Il conte di Culagna
Alessandro Tassoni, La secchia rapita, I, 1–2; III, 11–13; X, 39, 54
La secchia rapita nasce, come scrive lo stesso Tassoni,
per curiosità di vedere come riuscivano questi due stili [eroico e comico] mischiati insieme, grave e burlesco; immaginando che ambidue dilettavano separati, avrebbono eziandio dilettato congiunti e misti.
La sua operazione, tuttavia, segna la definitiva crisi del romanzo cavalleresco, che da lui è rinnovato e degradato a racconto burlesco che non sarà più praticato successivamente.
L’operazione letteraria che Tassoni compie di fatto consiste nel parodiare il poema cavalleresco trattando alternativamente una materia umile in stile magnifico e un contenuto elevato in stile comico. Il risultato è un continuo altalenarsi di stili che — anche entro lo stesso verso — permette di accostare atti di valore a oggetti quotidiani e viceversa. Tale procedimento è evidente fin dalla prima ottava, dove si collega con la rima il memorando sdegno/ch’infiammò già ne’ fieri petti umani a un’infelice e vil secchia di legno.
Canto I: proemio
1
Vorrei cantar quel memorando sdegno,
ch ’infiammò giá ne’ fieri petti umani
un’infelice e vil Secchia di legno,
che tolsero ai Petroni i Gemignani.
Febo, che mi raggiri entro lo ’ngegno
l’orribil guerra e gli accidenti strani,
tu che sai poetar, servimi d’aio
e tiemmi per le maniche del saio.
Il proemio della Secchia rapita ripropone lo schema tradizionale: la prima ottava rappresenta la protasi che riassume l’argomento dell’opera, ovvero l’epico scontro tra Bolognesi (Petroniani) e Modenesi (Gemignani) nato per una secchia di legno, che è detta infelice, perché causa sventure alle due città.
Segue l’invocazione ad Apollo (Febo) che invece di ispirare, raggira il poeta, facendogli turbinare la mente ma — nonostante la confusione che crea — aiuta il poeta, tenendolo sotto controllo. tiemmi per le maniche del saio è un’espressione popolare che abbassa immediatamente il tono dopo la citazione mitologica.
2
E tu, nipote del rettor del mondo,
del generoso Carlo ultimo figlio,
ch’in giovinetta guancia e ’n capel biondo
copri canuto senno, alto consiglio,
se da gli studi tuoi di maggior pondo
volgi talor per ricrearti il ciglio,
vedrai, s’al cantar mio porgi l’orecchia,
Elena trasformarsi in una secchia.
Tassoni dedica il poema a Antonio Barberini (Tu) ultimo nipote di papa Urbano VIII (rettor del mondo), che appare come un essere mostruoso, perché sotto l’aspetto da giovinetto nasconde la saggezza di un vecchio.
Al termine dell’ottava l’effetto ironico conclude la dedica con una tipica metafora barocca che trasforma Elena di Troia, il cui rapimento scatenò le guerre omeriche, in una secchia.
Nel corso della narrazione a personaggi seri e virtuosi se ne accostano altri vili. Si assiste alla conclusione del processo di umanizzazione dell’eroe iniziato con l’Orlando di Ariosto e sviluppato dai paladini tormentati di Tasso: in epoca barocca i valori condivisi sono ormai decaduti, perciò al posto dell’eroe virtuoso della tradizione si trova come protagonista il meschino e goffo conte di Culagna, le cui imprese sono disavventure dovute alla sua inettitudine.
Libro III — il conte di Culagna
[…]
e ’l primo ch’apparisse a la campagna
fu il conte de la rocca di Culagna.
La sintetica descrizione del protagonista risulta comica perché gli abituali tratti del personaggio epico sono sistematicamente capovolti ala scopo di degradarlo da guerriero valoroso (un Sacripante) a vigliacco vanaglorioso (un pezzo di polmone)
12
Quest’era un cavalier bravo e galante,
filosofo, poeta e bacchettone;
ch’era fuor de’ perigli un Sacripante,
ma ne’ perigli un pezzo di polmone.
Spesso ammazzato avea qualche gigante,
e si scopriva poi ch’era un cappone;
onde i fanciulli dietro, di lontano,
gli soleano gridar: — Viva Martano. —
La presentazione apparentemente inizia in un tono serio con l’enumerazione degli attributi del conte, che sembra un guerriero dotato delle tradizionali doti cortesi (bravo e galante) e anche di una certa cultura (filosofo e poeta), ma la serie degrada immediatamente con l’aggettivo bacchettone, al posto di “religioso, fervido credente” che ci si potrebbe attendere. Segue un’altra enumerazione, regolata dall’antitesi: è un coraggioso nelle situazioni di calma e un pezzo di polmone nei pericoli, si vanta di aver sconfitto giganti, ma in realtà ha “sconfitto” un cappone, tanto che i bambini lo deridono senza alcuna remora.
13
Avea ducento scrocchi in una schiera,
mangiati da la fame e pidocchiosi;
ma egli dicea ch’eran duo mila, e ch’era
una falange d’uomini famosi:
dipinto avea un pavon ne la bandiera
con ricami di seta e d’ôr pomposi;
l’armatura d’argento, e molto adorna;
e in testa un gran cimier di piume e corna.
Anche il seguito del conte di Culagna è grottesco, poiché lo seguono duecento soldati in male arnese, sporchi e macilenti, ma lui li presenta come una falange di eroi. La parodia si gioca sul divario tra la realtà e la presentazione che il conte fa di sé, tanto che la sua insegna non può che essere un pavone, simbolo della vanità, e il suo elmo non può non essere adornato allusivamente da corna.
Il Conte di Culagna rappresenta il degrado dell’eroismo, non ha nulla della triste decadenza del Quijote di Cervantes. Nel romanzo spagnolo il protagonista, infatti, è un uomo che diventa pazzo dopo la lettura dei poemi epici cavallereschi, che crede essere veri. Pertanto muta il suo nome in Don Chisciotte della Mancia, veste gli abiti di un suo avo, sceglie come scudiero un contadino rozzo e ignorante, ma pieno di senso pratico, Sancio Panza, e parte alla ventura. La tragicità del Quijote consiste nel fatto che l’eroe crede fermamente nei valori cavallereschi ormai decaduti, mentre il conte di Culagna mente consapevolmente a se stesso e a tutti coloro che lo circondano, presentando una realtà in modo diverso da ciò che è per arroganza e presunzione. Purtroppo per lui nessuno crede nel suo inganno (i bambini lo deridono e l’autore stesso svela la distanza tra le parole e la realtà) e, inoltre, è un incapace, che fallisce in ogni sua impresa. Il conte, quindi, assume il ruolo del buffone, del bugiardo e del mistificatore, per di più incapace.
L’epica non riesce più a rappresentare la società e i suoi valori, perché l’eroismo non è più possibile, infatti i modelli eroici sono dissacrati, perchè in tutto il poema non c’è un eroe positivo: ogni personaggio è sbeffeggiato dall’autore e nessuno è modello eroico, tanto meno il conte di Culagna. Inoltre la guerra non ha nulla di risolutivo, in quanto scoppia per il furto di una secchia e si conclude senza alcuna soluzione delle cause del conflitto (rimozione della mancanza, cioè la secchia è restituita). La dissoluzione dell’epica cavalleresca è, infatti, attuata dal Tassoni anche tramite la trama del poema, che narra le grottesche e volgari imprese del conte e degli altri “cavalieri”.