Mafia e politica

Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, capitolo 3

Luca Pirola
9 min readMar 16, 2020

Sciascia fu scrittore militante, civilmente impegnato, che non disdegnò l’impegno politico diretto, ma con spiccata indipendenza di giudizio che lo portarono a polemizzare spesso con le decisioni della dirigenza del PCI e dei governi in carica. Particolarmente accesa fu la diatriba seguita alla sua critica alla commissione antimafia, istituita nel 1962, dichiarandosi contrario alla pratica degli sconti di pena ai pentiti di mafia in nome della certezza del diritto. In tutta la sua opera letteraria ha indagato incessantemente, con acume e amarezza, le istituzioni e la società italiani, fra passato e presente, privilegiando col tempo soprattutto gli intrecci tra società e politica.

Il giorno della civetta -trama

La storia inizia con l’omicidio di Salvatore Colasberna in piazza Garibaldi a Sciacca, mentre sale sull’autobus che lo avrebbe condotto a Palermo. Colasberna era presidente di una piccola impresa edilizia di nome Santa Fara.
Arrivati i carabinieri, i passeggeri si allontanano e sull’autobus rimangono solamente autista e bigliettaio che, nonostante siano interrogati dalle forze dell’ordine, non riconoscono il morto né chi fossero i passeggeri.
Solo un venditore di panelle ricorda di aver sentito due spari che arrivavano da un sacco di carbone che si trovava vicino al cantone della chiesa.
A quel punto le indagini passano nelle mani del capitano Bellodi, comandate della compagnia di C.: emiliano, precisamente di Parma, ed ex partigiano, era destinato a diventare avvocato ma ha scelto di rimanere in servizio nell’arma in nome dei suoi grandi ideali. L’uomo non condivide affatto il clima di omertà di cui è pregna la Sicilia e di cui i siciliani sono rispettosi.
Bellodi, indagando, arriva a un suo confidente, da cui riesce, nonostante i palesi depistaggi dell’informatore, a ottenere il nome del possibile mandante, ovvero Rosario Pizzuco. Contemporaneamente al maresciallo viene detto il nome del presunto omicida, Diego Marchica detto Zicchinetta. Questi è un noto sicario processato e condannato per una serie di reati solo per poi essere scagionato da tutti a causa di insufficienza di prove.
Il confidente di Bellodi viene ucciso così il capitano ottiene una sua inquietante testimonianza, scritta appena prima di morire, grazie alla quale Marchica, Pizzuco e il padrino don Mariano Arena vengono fermati. Il fermo e il successivo interrogatorio non portano però a nulla di concreto.
I giornali parlano tanto del caso, con clamore, e pubblicano le foto di Arena insieme al ministro Mancuso, dimostrando così chi sono le persone a lui vicine e che lo sostengono. La situazione da vita a un dibattito in parlamento al quale partecipano due anonimi mafiosi e alcuni parlamentari.
Bellodi, che intanto rimane a Roma dopo aver preso un mese di licenza, legge sui giornali spediti da un carabiniere dalla Sicilia che il castello probatorio è stato abbattuto grazie a un alibi di ferro costruito per Marchica da personaggi rispettosi, uomini politici il cui solo interesse è tutelare la propria posizione. Dell’omicidio viene accusato l’amante della moglie e don Mariano viene liberato

Mafia e politica — analisi del testo

Mentre Bellodi conduce le indagini, in un bar di Roma, un importante politico chiede a un onorevole del suo partito (che si intuisce essere la Democrazia Cristiana) di far trasferire Bellodi poiché egli, designando l’omicidio di Colasberna come un omicidio mafioso, sta creando una serie di problemi.

- Non mi piace — disse l’uomo vestito di nero: aveva la faccia di uno che ha i denti allegati per aver mangiato prugne acerbe, cotta dal sole ed espressiva di una misteriosa intelligenza, e sempre con quella smorfia di disgusto — non mi piace davvero.
- Ma anche l’altro, quello che c’era prima, non ti piaceva: e che dobbiamo cambiarne uno ogni quindici giorni? — disse sorridendo l’uomo biondo ed elegante che gli sedeva a lato: anche lui siciliano, e soltanto nella struttura fisica e nei modi diverso dall’altro.
Erano in un caffè di Roma: una sala tutta rosa e silenziosa, specchi, lampadari come grandi mazzi di fiori, una guardarobiera bruna e formosa, da sbucciare come un frutto di quel suo grembiule nero: «non da farglielo levare» pensavano l’uomo bruno e l’uomo biondo «da scucirglielo addosso».

I due uomini non hanno nulla in comune se non il fatto di essere siciliani, elemento che determina un modo di concepire la vita e le relazioni unico ed esclusivo. I due a colloquio, pur provenendo da ambienti differenti, si intendono sulle modalità di intendere la società e i valori che la organizzano.
L’episodio del brano riporta — di fatto — un dialogo tra due personaggi anonimi, che resteranno tali nel corso di tutto il romanzo. Il lettore, tuttavia, comprende il ruolo preciso die questi due personaggi (il portavoce della mafia — un proprietario di zolfara — e un parlamentare) poichè la decodifica delle funzioni che ricoprono è inequivocabile.

- Quello non mi piaceva per la storia dei porto d’armi — disse l’uomo bruno.
- E prima di quello dei porto d’armi, ce n’era uno che non ti piaceva per la storia del confino.
- E che è cosa da niente, il confino?
- Non è cosa da niente, lo so: ma per un verso o per l’altro, mai uno che ti vada a genio.
- Ma ora la cosa è diversa: che un uomo simile stia dalle nostre parti, dovrebbe pungere piú a lei che a me… Ha fatto il partigiano: con la fungaia di comunisti che abbiamo, mandano uno che ha fatto il partigiano; per forza le cose nostre debbono andare a sfascio…
- Ma ti risulta che protegge i comunisti?

Il politico dà al mafioso del tu, mentre questi si rivolge con il rispettoso “lei”. La differenza evidenzia la diversa importanza dei due personaggi.
Il dialogo è interessante per la tecnica di definizione dei personaggi: i due interlocutori parlano del capitano Bellodi in modo indiretto. dichiarando che non è una cosa positiva lavorare con uno che ha fatto il partigiano; non è casuale, infatti, che questa informazione sia la prima notizia riferita al capitano e ritorni qui , dove il termine “partigiano” viene affiancato a quello di “comunista”. Il capitano viene percepito come un investigatore scomodo e, infatti, il dialogo tra i due siciliani termina con l’augurio che “ possa ritornar a mangiar polenta” perché estraneo al loro ambiente.

- Gliene racconto solo una. Lei sa come vanno le zolfare, in questo momento: io maledico l’ora in cui mi sono messo in società con Scarantino, nella zolfara che lei sa; ci stiamo rovinando, tutto il sangue mio, quel poco di capitale che avevo, la zolfara se lo sta mangiando…
- Dunque sei rovinato — disse l’uomo biondo, incredulo e ironico.
- Se non sono completamente rovinato, lo debbo a lei: e al governo che, per la verità, della crisi dello zolfo si prende preoccupazione…
- Se ne prende tanta che, col denaro che tira fuori, potrebbe pagare il salario agli operai, al giusto e regolarmente, senza farli scendere nella zolfara: e forse sarebbe meglio…
- Dunque: le cose vanno male. E, si capisce, vanno male per tutti: non è che lo scotto debbo pagarlo solo io, anche gli operai debbono pagare la loro parte… E non hanno avuto salario per due settimane…
- Per tre mesi — corresse l’altro sorridendo.
- Non ricordo con precisione… Ed ecco che mi fanno la protesta: fischi davanti casa mia, parolacce che non le dico; robe da ammazzarli… Ebbene: vado a ricorrere da lui, e sa che mi dice? «Avete mangiato oggi?» «Ho mangiato» dico. «E anche ieri» fa lui. «Anche ieri» dico io. «E la vostra famiglia non soffre fame, vero?» mi domanda. «Ringraziando Dio» dico «non la soffre». «E questa gente che e venuta a far cagnara davanti case vostra, ha mangiato oggi?» Stavo per dirgli «e che me ne fotto io se ha mangiato o non ha mangiato?» ma per educazione rispondo «non lo so». Lui mi fa «dovreste informarvi». Io dico «sono venuto da lei perché stanno davanti casa mia e mi minacciano: mia moglie e le mie figlie non possono uscire manco per andare a messa». «Oh» dice «le faremo andare a messa: siamo qui per questo… Voi non pagate gli operai e noi facciamo andare a messa vostra moglie e le vostre figlie» con una faccia che, lo giuro, e lei sa quanto sono caldo, mi faceva venire il prurito alle mani…

Lo stile di Sciascia è stato definito “prosa rapida e cristallina” da Calvino, poiché si presenta con frasi brevi, precise e incisive; caratteristica fondamentale è l’alternanza di dialoghi e descrizioni e la prevalenza di paratassi che rendono il linguaggio parlato.Stesso effetto ha l’uso frequente di paragoni per rendere ancora più chiare e concrete le situazioni che descrive, infatti la prosa procede per immagini. Soprattutto nelle parti narrative prevale un tono ironico, a volte sarcastico e disincantato, che non indulge mai all’enfasi, all’esasperazione del sentimento.

- Ah ah ah — disse in crescendo l’uomo biondo, con tono che riprovava la tentazione alla violenza e al tempo stesso raccomandava prudenza.
- I miei nervi ora sono forti come le corde di un argano: non sono piú quello di trent’anni addietro. Ma dico: si è mai sentito uno sbirro parlare cosí a un galantuomo? È un comunista, solo i comunisti parlano cosí.
- Non sono solo i comunisti, purtroppo: anche nel nostro partito ce ne sono che parlano cosí… Se tu sapessi la battaglia che dobbiamo sostenere giorno per giorno, ore per ora…
- Lo so, ma io faccio giudizio netto: sono comunisti anche loro.
- Non sono comunisti — disse malinconicamente assorto l’uomo biondo.
- Se non sono comunisti, basterà che il papa dice quello che deve dire, ma che lo dice chiaro e forte, e resteranno imbalsamati.
- Non è cosí semplice… Ma lasciamo perdere: torniamo alle cose nostre. Come si chiama questo… comunista?

Il linguaggio è allusivo, non si parla mai esplicitamente di mafia, ma si chiede come sta la “famiglia”, si dice di voler tornare alle “cose nostre”, il proprietario di zolfatara è percepito come uno che ha dei precedenti e una condanna al confino, l’onorevole appartiene a una forza politica avversa ai comunisti e riferentesi alla Chiesa, senza che nessuna informazione sia mai fornita in mod esplicito.

- Bellodi, mi pare: comanda la compagnia di C., ci sta da tre mesi e ha già fatto guasto… Ora sta cacciando il naso negli appalti, anche il commendator Zarcone si raccomanda a lei, mi ha detto «stiamo in speranza che l’onorevole lo faccia ritornare a mangiar polenta».
- Il caro Zarcone — disse l’onorevole — come sta?
- Potrebbe star meglio — disse l’uomo bruno, allusivo. — Lo faremo star meglio — promise l’onorevole.

Il titolo del romanzo è una citazione dall’ Enrico VI di Shakespeare “ … come la civetta quando di giorno compare”. E’ un ossimoro perché la civetta è un uccello notturno e quindi non può cantare di giorno. La civetta, dunque, rappresenta il potere nascosto dei mandanti, il delitto oscurato dall’omertà. Il giorno, invece, si identifica nel momento in cui la gente e le istituzioni saranno consapevolmente uniti nella lotta alla mafia ed avranno il coraggio di denunciarne pubblicamente i crimini.

Il Giorno della civetta appartiene alla categoria che possiamo definire del giallo contestuale: a Sciascia non interessa il colpevole, è attento invece a studiare una situazione, un contesto. Infatti il romanzo viola una norma non scritta che è alla base del genere letterario giallo: la scoperta della verità e la punizione del colpevole che il lettore si aspetta in quanto ha infranto un divieto. A questo proposito è possibile paragonare il capitano Bellodi al commissario Ingravallo del Pasticciaccio di Gadda in quanto il finale, più che un fallimento dell’indagine, mostra le difficoltà intrinseche ad ogni indagine sulla verità e, quindi, la necessità di non smetterla mai, che è il senso dell’ultima frase pronunciata da Bellodi, che — tornato a Parma — dopo una serata con gli amici,

prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.«Mi ci romperò la testa» disse a voce alta.

Personaggi e antitesi tematiche

Bellodi è definito dalgi altri personaggi come “un continentale” con sollievo e disprezzo insieme: “ i continentali sono gentili ma non capiscono niente”. Questi giudizi stereotipati rimandano all’opposizione fondamentale tra mafia e antimafia. Si tratta soprattutto di un opposizione culturale: la sicilianità viene affermata da chi nega l’esistenza della mafia. Inoltre tutti i siciliani del romanzo hanno nei confronti dei settentrionali un atteggiamento di sufficienza, così Bellodi diventa uno di quei settentrionali “pieni di pregiudizi che appena scendono dal traghetto cominciano a veder mafia ovunque”.
Al contrario, l’interesse di Bellodi per la Sicilia e i siciliani va ben oltre le necessità professionali: conosce a fondo gli scrittori siciliani, Verga, Lampedusa e Pirandello, considera i siciliani intelligenti, non pigri né privi di iniziativa. Insomma, quella di Bellodi è una doppia inchiesta: da una parte l’investigatore deve trovare la soluzione a una serie di delitti, dall’altra un uomo del Nord vuole capire la società in cui opera.

altra antitesi che Sciascia fa emergere nel dialogo fra Bellodi e il confidente rigaurda la loro diversa idea della legge e della giustizia:
Parrinieddu, il confidente che sarà poi ucciso considera la legge irrazionale, è creata da chi comanda e chi ha la forza e soprattutto non è uguale per tutti e viene applicata con l’arbitrio dagli stessi uomini che ne sono i rappresentanti. Per il capitano Bellodi la legge italiana è sorta da una guerra a cui lui ha partecipato come partigiano, dalla scelta di ribellarsi scaturisce l’idea di giustizia, che assicura a tutti la libertà, anche se diventa ogni giorno più difficile farla rispettare.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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