Lo sgomento di fronte alla violenza

Mario Luzi, Acciambellato in quella sconcia stiva

Luca Pirola
4 min readApr 9, 2020

La poesia è stata scritta negli anni ’70 quando in Italia imperversavano il terrorismo rosso e gli “anni di piombo”. Nella sterminata produzione di Mario Luzi le poesie politiche esprimono il grande spirito democratico del poeta e la sua avversione verso il terrorismo rosso e contro ogni forma di violenza che crea paura tra i cittadini. Mario Luzi fu tra i pochi poeti a far sentire la sua voce contro il terrorismo rosso e contro la inefficienza della casta politica di quegli anni. Smarrimento, angoscia, perdita di qualcosa di cui abbiamo una oscura coscienza, sono i movimenti dell’animo descritti in molte di queste poesie che compongono la raccolta Per il battesimo dei nostri frammenti del 1985.

Acciambellato in quella sconcia stiva,
crivellato da quei colpi,
è lui, il capo di cinque governi,
punto fisso o stratega di almeno dieci altri,
la mente fina, il maestro
sottile
di metodica pazienza, esempio
vero di essa
anche spiritualmente: lui –
come negarlo? — quell’abbiosciato
sacco di già oscura carne
fuori da ogni possibile rispondenza
col suo passato
e con i suoi disegni, fuori atrocemente –
o ben dentro l’occhio
di una qualche silenziosa lungimiranza — quale?
non lascia tempo di avvistarla
la superinseguita gibigianna.

Al termine della vicenda del rapimento di Aldo Moro, che ha tenuto l’Italia sospesa per 55 giorni, Luzi salva e difende solo il grande politico democristiano del quale descrive la morte in modo straziante e patetico facendocelo amare, morto, rannicchiato ed acciambellato nella Renault 4 rossa.
Questa poesia, in particolare, descrive il dramma della storia e del potere, attraverso l’implacabile e indicibile trauma della coscienza civile che si trova davanti al ritrovamento del cadavere dello statista assassinato.

Pure, davanti a questa catastrofe politica, a questo duro presentarsi della cronaca e della storia, Luzi esprime il suo pensiero attento al processo linguistico volto a ridare dignità e verità al linguaggio, violentato dai terroristi, dai politici egoisti, da coloro che attentano alla dignità dello Stato e della comunità nazionale. Pertanto il“rugoso” pugno della realtà è così bene evidenziato dalla potente, dantesca espressione dell’”acciambellato”, a cui risponde alla fine della prima strofe “quell’abbiosciato/ sacco di già oscura carne”, che già l’incubo è, come dire, accolto dalla umile, ma non rassegnata, “conoscenza per ardore”.
Tutta la violenza dei tempi è concentrata nell’aggettivo «sconcia», che esprime la degradazione della «stiva», il portabagagli di un’auto, usata per accogliere impietosamente delle spoglie mortali. La “sconcia stiva” non è solo il referente della bara-macchina, ma diventa la potente figura della storia che viviamo, la stiva è immagine del tormento che ostinatamente travaglia il nostro essere, sempre, nel mezzo del cammino, nella dantesca selva della perdita. Qui, abbiamo un corpo da cui è assento lo spirito vitale, è “fuori da ogni possibile rispondenza”, rispetto al passato dello spirito dell’uomo che lo animava e rispetto ai disegni, alle strategie di una lungimiranza che sembra assente, adesso; oppure, come evidenzia la domanda finale, alla fine della seconda e ultima strofe, “ben dentro l’occhio” della sua vista lontana e lunga?

La descrizione del cadavere rende il sentimento di angoscia nel riconoscere un individuo ridotto a inerte materia, ma si afferma anche il valore e la dignità della vita, di ciò che della vita continua ad esistere e a resistere, sebbene fragile e intermittente, forse per sempre. Luzi si riferisce all’anima cristiana oppure a una forma di estrema laica consapevolezza?

La poesia registra, infatti, un contrasto tra il fuori, con la perdita assoluta di sé, del proprio passato e del proprio futuro, e il dentro: «ben dentro l’occhio». Una forma di acquisizione finale, una «silenziosa lungimiranza», la comprensione di una verità, che gli altri non possono compiere: «non lascia tempo di avvistarla». È un debole barlume, che però non va perduto del tutto, che si insegue ma si esplica solo alla fine: «la superinseguita gibigianna».

Il ritmo delle due strofe si articola in un tono dolente e meditato, scandito dai participi verbali della prima strofa che come rintocchi lugubri suonano la morte della Repubblica italiana. La pacatezza del registro e la lentezza del periodare sono finalizzati teso alla costruzione di una poesia corale ricca di pietà e di commossa pienezza, adeguata al ricordo funebre di un uomo di cui si avverte immediatamente la mancanza. L’interrogazione finale di una verità irraggiungibile, richiama un dubbio amletico che non è destinato a trovare una risposta, ma a riproporre la forte irrequietezza dell’uomo contemporaneo di fronte a eventi percepiti come ingiusti e incomprensibili.
Il ritmo è rotto dall’enjambement, dai versi irregolari, spezzati e frantumati; eppure è reso solenne dalle anafore e dalle riprese interne (dei participi, di «lui», di «fuori»). Nel verso conclusivo, poi, si palesa attraverso il linguaggio di Luzi il senso ultimo della poesia: un miscuglio di termini alti, mal amalgamati con il lessico della civiltà di massa (super-) e un dialettalismo milanese (gibigianna: balenio di luce riflessa su un vetro o donna tutta fronzoli), provoca uno stridìo, qualcosa di incongruo, di straniante, proprio quando si intravede per un attimo una forma di salvezza, religiosa o laica che sia, acquistata con il sacrificio della vita.

Per contestualizzare

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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