L’intellettuale e la società
La letteratura italiana nella seconda metà del XX secolo
Nel Secondo Dopoguerra si assiste in Italia ad una rinascita culturale dopo il Ventennio fascista, poiché la riconquista della libertà di espressione e la rinnovata partecipazione politica costituiscono un contesto di vivace attività degli intellettuali. I partiti politici (soprattutto il Partito Comunista Italiano) diventano luogo di elaborazione culturale, così che la riflessione degli scrittori si indirizza su temi legati all’analisi e alla riforma della società. Anche gli strumenti di comunicazione si ampliano, infatti il dibattito sociale e politico si concretizza in pubblicazioni di giornali e periodici. L’intensa e ampia produzione letteraria degli anni del Dopoguerra dà vita al fenomeno del Neorealismo, che concepisce la letteratura come strumento finalizzato all’educazione delle masse. Sotto questa etichetta filosofica e culturale , più ancora attraverso il cinema che la letteratura, scrittori affermati ed esordienti si cimentano con i temi del quotidiano, con particolare attenzione alla denuncia di situazioni di emarginazione.
Apocalittici e integrati
L’interesse culturale produce una una domanda culturale prima inesistente, grazie ad un ampliamento del pubblico di lettori a cui le case editrici propongono opere classiche e contemporanee per mezzo delle collane economiche. Si produce, così, una nuova relazione tra la massa e i letterati, poiché si determina un nuovo ruolo culturale degli intellettuali, i quali sono più vicini agli interessi e ai problemi della gente comune per le istanze di ricerca e per l’abbandono delle professioni tradizionali (insegnante, ricercatore universitario …) a favore di occupazioni più “commerciali”, quali redattore o direttore editoriali nelle case editrici, che per ragioni economiche devono tenere conto dei gusti e dell’evoluzione del pubblico. In tal modo gli intellettuali escono dalla loro “torre d’avorio” per avvicinarsi alla massa. tale trasformazione non determina una volgarizzazione del ruolo degli intellettuali, al contrario si costruisce un rapporto tra intellettuale e società più gratificante e positivo.
Negli Anni Sessanta, dunque, lo scrittore assume il ruolo di indirizzare e influenzare i gusti del pubblico analizzando con attenzione e descrivendo i mutamenti della società nelle sue opere, ma tendendo a proporsi come diverso dal pubblico attraverso atteggiamenti istrionici, anticonformistici e provocatori, che diventano caratteristica della dimensione artistica stessa.
L’artista non si limita più a utilizzare una modalità espressiva, ma cerca di esprimere il suo messaggio spaziando tra le diverse arti, con una predilezione per il cinema da parte degli scrittori, poiché la settima arte appare molto vicina alla narrativa ma più immediata nel raggiungere il grande pubblico. Il cinema rappresenta solo uno dei mezzi di comunicazione di massa sfruttati dagli intellettuali, che non disdegnano più di scrivere sui quotidiani o su periodici a grande tiratura o di figurare come autori di programmi radiofonici e televisivi. Ad esempio Italo Calvino nel 1968 fu autore di una memorabile lettura commentata dell’Orlando furioso trasmessa dalla Rai.
Le nuove tendenze non possono che influenzare la riflessione degli intellettuali che si interrogano sul proprio ruolo di fronte alla tecnologia ella comunicazione. In particolare ci si chiede se il predominio della tecnologia e della scienza possa mettere in crisi il ruolo tradizionale della letteratura: in un mondo in cui le relazioni tra autore e pubblico sono profondamente mutate in seguito all’avvento della televisione e della radio (negli anni Sessanta non si immaginava neppure la realtà del World Wide Web), poiché i prodotti letterari non possono più utilizzare solo la parola scritta come modalità comunicativa e in cui i gusti del publico determinano il successo o addirittura il valore di un’opera, quale senso può avere l’impegno intellettuale? Che ruolo può avere lo scrittore in un mondo omologato e massificato?
Nel 1964 Umberto Eco cerca di rispondere a queste domande con il saggio Apocalittici e integrati, in cui delinea l’esistenza di due categorie di intellettuali. Gli Apocalittici, in cui inserisce gli intellettuali che non accettano compromessi con il mercato di massa e cercano di realizzare un’arte di avanguardia, e gli Integrati, i quali sono convinti della necessità di sfruttare i nuovi spazi di comunicazione democratici offerti dalla tecnologia, celebrando il trionfo del progresso.
Tenendo conto di tale distinzione si possono individuare tre momenti nell’evoluzione della produzione letteraria in prosa nella seconda metà del Novecento: negli anni Cinquanta prevalgono le istanze più genuinamente neorealista focalizzate sulla testimonianza del recente passato e del presente al fine di preservare la memoria di eventi salienti. Nello stesso periodo si afferma il Meridionalismo di una considerevole parte dei narratori italiani, che porta alla produzione di romanzi di denuncia dell’arretratezza sociale ed economica delle regioni meridionali al fine di promuoverne lo sviluppo.
A partire dalla metà degli anni Cinquanta, esauritosi la spinta più prettamente sociale della riflessione intellettuale si assiste all’abbandono di un impegno civile e politico esplicito, perché gli autori indagano maggiormente sulla dimensione privata dell’individuo e sulle conseguenze interiori e relazionali dei mutamenti sociali ed economici conseguenti al miracolo economico. In particolare la crisi dell’individuo e la caduta degli ideali comuni — che sembrava essere superata nell’immediato dopoguerra — riporta gli intellettuali a un rifiuto della dimensione eroica e a una sottolineatura dell’incapacità di vivere il proprio tempo in una realtà sempre più anonima e disumanizzante.
Infine, a partire dagli ani Settanta, si afferma il postmodernismo la cui produzione letteraria è connotata dalla ripresa del romanzo storico come combinazione di realtà e fantasia e da un atteggiamento di disincanto nei confronti del progresso della condizione umana.
La poesia segna nel medesimo periodo la conclusione definitiva dell’esperienza dell’ermetismo senza che, tuttavia, emergano linee unificanti. Tra i più rappresentativi esempi di tale realtà disomogenea si possono citare Andrea Zanzotto, che — in controtendenza — prosegue la poetica ermetica attraverso uno sperimentalismo formale e un’indagine sul linguaggio; Mario Luzi attua una ricerca di tematiche corali e di uno stile nuovo attraverso la predilezione di forme discorsive; Edoardo Sanguineti, invece, rifiuta l’omologazione della società di massa e contesta il conformismo culturale per mezzo di una attenta analisi della disintegrazione dell’identità individuale e la scelta di espressione attraverso linguaggio volutamente provocatorio; infine Giorgio Caproni cerca di ottenere dalla sua poesia una maggiore concretezza, ottenuta attraverso la riflessione autobiografica, che lo conduce nella direzione di un deciso antisimbolismo alla ricerca del realismo e della chiarezza espressiva di sentimenti.