Perch’i’ no spero di tornar giammai

L’amore lontano e la missione della poesia

Luca Pirola
4 min readOct 2, 2021
Donna che guarda dal balcone, affreschi di Castel Roncolo (BZ)

Si è pensato a lungo che la ballata di nostalgia e di lontananza fosse stata scritta da Guido Cavalcanti durante il suo esilio da Firenze.

In realtà la lirica si inserisce nel filone tutto letterario dell’“amore lontano”, inaugurato dai trovatori provenzali e giunto attraverso la scuola siciliana ai poeti stilnovisti. Il tema rappresenta un tentativo di radicale interiorizzazione dell’esperienza amorosa, giocata sulla contrasto dell’avere e non-avere, sulla possibilità, mai realizzata o bruscamente interrotta, di ottenere il premio d’amore. La narrazione presenta il poeta che vive (e si lamenta) una condizione di allontanamento (spesso forzato) dall’amata.

Ciò che colpisce a una prima lettura è la differenza tra questa poesia e le altre di Cavalcanti: qui non ci sono scene drammatiche, ma prevale un’analisi introspettiva svolta in forma intima e confidenziale, conferita dall’affettuosità colloquiale con cui il poeta si rivolge alla sua poesia.

Metro: ballata di stanze di dieci endecasillabi e settenari secondo lo schema di ABAB (fronte), Bccddx, precedute da una ripresa (vv. 1–6) con schema uguale a quello della sirma.

Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’ a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.

La ballata è l’interlocutrice del poeta, infatti è apostrofata come se fosse un messaggero inviato alla donna amata; Cavalcanti affettuosamente usa un diminutivo (ballatetta) per contribuire a tenere il tono poco elevato e intimo. Questa intenzione è confermata dagli aggettivi dolce e piana tipici dell’espressività dello Stilnovo.

Tu porterai novelle di sospiri
piene di dogli’ e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.

La lirica porterà alla donna le espressioni dell’amore del poeta: i sospiri, i dolori e le paure, la cui rivelazione è riservata alle persone che possono comprenderle e capirle, tanto che Cavalcanti ammonisce la ballata di evitare coloro che non hanno gentil natura. L’incomprensione della sofferenza amorosa del poeta sarebbe causa di ulteriore pianto e dolore, persineo dopo la morte spirituale causata dall’innamoramento.

L’identificazione del poeta con la sua ballatetta lo proietta in un indeterminato futuro successivo alla sua morte (vv.23–26); questo gli consente di prendere una certa distanza dalle sue sofferenze, di contemplarle quasi non gli appartenessero più, con un atteggiamento più malinconico che tragico.

Tu senti, ballatetta, che la morte
mi stringe sì, che vita m’abbandona;
e senti come ’l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch’i’ non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l’anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.

Nella strofa Cavalcanti descrive il sentimento amoroso come una distruzione con la consueta azione degli spiriti; in questa situazione l’anima riesce a esprimersi nonostante sia dilaniata e distrutta, aggrappandosi alla poesia che la porta via con sé.

Deh, ballatetta mia, a la tu’ amistate
quest’anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu’ ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se’ presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d’Amore».

La ballata porta con sé l’anima impaurita del poeta per guidarla al cospetto della donna amata. È un’anima tremante (altra tipica manifestazione d’Amore per Cavalcanti) che si esprime attraverso sospiri.

I quattro versi conclusivi introducono un topos della cultura cortese, quello dell’anima o del cuore divisi dal corpo dell’amante per raggiungere l’amata lontana; il termine servente (servo) è riferito all’anima che la ballata porta con sé, che è caratterizzata dall’essere partita, cioè separata dal corpo dell’autore.

Tu, voce sbigottita e deboletta
ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
va’ ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore.

Il terzo personaggio che agisce nella ballata è la voce che, insieme alla ballata e all’anima, porta il messaggio di Amore. Di fatto si tratta della voce dell’anima indebolita e disorientata dall’angoscia amorosa, che veicola il messaggio attraverso la poesia.

Non a caso nel testo ogni riferimento all’angoscia del poeta è accostato alla presenza amichevole e consolatrice della ballata, la quale è vista come la parte migliore di sé, equivalente alla sua voce, che sarà accolta benevolmente dalla donna e potrà stare con lei. Cavalcanti esprime così un’idea elevata di poesia, come veicolo della personalità dell’autore e somma espressione dell’esperienza amorosa, tipica degli stilnovisti.

Anche stilisticamente la ballata si rifà alle indicazioni dello Stilnovo, infatti l’intonazione affettuosa della poesia è sottolineata dalla semplicità delle strutture sintattiche, che conferisce al periodo un andamento scorrevole e fluido. L’armonia è enfatizzata dalla frequenza delle rime e dall’alternanza di versi brevi e lunghi che donano musicalità alla lirica.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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