Non chiederci la parola

Eugenio Montale, Ossi di seppia

Luca Pirola
3 min readFeb 12, 2024
Kandinskij, composizione n.VII, 1913

La lirica è collocata in apertura della sezione Ossi di seppia perché con essa Montale definisce la sua poesia per via negativa. Il poeta non dispone di alcuna certezza e non è in grado di fornire un’interpretazione globale della realtà. Il testo svolge una funzione cruciale per la comprensione della raccolta, tanto che Montale riconosce in questi versi la chiave di volta della sua poetica. L’imperativo iniziale è negativo, preannunciando così l’impronta generale del componimento: è impossibile per un poeta che viva fino in fondo la cultura novecentesca, nata dal disordine e dalla frammentazione, una parola che dia forma all’informe (v.2) e che perciò abbia valore conoscitivo pieno e fermo.

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Il poeta amplifica la propria voce con un plurale maiestatis; all’ottimismo affermativo frequente nei miti illusori imposti dalla retorica fascista, il poeta preferisce una risposta di tipo negativo. Su una negazione, d’altronde, si apre la lirica e si aprirà la terza strofa.

Montale polemizza con i poeti del passato, che hanno descritto la condizione dell’umanità con lettere di fuoco (v.2) che presumevano di descrivere pienamente la realtà. Quella poesia, infatti, era fondata su una visione di certezza e funzionava come un prezioso ornamento (risplenda come un croco) capace di attirare l’attenzione su di sé, facendo dimenticare a chi la osserva lo squallore della realtà (polveroso prato).

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Ironicamente Montale si rivolge all’uomo sicuro di sé, che tuttavia vive nell’inconsapevolezza, non vedendo il risvolto oscuro delle cose (l’ombra sua, v.7) e la desolazione che lo circonda, simboleggiata dallo scalcinato muro (v.8), correlativo oggettivo dell’ostacolo che separa l’uomo dalla comprensione della realtà. La condizione di estraneità a se stesso si oppone all’atteggiamento del poeta che coglie il profondo disagio della condizione umana.

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

La poesia non possiede né formule scientifiche né magiche che possano spiegare o indurre nel lettore un’idea complessiva del mondo, o che possano introdurlo in universi sconosciuti. Dalla propria disseccata interiorità il poeta moderno può estrarre a stento qualche storta sillaba (v.10) dissonante, poiché è in grado di esprimersi solo in negativo. Montale fa suo il pessimismo inflessibile di Leopardi e di Schopenhauer, dando origine a una visione del mondo rinunciataria (a trovare un significato esistenziale) e coraggiosa (nell’affrontare la realtà). Il compito del poeta, dunque, non è consolare gli afflitti, ma squarciare il velo dell’apparenza e stabilire con il lettore una solidarietà fondata sulla comune consapevolezza di una realtà amara e irriducibile a una definizione precostituita.

La struttura della poesia si basa su due strofe dichiarative che ne incorniciano una descrittiva. La prima e la terza quartina sono in posizione antitetica come sottolineato dalla negazione, in posizione enfatizzata dall’anafora ai vv.1 e 9, e seguita dai verbi all’infinito. Inoltre si comunica il contenuto riguardo alla difficoltà di scrivere poesia attraverso il ricorso a parole dotte e sonorità aspre. La cura formale esprime la difficoltà di Montale di dire parole di certezza e dalla disillusa accettazione dei limiti umani, evidenzia il dubbio esistenziale del poeta.

In un periodo di crisi storica, contro l’idea nazionalistica e retorica del Fascismo, Montale si propone di rifondare il discorso sull’uomo, partendo da una conoscenza per esclusione che tocca anche l’ambito esistenziale. (ciò che non siamo, v.12) ed etico (ciò che non vogliamo, v.12).

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