L’ultimo borgo
L’ultima tappa nella ricerca del senso della vita.
Caproni eccelle nel presentare situazioni banalmente quotidiane — un viaggio, una gita in montagna, una partita di caccia, un incontro… — per farle diventare suggestive parabole di verità “altre”. La scena degli avventori dell’osteria, stanchi e demoralizzati evoca la ricerca metafisica dell’uomo, che cerca invano, con i mezzi limitati che ha a disposizione, di stanare la verità, di far luce sul mistero della vita; la fatica risulta inutile, perché “la ragione arriva a un punto in cui trova una frontiera e al di là non si può andare.”
La poesia è composta da strofette di versi liberi non rimati.
S’erano fermati a un tavolo
d’osteria.
La strada
era stata lunga.
I sassi.
Le crepe dell’asfalto.
I ponti
più d’una volta rotti
o barcollanti.Avevano
le ossa a pezzi.
E zitti
dalla partenza, cenavano
a fronte bassa, ciascuno
avvolto nella nube vuota
dei suoi pensieri.
Una comitiva è arrivata all’ultimo borgo, appunto, prima di un misterioso confine, oltre il quale ci sono misteriosissimi “luoghi non giurisdizionali”. I viaggiatori prendono una cena, prima di passare oltre. La poesia parla di come è stato il viaggio, di come si è affaticati alla fine, e sa che qualche cosa aspetta i viaggiatori oltre il confine. Più ancora della stanchezza pesa sui viaggiatori la delusione, perché si sono spinti dove non potevano giungere, senza trovare nulla, così dovranno tornare a casa a mani vuote.
Che dire.
Avevano frugato fratte
e sterpeti.
Avevano
fermato gente — chiesto
agli abitanti.Ovunque
solo tracce elusive
e vaghi indizi — ragguagli
reticenti o comunque
inattendibili.
I viaggiatori sono sfiniti. Il corpo è stanco, le parole mancano, i pensieri sono vuoti. Restano soltanto i ricordi delle informazioni frammentarie raccolte. Avevano chiesto alla natura (fratte e serpeti) avevano chiesto alla gente. Ma avevano trovato pochissimo e tutto il loro indagare era servito a poco o a nulla.
Caproni assume la funzione di narratore onnisciente che entra e riferisce i pensieri dei cacciatori. In realtà è un narratore insipiente, perché la mancanza di certezze non può far altro che raccogliere dati incerti, alludere a informatori indeterminati — e altrettanto ignoranti — a indizi vaghi e inattendibili. La mancanza di certezze allude alla mancanza di fede che Caproni esprime attraverso uno stile allusivo, costruito tramite frasi nominali e frammentate, in cui sono eliminati i verbi e i connettivi.
Ora
sapevano che quello era
l’ultimo borgo.
Un tratto
ancora, poi la frontiera
e l’altra terra: i luoghi
non giurisdizionali.
Ora sanno soltanto che quello che c’è dopo è misterioso: sono luoghi che non rientrano nella loro giurisdizione e sanno, ma l’hanno capito da soli senza aiuti dall’esterno, che lì dove si trovano è l’ultimo borgo. L’inserimento delle parole legate al campo semantico del limite (ultimo borgo, frontiera, altra terra) rappresentano il significato metaforico della ricerca dei cacciatori. I luoghi non giurisdizionali alludono al limite invalicabile della conoscenza umana, che non può spingersi oltre il piano delle precezioni sensibili. L’essere è avvolto in un mistero fitto e insondabile che risulta inconoscibile, se non per vaghi accenni, perciò l’uomo di fronte all’inconoscibile si ferma disarmato. In sostanza caproni descrive una ricerca effettuata in ogni luogo possibile, senza che i cacciatori sapessero cosa cercare: Dio, fondamento della vita umana, appare così al di fuori della portata dell’uomo, tanto lontano che l’uomo non può neanche concepirlo.
L’ora
era tra l’ultima rondine
e la príma nottola.
Un’ora
già umida d’erba e quasi
(se ne udiva la frana
giù nel vallone) d’acqua
diroccata e lontana.
E’ l’ora di passaggio. Le ultime immagini parlano di umidità, di erba, di acqua diroccata e lontana. Vola l’ultima rondine del giorno e la prima nottola.