L’infinito

Il desiderio di Assoluto

Luca Pirola
6 min readApr 11, 2020

I piccoli idilli

I Canti composti tra il 1819 e il 1821 costituiscono i piccoli idilli. Idillio significa piccola immagine, Leopardi sceglie tale termini per le proprie liriche perché le poesie nascono da un’ispirazione esterna, poi interiorizzata. Si tratta per lo più di liriche brevi, in cui lo stato d’animo del poeta si riflette sulla Natura, ciò diventa spunto per amare riflessioni. Infatti la meditazione interiore, condotta in endecasillabi sciolti, scaturisce dal contatto con la Natura descritta in quadretti quotidiani e personali.
I titoli più conosciuti sono L’infinito, Alla luna e La sera del dì di festa; in questi idilli Leopardi riprende il repertorio lessicale della classico della letteratura italiana, ma riempie di significati nuovi i termini che “sembrano detti per la prima volta”.
I temi principali della poetica leopardiana che si riscontrano in questo periodo sono l’infelicità individuale in cui è marcato lo stato di esclusione, a causa del quali il poeta si sente incapace di raggiungere la felicità, perché è diverso dagli altri, è escluso dai rapporti umani. La rimembranza, il ricordo di un’età felice e la descrizione del paesaggio, visto come immagine del presente che si contrappone al ricordo.

L’infinito — analisi del testo

Nel più celebre degli Idilli, composto a soli 21 anni nel 1819, Leopardi riflette su una tematica centrale del Romanticismo europeo: lo sgomento che prova l’uomo confrontando la propria finitezza e fragilità all’immensità della natura e dell’universo, di cui coglie intuitivamente la potenza. La siepe che circoscrive lo sguardo e lo stormire del vento tra le foglie sono lo spunto per una meditazione lirica sul concetto di infinito creato dall’immaginazione: partendo da sensazioni relative ad esperienze limitate nello spazio e nel tempo, egli giunge a concepire l’idea di infinito e di eternità attraverso una continua dialettica tra elementi spaziali e temporali.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura . E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

La poesia è composta da quindici endecasillabi sciolti, un metro usato soprattutto nelle traduzioni di testi classici, quali l’Iliade di Vincenzo Monti, e in poesie di forte impegno e interesse civile, come i Sepolcri di Foscolo. La scelta di Leopardi, dunque, esprime la volontà di proseguire una tradizione lirica settecentesca, tuttavia utilizza questo metro tradizionale per esprimere temi soggettivi, introducendo una novità stilistica che proseguirà nei decenni successivi.
È possibile suddividere la lirica in due nuclei: il primo è originato da una sensazione visiva, lo sguardo bloccato dalla siepe, che stimola l’immaginazione del poeta e lo conduce all’idea di infinito spaziale (vv. 1–8); il secondo scaturisce dalla sensazione uditiva dello stormire del vento tra le piante, in virtù della quale Leopardi perviene all’intuizione di infinito temporale (vv. 8–15). Il passaggio tra i due momenti è scandito dalla pausa segnata dal punto fermo (v. 8 il cor non si spaura. E come il vento).

Le tappe del percorso descritto nell’idillio partono, dunque, da un dato naturale (questa siepe) che suscita in Leopardi una sensazione (mirando) la quale permette all’immaginazione del poeta (mi fingo) di superare i limiti fisici dell’uomo e della Natura (interminati spazi). Lo stesso percorso è seguito dalla sensazione uditiva: il vento — odo — mi sovvien — l’eterno.

La lirica è attraversata dall’opposizione ripetuta dei determinativi questo / quello, che indicano rispettiva- mente vicinanza o lontananza di oggetti e di luoghi nello spazio e nel tempo rispetto all’io del poeta: questo definisce tutto ciò che è vicino / finito e fa parte della realtà (v. 1 quest’ermo colle, v. 2 questa siepe, v. 9 queste piante, v. 10 questa voce), quello ciò che supera la realtà contingente e può essere raggiunto con l’immaginazione (vv. 9–10 quello infinito silenzio). Se questo, tuttavia, è il criterio generale, perché Leopardi attribuisce alla siepe, elemento concreto del paesaggio, l’aggettivo quella (v. 5) e ad astrazioni come immensità e mare l’aggettivo questo (vv. 13–14; v. 15)? In realtà la lirica non descrive una condizione statica e definita ma un processo dinamico, la cui caratteristica è il progressivo superamento del limite. Per questo motivo, anche la siepe appare distante e lontana quando il poeta, travalicata l’esperienza dei sensi, passa dalla percezione all’immaginazione; così, giunto alla fine del suo percorso, l’aggettivo questo testimonia come la realtà astratta e concettuale dell’infinito sia ormai effettivamente presente nella mente del poeta.

Analisi stilistica

La scelta dell’endecasillabo sciolto è fatta per conferire alla lirica un senso di fluidità musicale, come di un canto spontaneo che si modella liberametne sul movimento del pensiero e delle emozioni del poeta. La lunghezza di 15 endecasillabi sciolti, inusuale per una testo così breve, che solitamente sarebbe inscritta nel tradizionale sonetto permette a leopardi di dare alla poesia un andamento ritmico vario, libero da schemi obbligati di strofe e rime.

Il lessico accosta parole comuni e letterarie ed evidenzia i termini indeterminati. I vocaboli, che rimandano al significato di infinito, sono lunghi polisillabi e quasi sempre in essi è ricorrente l’allitterazione della a. Tale scelta induce a una pronuncia lunga e articolata, e dal ricorrere della vocale a tonica (v. 1 caro, v. 2 tanta parte, v. 3 guardo, v. 4 mirando e interminati, v. 5 spazi e sovrumani, v. 6 profondissima) il cui suono ampio esprime la vastità dell’infinito spaziale. Lo sgomento del poeta è, invece, reso dal suono cupo delle vocali o e u (v. 7 ove e poco, v. 8 cor e spaura).

La sintassi spezza frequentemente il verso per sottolineare momenti di profonda sospensione emotiva, anticipando l’incalzare di sensazioni profonde e coinvolgenti (v. 7 io nel pensier mi fingo; ove per poco; v. 13 e viva, e il suon di lei. Così tra questa).

Nonostante la frammentarietà della sintassi, la lirica suggerisce l’idea di una esperienza unitaria grazie ai numerosi enjambement che collegano i versi e trasformano il discorso in un unico fluire metrico e sintattico, così come lo stretto legame tra i gerundi sedendo e mirando (v. 4) è confermato dalla consonanza che unisce i due termini.

La meditazione sull’infinito è svolta attraverso l’uso di termini arcaici e desueti per valorizzare le sensazioni vaghe, proiettate in un assoluto fuori dal tempo; a ciò si aggiungono aggettivi e avverbi indefiniti e plurali intensivi per accentuare il senso di vastità senza confini (infiniti spazi, interminati silenzi); da sottolineare, infine l’uso frequente dei gerundi

Approfondimenti

Finito e infinito: la percezione dell’infinito non nasce dalla visione di immensi spazi, ma, al contrario, dalla limitazione imposta allo sguardo (vv. 1–3): l’ostacolo alla vista e la finitezza del reale stimolano il pensiero che si costruisce l’idea di uno spazio senza limiti, immerso in un silenzio e in una pace sovrannaturali (vv. 4–7). Anche il carattere effimero della voce del vento ha una funzione importante in questo processo, in quanto riesce a richiamare alla mente il pensiero della transitorietà delle epoche passate e, per contra- sto, l’idea di eternità (vv. 8–11 E come il vento / odo stormir tra queste piante, io quello / infinito silenzio a questa voce / vo comparando: e mi sovvien l’eterno). L’esperienza interiore del poeta si conclude in una perdita della coscienza di sé, nella quale il dato emotivo e quello intellettivo si compenetrano e l’idea di infinito diviene nello stesso tempo fonte di smarrimento e di dolcezza (vv. 13–15 Così tra questa / im- mensità s’annega il pensier mio: / e il naufra- gar m’è dolce in questo mare).

Poesia e immaginazione: la lirica presenta in forma poetica un nucleo tematico centrale delle riflessioni di Leopardi, secondo cui la realtà offre all’uomo solo piaceri finiti e perciò deludenti, mentre particolari sensazioni visive o uditive permettono di crearsi con l’immaginazione quell’infinito a cui tutti aspiriamo inutilmente

Le simmetrie rilevate sul piano tematico si riscontrano anche sul piano sintattico: all’interno dei due periodi relativi all’esperienza dell’infinito spaziale e temporale notiamo una serie di termini collegati per polisindeto dalla congiunzione e (vv. 4–6 interminati spazie sovrumani silenzi, e profondissima quïete; vv. 11–13 l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei).

Densa di significato è la metafora finale il naufragar m’è dolce in questo mare (v. 15), in cui l’accostamento del termine negativo naufragar all’aggettivo dolce sottolinea la contraddittoria complessità dello stato d’animo del poeta.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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