L’inetto tra alienazione e rivalità

L’inettitudine di Alfonso Nitti

Luca Pirola
11 min readNov 30, 2020
Egon Schiele, ritratto di Albert Paris von Gütersloh, 1918

Il titolo del primo romanzo di Svevo, Una vita (1892) deriva direttamente da un’opera di Guy de Maupassant e fu scelto dall’autore in sostituzione di quello originario, Un inetto. Alfonso Nitti, protagonista del romanzo è infatti il primo degli “inetti” sveviani, un personaggio affetto da una sorta di debolezza psicologica che rende l’individuo incapace e impotente di fronte all’esistenza. In Una vita Alfonso è un letterato della piccola borghesia, impiegato in una banca, luogo in cui la sua “diversità si scontra con la logica del profitto e della carriera professionale.

Una vita, capitolo 5

L’episodio narra di una rivalità professionale tra Sanneo, capoufficio costretto a prendersi due settimane di ferie, e Miceni, il suo sostituto, che mal sopporta il ritorno alle mansioni precedenti dopo il rientro di Sanneo in ufficio.

Il primo a partire fu Sanneo il quale si prese quindici giorni di permesso mentre ne avrebbe avuto diritto a trenta. Fra gl’impiegati si asseriva che il signor Sanneo non sapesse restare per troppo lungo tempo privo del suo pane quotidiano, la posta e la polemica.

Sanneo vive del proprio lavoro, ha bisogno della propria corrispondenza e dei rimproveri che quotidianamente infligge agli impiegati del proprio ufficio. Per questo non solo si è autoridotto il periodo di feste, ma ha anche introdotto in banca il lavoro domenicale.

Alfonso, per caso, presente, Sanneo diede le istruzioni a Miceni, il quale nella sua assenza doveva fungere da capo. La stanza di Sanneo era posta accanto a quella del signor Cellani, più buia di questa perché un palazzo di faccia le toglieva la luce. Anche questa stanza, d’inverno aveva i tappeti, ma, salvo il tavolo di legno nero, largo e comodo, cedutogli dal procuratore che ne aveva preso un altro, i mobili erano identici a quelli degli altri impiegati: due armadi di legno dipinti rozzamente in giallo, una sedia di paglia e, di fianco all’unica finestra, un altro tavolo da cui era stato levato il palchetto.

La posizione e l’arredamento dell’ufficio rispecchia il ruolo professionale entro la banca. Sanneo ha una stanza arredata come gli altri impiegati, ma gode delp rivilegio di avere un ufficio privato accanto alla porta del vicedirettore, pur se in una posizione peggiore del suo diretto superiore. L’ambiente riflette la gerarchia di valori esistente nella società, in cui non esiste uguaglianza, ma il valore di un individuo è valutato in relazione alla professione e allo stipendio senza tener conto delle qualità morali o delle aspirazioni di una persona.

Sanneo, seduto, andava consegnando a Miceni che stava alla sua destra in piedi, lettera per lettera, un grosso pacco, indicandogli esattamente quanto avesse da fare a un dato giorno o dopo ricevuto altro scritto. Riponeva qualche lettera anche dopo data tutta la spiegazione osservando con una smorfia che c’era tempo per rispondere e che voleva farlo lui a suo tempo. Si capiva che gli seccava di abbandonare a Miceni tutta la sua gestione.
Miceni ritornò nella sua stanza col capo ritto, la figurina tesa, il passo rigido. Si sedette e con un sorriso sprezzante mormorò:
— Tante spiegazioni come se fossi da ieri alla banca. […]

Miceni riceve in piedi le indicazioni per sostituire Sanneo dal suo capufficio che rimane comodamente seduto. La descrizione dei rapporti umani all’interno dell’ambiente bancario ha chiari rimandi alla struttura gerarchica. Lo stare seduto mentre si parla a un subordinato in piedi esprime la superiorità di Sanneo sull’impiegato.

Miceni, pur irritato per le spiegazioni ricevute come se fosse un novellino senza esperienza, ritorna in ufficio con passo impettito assumendo già la postura di comando derivante dall’incarico di sostituto del responsabile della corrispondenza. L’avanzamento di carriera, seppur temporaneo, è vissuto come un’elevazione personale.

Miceni occupò la stanza di Sanneo per essere alla mano dei direttori. Riceveva gli ordini direttamente dal signor Maller o dal signor Cellani e Alfonso gl’invidiava la disinvoltura con la quale trattava con tali alti personaggi.
Per Alfonso fu questo un intervallo di riposo a quel lavorio di copiatura a cui veniva costretto da Sanneo ed ebbe poscia spesso a rimpiangere questi quindici giorni. Non importava gran fatto a Miceni che venissero spedite molte offerte; per corrispondere all’impegno preso gli bastava che il lavoro d’obbligo venisse fatto intero e senza errori. Ebbe l’intelligenza di abbandonare subito il sistema seguito da Sanneo. Costui non dava da fare la posta corrente che a Miceni e a due altri impiegati; gli altri tutti facevano un lavoro basso di copiatura e di revisione di conteggi: «È preferibile un impiegato che comprenda a dieci imbecilli» soleva dire Sanneo. Miceni chiamò tutti ad aiutarlo e ad Alfonso toccò scrivere piccole lettere italiane di scritturazione, lavoro più variato e più piccolo di quello avuto sino ad allora. […]

Miceni. significativamente insediatosi nell’ufficio di Sanneo, modifica l’organizzazione del lavoro per mostrare la sua attitudine al ruolo dirigenziale e per ingraziarsi gli impiegati che prima erano sminuiti dal precedente sistema. Alfonso Nitti, al contrario, risulta estraneo a questa logica, non comprende il comportamento di Miceni e sente la propria incapacità di avere a che fare con i direttori della banca. L’impegno di Alfonso nel lavoro è ridotto al minimo necessario come evidenziato dalla sua percezione di questo periodo di novità, definito come un intervallo di riposo e dai verbi che descrivono le sue mansioni: prima veniva costretto da Sanneo, ora predilige la nuova organizzazione perchè a Miceni bastava un lavoro svolto bene.

Al suo ritorno, Sanneo salutò gl’impiegati più freddamente che alla partenza. Rientrato alla banca ridiveniva immediatamente il capo, mentre partendo aveva avuto il tempo di salutarli da collega.
Il primo giorno Miceni lo passò nella stanza di Sanneo per consegnargli i sospesi. Poi tutto riprese le vie usate e solo Miceni non seppe trovare la sua. Camminava per la banca più stecchito del solito, in ozio perché essendo assuefatto al lavoro di Sanneo non era occupato abbastanza dal suo. Rimpiangeva quei quindici giorni di quasi sovranità, lodava il contegno che avevano avuto con lui i direttori ma più di tutto esaltava il genere di lavoro di Sanneo.
— Questo è tutt’altra cosa! — esclamava con disprezzo accennando alle sue carte, — niente varietà e niente d’iniziativa!
Nella stanza era ora l’unico a lagnarsi della vita da travetto. Alfonso era ozioso perché Sanneo non gli aveva dato ancora da fare delle offerte e si godeva le poesie del de Musset.
Ben presto tutti alla banca seppero che i rapporti fra Miceni e Sanneo erano divenuti difficili e da tutti ne veniva attribuita la colpa a Miceni. […]

Al ritorno di Sanneo tutto torna come prima ma Miceni non riesce a ritornare semplicemente alle mansioni precedenti da semplice impiegato. Completamente diversa la reazione di Alfonso che gode del passaggio di consegne e della conseguente assenza di lavoro per leggere poesie.

La caratterizzazione dei personaggi segue le modalità del verismo, perché la rappresentazione degli stati d’animo — di Miceni o di Alfonso — avviene attraverso la registrazione dei segni esteriori, che riguardano le pose, i gesti, le modalità di saluto, la coloritura del viso o l’intonazione della voce.

Quest’inimicizia avrebbe potuto restare latente per molto tempo se Miceni in un momento d’ira non avesse chiaramente spiegato a Sanneo tutto il suo malvolere.
Erano le ore di maggior furia di lavoro, alla sera, e Sanneo trovò una lettera di Miceni fatta del tutto diversamente dal modo ch’egli avrebbe voluto; si rammentò anche che per quella lettera Miceni non s’era notabenato.
Venne da Miceni a passo di corsa, agitatissimo perché sospettava che l’errore fosse stato fatto scientemente.
— Questa lettera non può partire — e la scuoteva con la mano nervosa; — io voleva che si scrivesse altrimenti, non ha visto il notabene? Mi faccia vedere la lettera originale!
Visto che Miceni, che voleva guadagnare tempo, si moveva con troppa lentezza, prese lui il pacco di lettere, le sparse sul tavolo e ne trasse il corpo del delitto.
— Non vide questo notabene? — gridò furibondo.
Infatti era difficile non vederlo. Era fatto con una matita rossa; la prima gamba della N correva larga diagonalmente attraverso la facciata, la seconda era più breve ma soltanto perché dopo essersene staccata rimaneva parallela alla prima e lo spazio più non bastava; il B si spingeva più piccolo sin fuori della facciata e gli mancava una gobba.
— L’ho visto — gridò Miceni stizzitosi perché la predica gli era fatta dinanzi ad Alfonso e a White, — avevo però già domandato le istruzioni per le altre lettere, e quando mi capitò questa trovai troppo faticoso di correre fino da lei per chiederle delle spiegazioni che supponevo avessero ad essere, come al solito, superflue.
La sua voce aveva dei suoni acuti; una volta scoppiata, l’ira lungamente covata gli faceva dire tutto quanto pensava.
— Ah! così! — urlò Sanneo dopo un istante di sorpresa a tanta petulanza, e stracciò la lettera, — crede che io faccia i notabene per mio piacere? Rifaccia subito questa lettera!
Con voce tremante, interrotta dalla commozione, gli diede le istruzioni.
— Ma poiché non posso più fidarmi di lei, — aggiunse di nuovo gridando, — mi darà sempre, con la sua lettera, la lettera arrivata e si rammenti che se ne fa ancora di queste, mi rivolgerò al signor Maller per farle dire per suo mezzo le mie ragioni.
Miceni s’era già messo a scrivere, ma qui alzò le spalle con movimento quasi impercettibile ma completato da un sorriso ad aperta provocazione.
Asserivasi di Sanneo che gridava finché non trovava opposizioni e certo era che non amava le questioni e che per quanto stava in lui le evitava. Finse di non aver visto il gesto di Miceni e se ne andò.

L’ufficio è un ambiente dominato dalle stesse leggi di natura che da sempre governano l’evoluzione delle specie viventi. Questo microcosmo appare infatti organizzato in base a una rigida scala gerarchica, in cui tutti sono impegnati a progredire per avvicinarsi il più possibile al vertice.
I rapporti sono regolati dal principio di autorità, perciò le relazioni si mantengono su un piano di puro antagonismo, latente ma sempre sul punto di esplodere in conflitto aperto.

Miceni era rosso in modo che sotto ai baffetti neri brillava la pelle colorata; si sentiva stridere più fortemente del solito la sua penna sulla carta. Terminata la lettera, gettò con violenza la penna sul tavolo e gridò:
— Vuole che faccia anch’io come ha fatto White!
Dopo di aver consegnata la lettera a Sanneo spiegò ad Alfonso che anche a lui era possibile di emanciparsi da Sanneo, perché a costui bastava la corrispondenza con Vienna e l’Italia, e poteva lasciare a lui esclusivamente la corrispondenza con la Germania!
— Il signor Maller sa quanto io valga! […]
Ma Miceni non volle udire ragione. Nell’impazienza di fare la sua brava ribellione, non fu capace di attendere l’occasione propizia, pur sapendo che non poteva tardare di molto a presentarsi, perché Sanneo aveva periodicamente delle giornate di forte irritabilità nelle quali facilmente si lasciava andare a parole che anche in direzione sarebbero stati costretti a biasimare. Fu sua la colpa se Sanneo con tanta facilità ottenne la vittoria.

L’ostilità tra Sanneo e Miceni si consolida, ma pur essendo migliore il metodo organizzativo di Miceni, Sanneo ha una posizione di forze derivante dal suo ruolo perciò ha il sostegno della direzione della banca. Miceni non comprende questa logica, perciò si avvia verso il disastro personale e professionale, volendosi ribellare al sistema. La prolessi evidenzia l’ineluttabilità della rovina dell’impiegato, che alla fine non solo sarà trasferito, ma anche declassato.

Una domenica, un impiegato della stessa corrispondenza gli diede l’incarico, in iscritto come al solito, di scrivere subito a un cliente per invitarlo con energia di rimettere la copertura per differenze risultate in affari di borsa. Quantunque sapesse che l’ordine era stato dato da Sanneo, avendo il desiderio di andarsene, Miceni non lo eseguì e dichiarò che domenica non lavorava. L’impiegato riferì la risposta a Sanneo il quale andò su tutte le furie. Corse da Miceni e senza chiedere spiegazioni, con la schiuma alla bocca, gridò:
— Scriva immediatamente questa lettera! — e gettò l’avviso sul tavolo.
— Oggi è domenica, — rispose Miceni livido e tremante; il suo coraggio era voluto e la sua natura era da vile. — Di domenica io non lavoro.
Era stato Sanneo che aveva imposto alla corrispondenza di lavorare anche alla domenica mattina, ma cose di premura si eran fatte anche prima che egli divenisse capo; certi lavori non ammettevano dilazioni.
— Ah! così! — chiese Sanneo con voce pacata. Da un momento all’altro era ridivenuto calmo e se ne andò col suo passo rapido quasi non avesse voluto lasciar tempo a Miceni di modificare la sua risposta. […]
Alle nove della mattina del lunedì, Miceni venne chiamato dal signor Maller. In parte White, in parte Miceni stesso riferirono ad Alfonso la scena che ebbe luogo in direzione.
Miceni era entrato con un saluto fragoroso e un inchino diretto anche a Cellani ch’era presente. White che stava per uscire si fermò ad ascoltare.
— Il signor Sanneo si lagnò di lei, signor Miceni, — disse Maller molto serio; — perché si è rifiutato ieri di scrivere quella letterina?
— Ritenevo fossero cose che si potessero fare anche al lunedì, — rispose Miceni; all’ultimo momento s’era deciso di dare una forma dubitativa alla sua risposta.
— Ma se il signor Sanneo ordina che si devono fare alla domenica, — e Maller alzò la voce — son cose che si devono fare alla domenica.
La parziale ripetizione della frase di Miceni rendeva più dura la sua risposta.
— Ad ogni modo — obbiettò Miceni con un tono che chiedeva alla bontà del suo avversario di accettare per buono il suo argomento — è mal fatto da parte del signor Sanneo di obbligarmi a lavorare in giorno festivo.
— Avevo dato ordine io di fare e di spedire ieri stesso quella lettera, — rispose severamente il signor Maller.
Miceni ebbe dei suoni inarticolati; non c’era più nulla da rispondere.
White spiegò poscia ad Alfonso la gravità del caso toccato a Miceni. Veniva relegato alla contabilità e ad un posto inferiore perché la pratica del corrispondente non bastava a fare il buon contabile.
— Poi la noia per chi è abituato ad un lavoro più variato! Lì non avrà da fare tutto il giorno che cifre, cifre e cifre.

Il dissidio tra Sanneo e Miceli rappresenta un conflitto con la società borghese e con le sue convenzioni. Alfonso vive questo conflitto in ufficio con distacco e passività; non prende posizione, si estranea dalle logiche di carriera e dall’organizzazione dei ruoli nella banca, legge poesie e comprende le dinamiche sono quando White, il raccomandato da un importante banvhiere, gli spiega i retroscena. Pur non essendo interessato alla carriera, ciò che Alfonso Nitti oppone al mondo borghese, del lavoro, della concretezza e del consumo non è che subalternità, passività ed estraneità. I suoi propositi non vengono mai perseguiti fino in fondo. Tutte le sue aspirazioni si rivelano velleitarie, poiché egli si rivela non essere all’altezza di sostenerle ed è destinato al fallimento che si esprime in una condizione di paralisi o di stasi.

L’inetto non va confuso con il fallito. L’inettitudine di Alfonso sta nella sua rinuncia alla lotta, alla vita e ad esprimere la propria personalità, nel suo essere predestinato alla sconfitta e non nell’essere sconfitto.
L’inettitudine di Alfonso emerge in maniera dirompente quando messo a confronto con la determinazione di Macario, personaggio perfettamente a suo agio con la vita, tanto sicuro quanto Alfonso si rivela invece pieno di paure e di apprensioni.
Svevo rappresenta in questo modo l’antagonismo nella “lotta per la vita” tra “lottatori” e “contemplatori”. Il contemplatore Alfonso è debole e passivo, inadeguato in ogni circostanza importante, dominato dai temperamenti più energici.

Al centro del romanzo si definisce anche la dialettica salute-malattia: l’inettitudine di Alfonso, ovvero la sua malattia, si definisce ponendosi in opposizione alla “salute” di altri impiegati costituita dalla loro capacità di adeguarsi perfettamente ai meccanismi sociali e dalla sua sicurezza con cui affrontano la vita. Non a caso in banca disprezzano la letteratura e ritengono la sensibilità poetica un’inutile consolazione per perdenti.

Dal punto di vista stilistico la narrazione è in terza persona condotta da un narratore estraneo rispetto alla vicenda narrata che però interviene a giudicare e a commentare con interventi esplicativi ed a volte ironici, evidenziando il netto divario tra la sua coscienza dei fatti e quella più limitata del protagonista.
La tecnica narrativa rivela un superamento dei meccanismi narrativi propri del romanzo naturalista e verista per adeguarsi a rappresentare la problematicità della coscienza dei personaggi. Improvvise fratture interne creano momenti di sospensione narrativa in cui emergono punti di vista diversi da quello del personaggio centrale che viene quasi contestato e messo in discussione.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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