Sensismo e preromanticismo
L’arte nell’età della Ragione
Nella prima metà del Settecento in Italia si assiste alla formazione di una coscienza del proprio ruolo da parte dei letterati, tanto che torna il mito di una Repubblica delle lettere capace di unire gli intellettuali al di là delle differenze individuali.
Tale concetto è parte di una rivoluzione culturale in atto nel Settecento europeo, le cui radici affondano nella vasta crisi del Seicento. La Glorious Revolution inglese aveva mostrato la possibilità di migliorare le istituzioni politiche senza sconvolgere l’ordine costituito; i viaggi intercontinentali avevano permesso di scoprire nuove culture con cui confrontarsi; in campo filosofico la rivoluzione scientifica galileiana e newtoniana aveva consentito che si affermasse il principio della verifica sperimentale; infine l’empirismo aveva valorizzato l’esperienza. Tutti questi dattori fattori furono alla base dell’Illuminismo.
Immanuel Kant, Che cos’è l’Illuminismo?
L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro.
Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza — è dunque il motto dell’illuminismo.
L’Illuminismo fu, dunque, un movimento culturale, la cui caratteristica principale fu la fiducia nella ragione, che avrebbe progressivamente migliorato le condizioni spirituali e materiali della civiltà umana, liberandola dai vincoli della tradizione, della superstizione e della tirannide.
I caratteri distintivi dell’Illuminismo
L’intervento della Ragione è descritto dagli illuministi con la metafora del buio e della luca: la Ragione ha il ruolo di rischiarare le tenebre dell’ignoranza, della superstizione e dell’intolleranza. Tale azione deve essere svolta da tutti gli uomini, perché ognuno è dotato di razionalità, perciò ognuno ha il dovere morale di usarla per conoscere la realtà per ciò che è. Da questa premessa si sviluppa lo studio critico delle tradizioni storico-religiose e filosofiche, per verificarne l’adeguatezza, senza dare nulla per scontato o per immutabile. L’analisi si amplia anche a considerare i sistemi politici, cercando dei percorsi di rinnovamento delle leggi e delle regole politiche che garantissero una maggiore efficienza e rispondenza ai criteri di razionalità
L’azione degli illuministi non rimane teorica, ma gli intellettuali cercano sempre un’applicazione pratica agli studi intrapresi nei vari campi, perché al centro del loro interesse è la realtà umana.Questa impostazione umanitaria implica che l’azione intellettuale deve portare a riforme concrete. Nello studio e nella critica, infatti, non si deve mai perdere di vista la finalità di miglioramento della condizione degli uomini, perché lo scopo primario è il raggiungimento della pubblica felicità. Dunque per gli Illuministi la somma virtù è la sensibilità, che unisce passione (necessaria per intraprendere un’azione incisiva) e ragione (che rappresenta il metro di giudizio di ogni atto o istituzione).
Pertanto gli illuministi contrappongono al dogmatismo religioso e alla repressività degli Stati una visione positiva della natura umana, considerata intrinsecamente buona, socievole e razionale. L’ottimismo illuminista considera la libertà e l’auto-realizzazione di ogni individuo come condizione necessaria alla felicità collettiva.
In questo quadro un ruolo fondamentale è attribuito all’educazione, il cui scopo è assecondare le inclinazioni naturali e l’istintivo desiderio di conoscenza.
I philopophés
Gli intellettuali illuministi, dunque, non sono più cortigiani al servizio della nobiltà e della corte, o eruditi sepolti nelle loro biblioteche, ma si pongono come legislatori, pronti a proporre soluzioni diverse ai problemi concreti della società.
L’intento di riformare la società porta con sé la necessità di divulgare le conclusioni degli studi e le proposte di cambiamento. I philosophès — così si definivano gli Illuministi — pubblicano ogni genere di scritto: opere filosofiche, romanzi e poemi, saggi giuridici, libri di viaggio, pamphlet e trattati. Alla varietà di pubblicazioni fa riscontro la formazione della pubblica opinione, costituita da un ampio e vario pubblico di lettori interessati i quali frequentano caffè e logge massoniche, leggono i giornali e si scambiano lettere e opinioni.
I luoghi della cultura
Gli intellettuali creano luoghi di incontro e dibattito al di fuori delle accademie e delle corti: i nuovi luoghi della cultura sono i salotti cittadini, i club, i caffè, dove si formano gruppi informali che si danno appuntamenti periodici per dibattere di argomenti di moda tra mondanità, filosofia e politica.
Un altro punto fondamentale di riferimento sociale e culturale sono i teatri cittadini e nazionali, dove accorre un pubblico vario, non più selezionato in base alle forme e ai generi dello spettacolo, ma suddiviso in diversi settori: la platea è riservata ai ricchi borghesi, i palchi alla nobiltà, il loggione ai ceti popolari.
L’idea di una cultura amichevole e per nulla elitaria si diffonde fin dai primi decenni del Settecento in Inghilterra, dove gli sviluppi dell’economia, la diffusione del benessere e la crescita dell’alfabetizzazione hanno ampliato il pubblico dei lettori. Da un lato i libri e i giornali devono rispondere ad una nuova domanda di cultura dei ceti cittadini e borghesi, dall’altro le condizioni del paese rendono l’editoria un’opportunità di investimento economico. Nasce un’industria editoriale di tipo moderno, si sviluppano nuovi generi letterari e compaiono i primi scrittori economicamente indipendenti, che vivono con il frutto delle loro opere.
L’Enciclopedia
L’opera più rappresentativa dell’intento divulgativo dei philosophés è l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, pubblicata in 28 volumi tra il 1751 e il 1772.
Alla sua stesura collaborarono i più noti illuministi francesi, da Voltaire, a Rousseau e Montesquieu, coordinati da Denis Diderot e Jean-Baptiste D’Alembert. L’opera si propone di riunire le conoscenze sparse sulla superficie terrestre, di esporne il sistema generale ai nostri contemporanei, e di tramandarlo agli uomini che verranno dopo di noi […] affinché i nostri nipoti divengano nello stesso tempo più virtuosi e più felici.”
L’organizzazione dei saperi dell’uomo segue una nuova scala di valori, poiché sono messe in evidenza le discipline matematico-scientifiche rispetto a quelle teoretiche, poiché i redattori vollero superare la separazione tra sapere pratico e speculazione filosofica; anche le “arti meccaniche”, cioè le discipline applicative come agraria, meccanica, falegnameria altre sono valorizzate come materie di studio.
L’Enciclopedia fu aspramente avversata dalla censura di Stato ed ecclesiastica per le opinioni critiche verso la religione, nonostante ciò fu pubblicata clandestinamente in tutta Europa ed ebbe larghissima diffusione.
Gli illuministi in Italia
Se in Italia la riforma culturale si concretizza in un primo momento nella produzione lirica dell’arcadia, successivamente intellettuali più consapevoli, come Pietro Giannone o Ludovico Antonio Muratori, scelgono di appoggiare le riforme dei principi con contributi specifici, basati su concrete competenze in campo storico e giuridico.
La più radicale messa in discussione della figura del letterato di corte si attua in Italia nella seconda metà del secolo, quando si diffonde il modello del philosophe, l’intellettuale — politico che si propone di guidare l’azione dei principi e dei governi in nome della “pubblica utilità”.
Si afferma che il vero fine della filosofia e delle lettere […] è di giovare alle bisogna della vita umana”, pertanto si dichiara che l’impegno culturale non può essere separato dall’impegno civile. A differenza dei philosophes inglesi e francesi gli intellettuali italiani sono isolati, per la esiguità della borghesia colta, perciò ripongono la propria capacità di azione concreta solo nell’appoggio dei sovrani.
L’arte e la letteratura nel secolo dei lumi
La tendenza tipica della cultura settecentesca di sottoporre al vaglio della ragione ogni campo del sapere influenza anche l’arte e la letteratura. Nel Settecento sono definiti i concetti estetici dell’arte che coinvolge tutte le discipline, concepite come espressione dell’unico principio estetico.
I presupposti di tale concezione risalgono al pensiero di Descartes che mira a condurre tutte le arti ad alcuni principi razionali e universalmente validi: contro il “cattivo gusto” e le “esagerazioni” del Barocco si afferma che la fantasia e sentimenti dell’artista devono essere sottomessi al “giogo della ragione” e che oggetto dell’arte deve essere il “vero”, espresso con il massimo di chiarezza, di naturalezza e di equilibrio, sul modello dei classici.
Le concezioni razionalistiche dell’arte si diffondono anche in Italia, sia pure in versioni più moderate, tese a conciliare le esigenze della ragione e l’imitazione dei classici con i diritti della fantasia e dell’immaginazione. Il Muratori propone il compromesso tra la fantasia e l’azione regolatrice del “buon gusto”, facoltà razionale che modera le passioni e insegna a distinguere il vero dal falso: dall’equilibrio di questi elementi deve scaturire uno stile pulito e capace di farsi capire e leggere da tutti i lettori, anche i più semplici.
Il sensismo e il sublime
Nella seconda metà del Settecento gli intellettuali si focalizzano sul tema dell’efficacia comunicativa dell’arte, perché si afferma il concetto secondo cui l’arte deve trattare di “cose” e non di “parole” affinché sia di concreta utilità sociale. I temi si ampliano alla trattazione di contenuti politici, filosofici e alle esigenze del pubblico borghese.
La maggiore novità, tuttavia, consiste nell’applicazione delle teorie sensistiche, che vogliono spiegare l’arte a partire dai suoi effetti percettivi e psicologici. Come ogni altra forma di conoscenza l’arte passa attraverso le sensazioni, la sua specificità consiste nell’offrire impulsi piacevoli e stimolanti, che potenziano le capacità del fruitore di pensare, sentire, volere. L’attenzione degli artisti passa dalla valutazione del rispetto delle regole alla considerazione degli effetti che produce sul destinatario: un prodotto artistico è valido se riesce a commuovere, colpire, interessare il lettore. Il compito dell’artista consiste nell’interrompere con la sua opera la noia, l’inquietudine, la malinconia che procurano all’uomo un malessere indefinito. Gli artisti, quindi, si concentrano sui gusti del pubblico, mettendo da parte i modelli rigidi tipici della cultura aristocratica.
Così nella riflessione degli illuministi sull’arte al culto della ragione si affianca sempre di più la considerazione del sentimento e della passione, pertanto si afferma l’estetica del sublime, un concetto artistico contrapposto al semplice “bello”, e basato sull’esame delle passioni umane. Lo scopo del sublime non è di offrire una sensazione gradevole, legata alla capacità rasserenatrice dell’ordine e dell’armonia, ma di stimolare violentemente tutti gli aspetti più oscuri e profondi della psiche, perché il sublime “può suscitare la più forte emozione che l’anima sia capace di sentire” (Burke)
Il concetto di sublime diventa di gran moda nel Settecento, tanto che l’arte si apre all’indefinito, al misterioso, all’oscuro alle passioni selvagge e ai sentimenti malinconici. All’artista non si chiede più il rispetto delle norme imposte o la padronanza della tecnica, ma una dose di fantasia, estro, entusiasmo e ispirazione: tutte caratteristiche tipiche del genio, che rappresenta il talento, essendo “il genio un puro dono di natura”. (Enciclopedia).
Il neoclassicismo e il preromanticismo
Direttamente derivanti dalle nuove idee sull’arte si afferma il neoclassicismo, orientamento artistico legato al desiderio di recuperare l’originaria semplicità e razionalità della natura umana, liberandola dalle distorsioni determinate dallo sviluppo delle civiltà.
La diffusione degli studi archeologici segna una maggiore distanza della contemporaneità dal mondo classico, visto come momento privilegiato della storia dell’umanità, caratterizzata dalla naturalezza perduta nella contemporaneità.
Joachim Winkelmann individua nella scultura greca classica l’esempio più alto di un’arte “secondo natura”, che condensa nella sua perfetta e armoniosa bellezza tutti i valori di equilibrio tra corpo e spirito, serenità e controllo delle passioni. Il desiderio dei contemporanei di imitazione della perfezione classica risponde, quindi, alle esigenze estetiche, ma anche filosofiche e morali, perché ripropone un modello di uomo libero e austero, in armonia con se stesso, con la natura e la società. In letteratura il neoclassicismo impone prescrizioni tematiche (riferimenti al mondo ellenico e alla mitologia) e stilistiche (descrizioni nitide e lineari, lessico aulico, scrittura elegante e controllata). Di fatto si ripropone l’ideale del “bello” come armonia tra le parti e dell’arte come imitazione della natura. Si ripudiano le “irregolarità” barocche in nome della compostezza e del controllo razionale.
Dagli stessi presupposti si sviluppa una concezione antirazionalistica e anticlassicistica dell’arte, che raggruppa una varietà estrema di esisti sotto il nome di preromanticismo. Il rifiuto di ogni regola che freni la libera espressione dell’artista, l’interpretazione passionale dei concetti di genio e sublime, l’esaltazione della natura selvaggia e incontaminata sono alcuni dei caratteri della poetica preromantica che si ritrovano in una serie di manifestazioni artistiche diffuse in tutta Europa, che si oppongono ai dettami del neoclassicismo.
In Italia i nuovi orientamenti si diffondono tramite le traduzioni dei poeti inglesi quali Macpherson, Gray e Young e sono interpretate da Goldoni nel teatro, Parini nella poesia e Alfieri.