menti un poco di serio e di pensoso, che le disporrebbe a divenire buone per qualche cosa.
Havvi oggidì nella Letteratura italiana una classe di eruditi che vanno continuamente razzolando le antiche ceneri, per trovarvi forse qualche granello d’oro: ed un’altra di scrittori senz’altro capitale che molta fiducia nella lor lingua armoniosa, donde raccozzano suoni vôti d’ogni pensiero, esclamazioni, declamazioni, invocazioni, che stordiscono gli orecchi, e trovan sordi i cuori altrui, perchè non esalarono dal cuore dello scrittore.
Il sarcasmo della de Staël si abbatte su due gruppi di scrittori italiani: gli eruditi, che frugano nei testi del passato, e gli adoratori della forma, che scrivono opere povere di contenuti e incapaci di trasmettere emozioni ai lettori. La critica è indubbiamente forte, ma veritiera, perché esprime la convinzione che gli italiani si muovessero su un terreno logoro e consumato, producendo, anziché un’arte e una poesia vive, una letteratura morta, che presenta il riuso di triti moduli classicisti in luogo della freschezza dell’immaginazione.
Non sarà egli dunque possibile che una emulazione operosa, un vivo desiderio d’esser applaudito ne’ teatri, conduca gl’ingegni italiani a quella meditazione che fa essere inventori, e a quella verità di concetti e di frasi nello stile, senza cui non ci è buona letteratura, e neppure alcuno elemento di essa?
Piace comunemente il dramma in Italia: e degno è che piaccia sempre più, divenendo più perfetto e utile alla pubblica educazione: e nondimeno si dee desiderare che non impedisca il ritorno di quella frizzante giocondità onde per l’addietro era sì lieto. Tutte le cose buone devono essere tra sè amiche.
Gl’Italiani hanno nelle belle arti un gusto semplice e nobile. Ora la parola è pur una delle arti belle, e dovrebbe avere le qualità medesime che le altre hanno: giacchè l’arte della parola è più intrinseca all’essenza dell’uomo; il quale può rimanersi piuttosto privo di pitture e di sculture e di monumenti, che di quelle imagini e di quegli affetti ai quali e le pitture e i monumenti si consacrano. Gl’Italiani ammirano e amano straordinariamente la loro lingua, che fu nobilitata da scrittori sommi: oltrechè la nazione italiana non ebbe per lo più altra gloria, o altri piaceri, o altre consolazioni se non quelle che dava l’ingegno. Affinchè l’individuo disposto da natura all’esercizio dell’intelletto senta in sè stesso una cagione di mettere in atto la sua naturale facoltà bisogna che le nazioni abbiano un interesse che le muova. Alcune l’hanno nella guerra, altre nella politica: gl’Italiani deono acquistar pregio dalle lettere e dalle arti; senza che giacerebbero in sonno oscuro, d’onde neppur il sole potrebbe svegliarli.
La compresenza di proposte e attacchi alla tradizione italiana rende l’articolo della de Staël un vero e proprio innesco della polemica fra classicisti e romantici.