S’ i’ fosse foco
Cecco Angiolieri e la provocazione mediante l’esagerazione
Cecco Angiolieri è autore di un canzoniere di 110 sonetti, quasi tutti comico-realistici; le sue poesie sono tematicamente vicine alla poesia goliardica — studentesca, ma non rappresentano necessariamente delle situazioni autobiografiche. Egli celebra in versi i piaceri della vita, l’amore come desiderio carnale, esalta il denaro come mezzo per soddisfare i propri desideri, spesso indulge nell’invettiva contro l’avarizia del padre che si amplia alla manifestazione di odio per i genitori o fastidio nei confronti della moglie.
Cecco Angiolieri è un poeta raffinato, colto, consapevole degli strumenti retorici che utilizza; in particolare in questo sonetto si cimenta in un gioco di esagerazione e provocazione attraverso la poesia. Immaginando di essere fuoco, vento, acqua, Dio, papa, imperatore, vita e morte, vuole utilizzare i poteri propri di ciascuno di questi elementi per tormentare gli uomini, il mondo e i suoi stessi genitori. Ma i progetti di distruzione espressi in questi versi non sono reali: fanno parte solo di una finzione letteraria tipica della poesia giocosa. E il poeta ce lo dimostra in chiusura del sonetto quando, tornato nei panni del semplice Cecco, introduce una nota comica che sdrammatizza l’intera poesia.
metro: sonetto con rime incrociate nelle quartine e alternate nelle terzine, secondo lo schema ABBA, ABBA; CDC, DCD
S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo;
La prima quartine parte dai tre elementi naturali (fuoco, aria e acqua), trasformati dalla rabbia del poeta in causa di devastazione e distruzione; i tre elementi costitutivi del mondo sono disposti in una gerarchia decrescente (anticlimax) che rispecchia la cosmologia medievale.
s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,
ché tutti cristiani imbrigherei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.
Successivamente, senza soluzione di continuità, Cecco chiama in causa le somme autorità: Dio creatore, (nella strofa successiva) il papa per il potere religioso e l’imperatore per l’autorità politica. Le tre autorità sono ordinate secondo lo stesso anticlimax precedente
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faría da mi’ madre.
Nelle terzine si giunge alla sfera privata e familiare: Cecco presenta padre e madre, datori della vita, augurando loro la morte. La condizione iniziale della terzina, cioè la morte del padre, è presupposto necessario per la conclusione del sonetto, che celebra la realizzazione del progetto di vita di Cecco.
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre,
e vecchie e laide lasserei altrui.
Infatti nell’ultima terzina Cecco invoca per se stesso un’esistenza all’insegna dell’unica legge che egli riconosce: il godimento carnale.
L’anafora del s’i’ fosse, protasi di un periodo ipotetico, si ripete dall’inizio per ben nove dei quattordici versi: dunque il tono dissacratorio e volutamente provocatorio del componimento non è da interpretare letteralmente, come uno sfogo estemporaneo contro Dio, il mondo e la propria famiglia, bensì va inteso come un raffinatissimo gioco letterario, sorretto da una forma stilistica estremamente elaborata.
Sul piano sintattico il sonetto è costruito su una serie di periodi ipotetici che coinvolgono nove elementi: fuoco, aria, acqua, Dio, papa, imperatore, padre, madre, Cecco stesso scanditi per altrettante volte dalla ripetizione della protasi s’ i’ fosse.
Dietro i motivi della malinconia per non poter godere appieno delle gioie del mondo, l’invettiva contro i genitori, la passione per le donne giovani e leggiadre si coglie il rovesciamento parodistico del plazer provenzale, che consisteva in un elenco di piaceri. A questi Cecco sostituisce una violenta invettiva impastata di desiderio di distruzione, che coinvolge i principi su cui è basato l’ordine del mondo.