L’umanizzazione dell’eroe

Ludovico Ariosto e l’Orlando furioso

Luca Pirola
8 min readOct 18, 2020

Nel capolavoro letterario del primo Cinquecento, l’Orlando furioso, si incontrano le due anime delle cultura dell’epoca: da un lato l’ideale aristocratico di perfezione umana e di armonia che vuole ignorare tutto ciò che è meschino e volgare, dall’altro la coscienza inquieta di una crisi, il senso dei limiti dell’uomo, l’attenzione alla realtà materiale. Questa sintesi si realizza in un poema del tutto favoloso, in apparenza lontanissimo dalla realtà, ma che ricrea la varietà inesauribile della condizione umana.

Il poeta e il suo ambiente

L’autore di questa costruzione fantastica e unica è Ludovico Ariosto, nato nel 1474a Reggio Emilia, città del ducato di Ferrara, cortigiano riluttante ad assumere compiti amministrativi per il suo signore, il duca d’Este, e letterato di corte consapevole delle proprie potenzialità. Ariosto, infatti, aspira ad essere solo il letterato, le cui opere daranno lustro e fama al suo signore.Nelle Satire [I, 229–231], infatti scrive:

Io, stando qui, farò chiara tromba
col suo nome sonar forse tant’alto,
che tanto mai non si levò colomba

Ariosto considera la corte il centro del mondo, il luogo dove si realizza pienamente il modello ideale di uomo: il nobile cavaliere. La cavalleria, infatti, è il valore dominante dell’ambiente di corte, nella quale si celebrano il coraggio, l’onore, la virtù militare.

Le vicende della vita lo costringono ad affrontare gli aspetti reali della corte: il poeta deve ad assumere incarichi politici e amministrativi, che svolge con scrupolo, ma con il sogno di ritirarsi in campagna a scrivere. Infatti, Ariosto vive la sua presenza a corte come un “lavoro” spiacevole, a cui è obbligato dalla necessità finanziaria, mentre il suo sogno è vivere di studi appartato con la sua famiglia. Ariosto, dunque, vive con contraddizione il suo ruolo di cortigiano, perché costretto a servilismi e compromessi, ma sogna la fuga dal reale, che si attua con l’uso dell’immaginazione creatrice, che supera l’angustia della realtà e gli permette di dare vita al poema che sarà il suo capolavoro.

Un umanista tra realismo e letteratura

Ariosto è pienamente un uomo del Cinquecento, un raffinato umanista, conoscitore e amante dei classici come testimoniato dalle sue opere “minori”. La raccolta delle sue Rime ci mostra una grande varietà di testi latini, a imitazione dei classici, e volgari, in stile petrarchista. Le opere teatrali sono scritte per l’ambiente di corte, sono Commedie scritte per i cortigiani, il cui scopo primario è divertire. Le prime Ariosto sono rifacimenti di Terenzio e Plauto, mentre quelle più recenti sono ispirate al Boccaccio e alla novellistica trecentesca. Un’opera decisamente di più alto valore sono le Satire che si richiamano al modello latino di Orazio. Si tratta di sette componimenti narrativi in versi di contenuto intimo e quotidiano. Tra le più originali figurano la prima Satira, che è un lamento personale per la volontà del cardinale Ippolito, di cui Ariosto era segretario, di mandarlo in missione a Buda. Nella seconda i preparativi per un viaggio a Roma diventano occasione per una descrizione della corruzione del clero e condanna del nepotismo. La Quinta narra della di Ariosto vita in Garfagnana come commissario; in particolare esprime la nostalgia per la lontaanza dalla famiglia.
Le Satire sono rivolte a familiari e amici per descrivere situazioni quotidiane con ironia e disincanto; Ariosto è capace di elevare al rango di componimento poetico la realtà quotidiana. Della personalità del poeta emerge l’esigenza di serenità e pace, il desiderio di una piccola casa da condividere con i suoi libri e con la moglie.

L’Orlando Furioso

Jean Auguste Dominique Ingres, Ruggero salva Angelica

Il poema è l’opera di una vita, poiché Ariosto lavorò all’Orlando furioso per quasi trent’anni, dal 1504 fino alla morte (1533). Le edizioni del poema sono tre: la prima versione fu pubblicata nel 1516 e narrava in 40 canti, composti da ottave di endecasillabi (il metro della poesia narrativa) le vicendee le passioni degli eroi carolingi. Nel 1521, Ariosto cura una nuova edizione che si differenzia per un’accurata revisione linguistica Ariosto sceglie il fiorentino come lingua letteraria, così che si permetta di uscire dal provincialismo padano per riferirsi alla cultura più ampia del Rinascimento. Infine nel 1532 esce — dopo un’ulteriore revisione linguistica — l’ultima versione del poema, ampliata di sei canti che introdussero alcuni nuovi episodi.

Ariosto riprende il poema l’Orlando innamorato, in cui il suo predecessore alla corte estense, Matteo Maria Boiardo, aveva fuso le storie del ciclo carolingio, incentrate sulle avventure dei paladini di Carlo Magno, con quelle del ciclo bretone, cioè di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. L’ispirazione del Boiardo e la materia tradizionale, tuttavia, è completamente reinventata perché i cavalieri sono ritratti nelle loro debolezze umane, infatti sono guerrieri eccezionali, che si preoccupano di accorrere in difesa dei deboli, ma soprattutto inseguono le donne di cui sono innamorati e avventurieri in cerca di imprese personali. In questo modo gli eroi perdono la dimensione mitica per diventare umani a tutti gli effetti con debolezze, generosità e passioni, esprimendo il carattere tipico del Rinascimento che valorizza tutto l’uomo nella sua grandezza e miseria.

La trama, molto complessa per l’intrecciarsi delle storie di molti personaggi, segue tre filoni principali:
1. La guerra tra Cristiani e Mori
I guerrieri delle due parti si fronteggiano a Parigi. La guerra fa da sfondo a tutte le peripezie personali: la fuga di Angelica dal campo di Carlo durante la battaglia decisiva per Parigi, dà inizio a tutte le vicende.
2. l’amore
È
il “motore del romanzo”, la forza che spinge i personaggi ad affrontare situazioni nuove. Due sono le storie sentimentali principali:
a. La pazzia di Orlando La vana ricerca di Angelica da parte di Orlando porta alla pazzia quest’ultimo, quando scopre che Angelica si è innamorata di Medoro, un giovane scudiero musulmano. Orlando — senza razionalità — regredisce ad un livello subumano.
b. La storia di Bradamante e Ruggiero L’amore contrastato della guerriera cristiana Bradamante e del moro Ruggiero termina con il matrimonio tra i due; i loro discendenti daranno origine alla stirpe d’Este. Qui Ariosto inserisce il tema encomiastico, poiché dedica il poema al cardinale Ippolito d’Este, suo datore di lavoro.
3. Magia
Il f
antastico è sempre presente in ogni vicenda (anelli dell’invisibilità, fonti dell’amore, maghi, fate) ed è una metafora dell’arte, cioè della capacità dell’uomo di inventare.

Le fonti e l’originalità del poema
Ariosto trae ispirazione dai classici latini e greci, in particolare riprende situazioni e personaggi dall’epica greca (Omero) e da autori latini (Ovidio, Virgilio, Lucano, Lucrezio …). Come è possibile, tuttavia, che il poema risuti originale rispetto alle fonti? Innanzitutto Ariosto introduce una spiccata originalità nel tono narrativo: egli racconta in tono ironico, scanzonato e dissacrante le vicende mitologiche o mitiche a cui si ispira. Un secondo elemento di originalità è l’intreccio, la cui complessa trama intreccia numerose vicende senza che sia possibile ritrovare un solo filo conduttore della narrazione. Nonostante ciò Ariosto dà unità al suo poema nella struttura con cui si legano le diverse storie. Tutte le storie dei vari personaggi sono legate da fattori comuni, come il Caso che domina tutte le vicende dei personaggi. Inoltre il poeta assume un atteggiamento per cui è il “Creatore che guarda la sua creatura”, ciò significa che guarda dall’alto tutti gli spostamenti e gli incontri dei suoi personaggi con un distacco ironico che gli permette di dominare con la sua creatività la complessità del reale. Ariosto si permette anche di inserire nella narrazione dei suoi interventi diretti che mostrano al lettore la fantasia del mondo narrato dal romanzo.
Ultimo, ma forse determinante, elemento di originalità sta nella descrizione della precarietà umana: i personaggi sono uomini moderni alle prese con la fine delle sicurezze, delle illusioni. L’unica certezza è la casualità.

La struttura binaria
È possibile individuare un esempio della particolare gestione dell’intreccio da parte dell’autore nella narrazione della fuga di Angelica nel primo canto. Le vicende di Angelica di possono sintetizzare in questo schema:

Come si vede la vicenda prosegue per scelte: i personaggi si incontrano casualmente e si trovano davanti a delle scelte, farne una o l’altra determina lo svolgimento della storia, che è apparentemente dominato dalla Fortuna, ma in realtà si ricompone in un’armonia globale, in cui inizio e fine coincidono.
La struttura binaria, dunque, permette di coordinare le diverse vicende del poema, dando l’opportunità di narrare storie contemporanee tra loro, così che le storie nascono una dall’altra senza nesso logico, se non il caso degli incontri o dei ritrovamenti. Ariosto crea un intreccio a groviglio, in cui gli episodi si interrompono — spesso al culmine di una storia, con un modernissimo effetto di suspence— per lasciare spazio ad altre vicende e poi essere ripresi.
Ariosto è l’unico che domina la materia narrativa e gestisce i personaggi, attraverso i suoi interventi diretti per organizzare la narrazione

Ma non dirò d’Angelica or più inante;
che molte cose ho da narrarvi prima:
[XII, 66]

oppure per dare giudizi sui personaggi e le vicende

Era scritto in arabico, che ‘l conte
intendea così ben come latino:
[…]
ma non si vanti, se già n’ebbe frutto;
ch’un danno or n’ha, che può scontargli il tutto
[XXIII, 110]

infine per sottolineare l’ironia delle situazioni

Oh gran bontà de’ cavalieri antiqui!
Eran rivali, eran di fé diversi,
e si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona anco dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza sospetto aversi.
[I, 22)

Lingua e stile
Dalla prima edizione all’ultima Ariosto compie un progressivo adeguamento alle indicazioni del Bembo. Gli interventi sono finalizzati ad avvicinare il più possibile l’opera al volgare toscano letterario. Il risultato, tuttavia rimane molto simile a quello ottenuto dal Boiardo, ovverosia una specie di compromesso tra il fiorentino dei grandi scrittori trecenteschi e i volgari settentrionali, arricchito da latinismi, che era la lingua colta comune alle corti padane. Inoltre la non totale adesione alle teorie del Bembo deriva anche dal mantenimento di parole derivanti dalla tradizione cavalleresca. Il risultato è un linguaggio vivo e efficace.

Nell’opera convivono tutti gli stili narrativi. Tra una strofa e l’altra Ariosto passa dal tono epico, a quello colloquiale a quello elogiativo. Le variazioni di tono sono dominate dall’ironia che smonta i luoghi comuni letterari consolidati. A dare unità alla varietà che caratterizza l’Orlando furioso contribuisce l’ottava ariostesca, è mossa perché racchiude in un giro armonioso gioco di incisi e subordinate, con un andamento che è stato definito “a spirale”. Per rendersene conto, basta osservare uno degli esempi sintatticamente più elaborati:

Non, per andar, di ragionar lasciando,
non di seguir; per ragionar, lor via,
vennero ai padiglioni; ove narrando
il buon Rinaldo alla sua compagnia
che questo era Guidon, che disiando
veder, tanto aspettato aveano pria,
molto gaudio apportò ne le sue squadre;
e parve a tutti assomigliarsi al padre.
[XXXI, 34]

Il raffinato gioco metrico e sintattico non toglie niente al dinamismo narrativo e non impedisce di inserire in tono discorsivo un accenno di sapore molto quotidiano: l’osservazione che il figlio assomiglia al padre. Così l’ottava ariostesca concilia il decoro petrarchista con una forza propulsiva che spinge in avanti il racconto; può soddisfare contemporaneamente le esigenze di gusto classicista e quelle del lettore ingenuo che vuole immergersi nella narrazione movimentata e ricca di sorprese.

Per sintetizzare

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Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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