Lucifero: il gran vermo
Dante, Inferno, canto XXXIV
Tempo: sabato 26 marzo, le sette pomeridiane, dopo il passaggio nell’emisfero australe le sette di mattina.
Luogo: cerchio IX. Il fondo dell’Inferno è un lago ghiacciato alimentato dal fiume Cocito e suddiviso in quattro zone: Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca.
Custode: Lucifero
Peccatori: traditori dei benefattori e dell’autorità umana e divina. Sono coloro che ingannano e provocano danni a persone e istituzioni a cui è affidata la felicità e la salvezza del genere umano.
Pena: sono immersi totalmente nel ghiaccio da cui traspaiono come pagliuzza imprigionata nel vetro; assumono varie posizioni: distesi, eretti a capofitto o rovesciati all’indietro.
Contrappasso: la ghiaccia che li avvolge sembra la concretizzazione del gelo del loro cuore, chiuso a ogni moto d’affetto. Essi sono peccatori che hanno freddamente premeditato il loro delitto e si sono dimostrati completamente avversi al calore della carità. Poiché ogni parvenza di umanità è esclusa, essi non possono comunicare in alcun modo. La loro condizione è il silenzio assoluto.
Prima sequenza: la Giudecca e Lucifero (vv. 1–67)
“Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira”,
disse ’l maestro mio, “se tu ’l discerni”. 3
Le terzine iniziali del canto — come usuale- fungono da introduzione e preparazione ai motivi trattati. Proprio in apertura si trova l’unica citazione latina della cantica, che annuncia in tono solenne e parodistico l’orrida comparsa di Lucifero, l’imperatore del Male.
La citazione, che significa “avanzano verso di noi le insegne del re dell’Inferno”, è un adattamento e una deformazione di un inno di esaltazione della croce cantato durante la Settimana Santa. Si intravede una vena ironica che segna la lontananza di Dante e Virgilio da Lucifero.
“se tu ’l discerni” al v. 3 è un indizio del buio che regna nelle profondità dell’Inferno, punto più lontano da Dio.
Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l’emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che ’l vento gira, 6veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio, ché non lì era altra grotta. 9
Il vago e pauroso panorama infernale, nebbioso e notturno, con un lontano mulino all’orizzonte (vv. 4–9) introduce l’agghiacciante presentazione dell’ultima zona del Cocito, la Giudecca e degli ultimi anonimi dannati (vv. 10–11). Il paragone con il mulino è appropriato perché le ali di Lucifero si muovono velocemente come le pale di un mulino, creando un vento gelido, per ripararsi dal quale Dante si rifugia dietro Virgilio; significativo il gesto allegorico del ripararsi dietro la ragione.
Già era, e con paura il metto in metro,
là dove l’ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro. 12Altre sono a giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte. 15
Le anime dei traditori sono immerse nel ghiaccio e non hanno la possibilità di comunicare: la gravità della colpa si attua in uno stato di sofferenza senza parola, completamente anonima. Dante non vuole che nessuno di questi peccatori sia riconosciuto né ricordato nel mondo.
Le posizioni dei peccatori sono distinte per il tipo di tradimento: chi ha tradito persone dello stesso rango sociale giace disteso; chi persone di rango superiore sta con il capo in giù e i piedi in su; chi di rango inferiore (ad esempio i signori nei confronti dei sudditi) sta con il capo in su e i piedi in giù; chi ha tradito persone dell’uno e dell’altro rango sta con il corpo inarcato (com’arco, il volto a’ piè rinverte, v. 15).
Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch’ebbe il bel sembiante, 18d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
“Ecco Dite”, dicendo, “ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t’armi”. 21
Virgilio introduce Lucifero prima chiamandolo Dite, nome che il poeta desume dal nome di Plutone nella mitologia classica, poi con una perifrasi (la creatura ch’ebbe il bel sembiante, v. 18), che ricorda che Lucifero era stato il più bello di tutti gli angeli prima di essere precipitato nell’Inferno da Dio a causa della sua ribellione e stravolto nell’aspetto. Infine consiglia Dante di farsi coraggio per sopportare la vista del dificio (v. 7) costituito da Lucifero e per andare oltre l’origine di ogni male.
Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco. 24Io non mori’ e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s’ hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo. 27
Dante cerca di esprimere la condizione di paralisi in cui lo ha ridotto la visione di Lucifero con un’opposizione di assoluta contraddittorietà, per l’inconciliabilità dei due stati (Io non mori’ e non rimasi vivo, v. 25). La consapevolezza di tale contraddittorietà lo induce alla spiegazione successiva (vv. 26–27) con cui attenua la tensione stilistica spiegando che era privato della vita e della morte.
Segue la descrizione di Lucifero, lo ‘mperador del doloroso regno (v. 28), rappresentato con un’esasperazione del contrappasso sia per analogia sia per contrasto: volle essere come Dio, ora ha tre facce, ma è un ammasso di materia, figura mostruosa, meccanica e macchinosa. Il peccato di Lucifero è il suo superbo sogno di onnipotenza e autosufficienza, fissato qui in una sorta di orrendo autismo diabolico. Pretendendo di realizzare la propria beatitudine con le sue esclusive forze, Lucifero ha rifiutato il lume naturale offerto da Dio e si è chiuso superbamente in sé. Tale chiusura viene punita nel contrappasso estremo di negazione di ogni possibilità espressiva, quantunque bassa e grottesca. Nel silenzio ottuso di Lucifero si può individuare la grottesca imitazione dell’ineffabilità di Dio.
Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno, 30che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dee quel tutto
ch’a così fatta parte si confaccia. 33
Lucifero è smisuratamente enorme, tanto che l’unico modo per descriverne le dimensioni Dante dice che c’è più proporzione tra un gigante e il poeta che tra una gigante e le braccia di Lucifero. La dimensione è commisurata alla gravità del suo peccato, quindi il gigantismo di Lucifero esprime l’enormità del peccato che Lucifero ha commesso, tanto che è assurdo pensare di farne una misurazione reale.
S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto. 36Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’io vidi tre facce a la sua testa!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia; 39l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta: 42e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. 45
Alla bellezza antica di Lucifero, prima della ribellione a Dio, si oppone una bruttezza uguale e contraria (vv. 34–36); la mostruosità di Lucifero è simbolica e grottesca: nelle tre facce (vv. 37–38) in una sola testa c’è l’imitazione e l’antitesi della Trinità.
La faccia centrale è rossa, simbolo dell’ira, ciascuna delle altre è posta sopra la rispettiva spalla, una delle due è bianco/gialla, simbolo dell’invidia sterile e impotente, l’ultima è nera (come i popoli che abitano alla sorgente del Nilo — quali/vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla, v. 45) , rappresentazione dell’odio.
Sotto ciascuna uscivan due grand’ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid’io mai cotali. 48Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello: 51quindi Cocito tutto s’aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. 54
Le ali sono sei, una coppia per ogni faccia (v. 46), a imitazione antitetica di quelle dei serafini, infatti le ali di Lucifero hanno una membrana nerastra come quelle dei pipistrelli (Non avean penne, ma di vispistrello, v. 49). Il movimento delle ali provoca tre venti (uno per ogni coppia, v. 51)con la conseguenza che tutta la palude del Cocito è gelata. La descrizione ributtante di volti di Lucifero è completata dalle lacrime che scendono dai sei occhi e dalla bava che cola dalle tre bocche (Con sei occhi piangëa, e per tre menti/gocciava ’l pianto e sanguinosa bava, vv. 53–54).
Da ogne bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti. 57A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla. 60“Quell’anima là sù c’ ha maggior pena”,
disse ’l maestro, “è Giuda Scarïotto,
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena. 63De li altri due c’ hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!; 66e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
Lucifero meccanicamente dilania con le sue fauci tre peccatori, come una maciulla (v. 56), uno strumento usato per frantumare le fibre del lino e di canapa per permettere la filatura. Il peccatore tormentato nella bocca centrale è Giuda Iscariota, traditore supremo del Cristo, ai lati sono puniti Giunio Bruto e Cassio Longino, uccisori di Giulio Cesare, perciò traditori dell’Impero.
Giuda è stritolato e ha la schiena graffiata dai denti di Lucifero, che gli graffiano la schiena; Bruto e Cassio hanno le gambe maciullate e il corpo che pende all’esterno; Bruto che non fa motto (v. 66) è l0unico che esprime una certa passione in questa zona dell’Inferno. I tre peccatori sono condannati alla pena suprema perché con il loro tradimento contro la Chiesa e contro lo Stato sono stati origine di innumerevoli peccati successivi.
Seconda sequenza: discesa e risalita del corpo di Lucifero (vv. 68–87)
Ma la notte risurge, e oramai
è da partir, ché tutto avem veduto”. 69
Di fronte a Lucifero il viaggio infernale di Dante è concluso, infatti Virgilio annuncia che hanno visto tutto (v. 69). Inizia qui la seconda parte del canto che narra l’uscita dalle profondità dell’Inferno.
Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai;
ed el prese di tempo e loco poste,
e quando l’ali fuoro aperte assai, 72appigliò sé a le vellute coste;
di vello in vello giù discese poscia
tra ’l folto pelo e le gelate croste. 75
Seguendo le indicazioni di Virgilio Dante si aggrappa alle sue spalle. Il poeta latino studia il momento e il luogo adatto per aggrapparsi alle ali di Lucifero per iniziare una discesa lungo il suo corpo. É da notare come Lucifero non mostri alcuna aggressività verso Dante e Virgilio e come la paura e il pericolo siano determinati più dalla situazione oggettiva della discesa aggrappati all’orrido corpo del demone che da un reale scontro. L’atteggiamento conferma sia la totale sottomissione di Lucifero alla volontà di Dio, sia la meccanicità della figura del re dell’Inferno.
La discesa lungo le ali non ha nulla di piacevole: le membrane sono coperte di peli (vellute coste, v. 73) e incrostate di sporcizia (gelate croste, v. 75) dove il corpo di Lucifero si incastra nella roccia; gli elementi tuttavia agevolano la discesa dei due “pellegrini”.
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
lo duca, con fatica e con angoscia, 78volse la testa ov’elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’om che sale,
sì che ’n inferno i’ credea tornar anche. 81
La perifrasi Quando noi fummo là dove la coscia/si volge, a punto in sul grosso de l’anche (vv. 76–77) indica semplicemente l’articolazione dell’anca. Arrivati a questo punto della discesa Virgilio con Dante sulle spalle si deve capovolgere completamente per iniziare una risalita lungo le gambe di Lucifero (vv. 79–81). Infatti il demone, confitto nella ghiaccia del Cocito, ha il bacino in corrispondenza del centro della Terra. Egli sporge sulla superficie ghiacciata nell’emisfero boreale, dal petto in su, pertanto Virgilio è sceso di vello in vello (v. 74) fino all’anca, ma ora deve volgere la testa in direzione delle gambe (zanche, v. 79) di Lucifero. Dante, non comprendendo il gesto, crede di tornare nell’Inferno (sì che ’n inferno i’ credea tornar anche, v. 81).
“Attienti ben, ché per cotali scale”,
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,
“conviensi dipartir da tanto male”. 84Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso
e puose me in su l’orlo a sedere;
appresso porse a me l’accorto passo. 87
Virgilio sale portando Dante sulle spalle lungo la coscia di Lucifero attraverso lo spazio esistente tra il corpo del demonio e la cavità in cui è infisso; i due si trovano a uscire per un foro nella roccia che dà accesso a una grotta (vv. 86–87); la guida depone Dante sull’orlo della spaccatura per poi raggiungerlo con un balzo.
Virgilio avverte Dante di fare attenzione perché deve condurlo lungo cotali scale (v. 82) per allontanarsi dalla malvagità infernale. La difficoltà di tale percorso morale è sottolineata perché andare verso il cielo, cioè verso il bene, costa una dura fatica, mentre scendere nel peccato è facile per la corruttibilità della natura umana.
Terza sequenza: l’uscita dall’Inferno (vv. 88- 139)
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com’io l’avea lasciato,
e vidili le gambe in sù tenere; 90e s’io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual è quel punto ch’io avea passato. 93
Dante non ha compreso, come la gente grossa (v. 92), di aver superato con Virgilio il centro della Terra; pertanto egli è convinto di ritrovare Lucifero nella stessa posizione in cui l’ha visto avvicinandosi in precedenza. Invece lo vede capovolto (v. 91) con le gambe che emergono immani e che si stendono ancora molto più su rispetto alla posizione in cui Virgilio lo ha deposto e raggiunto.
“Lèvati sù”, disse ’l maestro, “in piede:
la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
e già il sole a mezza terza riede”. 96Non era camminata di palagio
là ’v’eravam, ma natural burella
ch’avea mal suolo e di lume disagio. 99
L’allontanamento dal peccato è arduo, infatti Virgilio aveva percorso solo un breve tratto del percorso. L’allegoria significa che la ragione può aiutare nel cammino della Salvezza, ma non portare fino alla conclusione. Infatti Virgilio esorta Dante a partire, perché la via è lunga e ’l cammino è malvagio (v. 95).
Il percorso di risalita di Dante e Virgilio non è una sala (caminata, perché dotata di camino, v. 97) di un palazzo, ma una natural burella (v. 98), vale a dire una oscura caverna naturale. Dante oppone la luminosità di una sala destinata agli agi con il disagio di un luogo aspro e buio, che conserva l’orrore del fenomeno da cui è stato provocato (cfr. v. 125).
“Prima ch’io de l’abisso mi divella,
maestro mio”, diss’io quando fui dritto,
“a trarmi d’erro un poco mi favella: 102ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto
sì sottosopra? e come, in sì poc’ora,
da sera a mane ha fatto il sol tragitto?”. 105
Il cammino di Dante e Virgilio è accompagnato da una lezione scientifico-dottrinale sulla struttura fisica della Terra. Dante chiede alla sua guida la spiegazione di quanto ha appena visto, quindi domanda la causa del lago ghiacciato, della posizione di Lucifero e del fatto che sia passato dal mattino alla sera in così poco tempo.
Per indicare l’allontanamento dall’Inferno, Dante usa il verbo divella (v. 100) quasi lo si strappi a fatica dall’abisso del male.
Ed elli a me: “Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’io mi presi
al pel del vermo reo che ’l mondo fóra. 108Di là fosti cotanto quant’io scesi;
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto
al qual si traggon d’ogne parte i pesi. 111
Virgilio svela l’inganno in cui si trova Dante, che crede di essere ancora nell’altro emisfero (d’esser di là dal centro, v. 107), dove lui si è aggrappato a Lucifero, descritto come un verme che trapassa e corrompe il corpo della Terra (v. 108). Questa immagine esprime un permanente senso d’allarme, accentuato dai riferimenti biblici da cui è dedotta (Isaia 66, 24 e Marco 9, 45–46). Precisa poi che fintanto che Virgilio si calava lungo le ali erano ancora al di là del centro della Terra, poi quando si è capovolto (v. 110) hanno passato il centro della Terra, ’l punto/al qual si traggon d’ogne parte i pesi (v. 111), che secondo la dottrina aristotelica è il centro del cosmo e della gravità universale.
E se’ or sotto l’emisperio giunto
ch’è contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto 114fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
tu haï i piedi in su picciola spera
che l’altra faccia fa de la Giudecca. 117
Virgilio spiega a Dante che è giunto nell’emisfero australe, contrapposto a quello boreale dove si concentrano le terre emerse (la gran secca, v. 113) e al cui centro si trova Gerusalemme, luogo della passione e della morte di Cristo (l’uom che nacque e visse sanza pecca, v. 115); ai piedi di Dante vi è una piccola sfera costituita dalla parte opposta alla Giudecca (v. 117).
Qui è da man, quando di là è sera;
e questi, che ne fé scala col pelo,
fitto è ancora sì come prim’era. 120Da questa parte cadde giù dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fé del mar velo, 123e venne a l’emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui loco vòto
quella ch’appar di qua, e sù ricorse”. 126
Infine Virgilio spiega che quando nell’emisfero australe (qui, v. 118) è mattina di là è sera. I riferimenti di luogo sono dati dal personaggio in relazione alla sua posizione in quel momento.
Lucifero, precipitato dal cielo, è caduto sulle Terre emerse, che si ritirarono per evitare ogni contatto con lui, lasciandolo conficcare al centro della Terra. La Terra fuggendo, ha formato la montagna del Purgatorio al centro dell’emisfero australe (vv. 125 — 126).
Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono è noto 129d’un ruscelletto che quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
col corso ch’elli avvolge, e poco pende. 132
Al termine della natural burella, una lunga caverna (tomba, v. 128) si trova un luogo lontano da Belzebù (v. 127, termine biblico per indicare il capo supremo dei diavoli) noto per il mormorio di un ruscello che discende con lieve pendenza per un piccolo foro. Si è individuato il ruscello con il fiume Lete, che dal Purgatorio scende nell’Inferno trascinando tutte le impurità dei peccatori che si stanno purificando.
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo, 135salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. 138E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Per questo cammino buio (ascoso, v. 133) Dante e Virgilio tornano alla luce (chiaro mondo, v. 134) senza riposarsi un attimo, così da vedere le stelle. Tutte le tre cantiche terminano con la parola stelle. In questo caso l’intero verso conclusivo sembra esprimere un senso di sollievo e il respiro profondo aperto e naturale. Si prepara in questo modo il cambio di atmosfera che accoglierà Dante sulla spiaggia del Purgatorio.