L’impossibilità di guarigione

La coscienza di Zeno, capitolo 8

Luca Pirola
8 min readNov 25, 2021
Egon Schiele, autoritratto

Nell’ottavo e ultimo capitolo de La coscienza di Zeno cambia la struttura narrativa del testo: il romanzo si presenta come una serie di annotazioni che vanno dal 3 maggio 1915 al 24 marzo 1916. L’attenzione del narratore è incentrata più sulle conseguenze dello scoppio della guerra che non sulle proprie vicende personali, come avveniva nei capitoli precedenti. A causa degli eventi bellici, Zeno ha dovuto fare a meno del proprio amministratore: gli Olivi, in quanto Italiani, sono costretti a lasciare Trieste, che nel 1915 è ancora territorio dell’Impero Austro-Ungarico. Deve quindi occuparsi in prima persona degli affari della ditta. Inoltre, mentre lui, cittadino austriaco, è rimasto a Trieste, tutta la sua famiglia, di nazionalità italiana, si è rifugiata a Torino. Libero da tutti i vincoli parentali, Zeno ha potuto agire a modo suo e ha trovato nell’attività commerciale la propria guarigione. Dice di aver compreso che la dimensione della malattia segna tutta la realtà, essendo connaturata alla vita stessa, e che la civiltà moderna, allontanando l’uomo dalla natura, lo ha reso più debole e malato.

24 Marzo 1916

Dal Giugno dell’anno scorso non avevo più toccato questo libercolo. Ecco che dalla Svizzera il dr. S. mi scrive pregandomi di mandargli quanto avessi ancora annotato. È una domanda curiosa, ma non ho nulla in contrario di mandargli anche questo libercolo dal quale chiaramente vedrà come io la pensi di lui e della sua cura. Giacché possiede tutte le mie confessioni, si tenga anche queste poche pagine e ancora qualcuna che volentieri aggiungo a sua edificazione. Ho poco tempo perché il mio commercio occupa la mia giornata. Ma al signor dottor S. voglio pur dire il fatto suo. Ci pensai tanto che oramai ho le idee ben chiare.

Con la ripresa della scrittura dopo una lunga interruzione, Zeno rivela i suoi pensieri. Se non ha mai creduto fino in fondo all’utilità della terapia, adesso la rifiuta completamente.

Intanto egli crede di ricevere altre confessioni di malattia e debolezza e invece riceverà la descrizione di una salute solida, perfetta quanto la mia età abbastanza innoltrata può permettere. Io sono guarito! Non solo non voglio fare la psico-analisi, ma non ne ho neppur di bisogno. E la mia salute non proviene solo dal fatto che mi sento un privilegiato in mezzo a tanti martiri. Non è per il confronto ch’io mi senta sano. Io sono sano, assolutamente. Da lungo tempo io sapevo che la mia salute non poteva essere altro che la mia convinzione e ch’era una sciocchezza degna di un sognatore ipnagogico di volerla curare anziché persuadere. Io soffro bensì di certi dolori, ma mancano d’importanza nella mia grande salute. Posso mettere un impiastro qui o là, ma il resto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi nell’immobilità come gl’incancreniti. Dolore e amore, poi, la vita insomma, non può essere considerata quale una malattia perché duole.
Ammetto che per avere la persuasione della salute il mio destino dovette mutare e scaldare il mio organismo con la lotta e sopratutto col trionfo. Fu il mio commercio che mi guarì e voglio che il dottor S. lo sappia.

Innanzitutto Zeno ritiene di essere guarito non grazie all’analisi dei propri sintomi, ma perché ha finalmente sperimentato la necessità di un impegno concreto, che poi è stato coronato dal successo.

Attonito e inerte, stetti a guardare il mondo sconvolto, fino al principio dell’Agosto dell’anno scorso. Allora io cominciai a comperare. Sottolineo questo verbo perché ha un significato più alto di prima della guerra. In bocca di un commerciante, allora, significava ch’egli era disposto a comperare un dato articolo. Ma quando io lo dissi, volli significare ch’io ero compratore di qualunque merce che mi sarebbe stata offerta. Come tutte le persone forti, io ebbi nella mia testa una sola idea e di quella vissi e fu la mia fortuna. L’Olivi non era a Trieste, ma è certo ch’egli non avrebbe permesso un rischio simile e lo avrebbe riservato agli altri. Invece per me non era un rischio. Io ne sapevo il risultato felice con piena certezza. Dapprima m’ero messo, secondo l’antico costume in epoca di guerra, a convertire tutto il patrimonio in oro, ma v’era una certa difficoltà di comperare e vendere dell’oro. L’oro per così dire liquido, perché più mobile, era la merce e ne feci incetta. Io effettuo di tempo in tempo anche delle vendite ma sempre in misura inferiore agli acquisti. Perché cominciai nel giusto momento i miei acquisti e le mie vendite furono tanto felici che queste mi davano i grandi mezzi di cui abbisognavo per quelli.
Con grande orgoglio ricordo che il mio primo acquisto fu addirittura apparentemente una sciocchezza e inteso unicamente a realizzare subito la mia nuova idea: una partita non grande d’incenso. Il venditore mi vantava la possibilità d’impiegare l’incenso quale un surrogato della resina che già cominciava a mancare, ma io quale chimico sapevo con piena certezza che l’incenso mai più avrebbe potuto sostituire la resina di cui era differente toto genere. Secondo la mia idea il mondo sarebbe arrivato ad una miseria tale da dover accettare l’incenso quale un surrogato della resina. E comperai! Pochi giorni or sono ne vendetti una piccola parte e ne ricavai l’importo che m’era occorso per appropriarmi della partita intera. Nel momento in cui incassai quei denari mi si allargò il petto al sentimento della mia forza e della mia salute.

Questa volta Zeno ha fatto la scelta giusta dal punto di vista economico; è qui assente qualsivoglia considerazione di tipo morale: poiché durante le guerre il rischio di inflazione è molto alto, egli ha deciso di impiegare gran parte della propria liquidità per acquistare merci di tutti i tipi, in modo da poterle rivendere a prezzi sensibilmente maggiorati quando la domanda lo consentirà.

Da questo punto in poi cambia decisamente lo stile del brano, in quanto dalla narrazione vera e propria (la ripresa della scrittura, i rapporti di Zeno con il dottor S., le riflessioni sulla malattia, il successo economico) si passa a una più ampia meditazione cosmica, che si svolge con toni quasi profetici, anche perché l’analisi del passato è sostituita dalla visione del futuro.

Il dottore, quando avrà ricevuta quest’ultima parte del mio manoscritto, dovrebbe restituirmelo tutto. Lo rifarei con chiarezza vera perché come potevo intendere la mia vita quando non ne conoscevo quest’ultimo periodo? Forse io vissi tanti anni solo per prepararmi ad esso!
Naturalmente io non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella vita stessa una manifestazione di malattia. La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati.
La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza… nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato [442] da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!

Zeno raggiunge la consapevolezza di essere guarito nel momento in cui comprende che la malattia riguarda non solo lui come singolo, bensì la vita umana nel suo complesso. Ora che ha accumulato denaro speculando sulla guerra, Zeno non ritiene più necessario procedere nella propria autoanalisi. Tuttavia una cupa sensazione lo ammonisce che l’umanità non potrà più progredire continuando a inquinare l’ambiente e negando la validità delle leggi naturali.
Per altro l’uomo sarebbe in grado di fare anche dei peggio: V’è una minaccia di questo genere nell’aria. Zeno non allude a nulla di specifico, ma si può ipotizzare che il personaggio, da conoscitore dei processi chimici, fosse particolarmente consapevole del fatto che i progressi nella scienza e nella tecnica potevano essere utilizzati a fini distruttivi.

Ma non è questo, non è questo soltanto.
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.

In un’inquietante visione apocalittica, il mondo gli appare tornato allo stato di nebulosa nell’universo, dopo che un ordigno l’ha distrutto. L’esperienza di Zeno perde all’improvviso la propria esclusiva specificità: si assolutizza come quella di un individuo calato nella modernità, che interrompe il proprio itinerario conoscitivo per osservare l’irruzione della Storia e presagisce una scenario drammatico.

Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

Svevo termina il percorso di consapevolezza dell’inetto con le affermazioni di Zeno, avendo perso l’antica insicurezza, di aver superato la condizione di inadatto al mondo. Il lungo tragitto ha portato il personaggio alla consapevolezza della propria identità e delle proprie miserie: a che vale scappare come ha fatto Alfonso Nitti in Una vita? Perché rifugiarsi nel sogno allo stesso modo di Emilio Brentani in Senilità? Guarire se stesso e guarire la vita non è che una sciocca velleità: per salvarsi, l’unica ricetta è guardarsi con ironia, osservando con il sorriso la provvisorietà del vivere.

Le conclusioni del protagonista alla fine del romano rieccheggiano concetti propri del pensiero freudiano. La critica ha segnalato alcune pagine del saggio di Freud Il disagio della civiltà nel quale si legge:

Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto l’evoluzione civile degli uomini riuscirà a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva e autodistruttrice. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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