Spesso il male di vivere ho incontrato

La saggezza della divina indifferenza

Luca Pirola
4 min readApr 14, 2020

Questa poesia fa parte della raccolta Ossi di seppia , ed esplicita il concetto cardine del sistema filosofico montaliano, il “male di vivere” che si staglia nella mente del lettore attraverso un susseguirsi di immagini che emblematicamente ne diventano l’espressione.

Il bene non è in alcun modo ravvisabile, se non nella “divina Indifferenza”, intesa come unica evasione possibile.

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

l tema della poesia è il male di vivere, condizione esistenziale dell’uomo moderno. Tale definizione non significa solo che l’uomo vive nella sofferenza interiore derivata dal fatto di non trovare un senso alla propria esistenza, ma significa anche che l’atto stesso di vivere è di per sé un male (il male di vivere = il male che è la vita).

Montale descrive la condizione umana attraverso l’uso di alcune immagini emblematiche: l’anafora di era…era introduce prima il faticoso fluire del ruscello (rivo) che gorgoglia (come in un lamento) impedito nel suo scorrere (strozzato: un ostacolo impedisce al ruscello di fluire liberamente), l’accartocciarsi della foglia bruciata dalla calura (riarsa: è rinsecchita e perciò si accartoccia — rimanda al consueto tema montaliano dell’aridità esistenziale che si rispecchia, oggettivandosi, nella natura) e il cavallo stroncato dalla fatica (stramazzato). È la tecnica del cosiddetto correlativo oggettivo, in base alla quale viene impiegata un’immagine simbolica per definire uno stato d’animo, un modo d’essere. Il poeta così non spiega la situazione esistenziale dell’uomo ma lascia che le immagini la suggeriscano. Tutto rimanda a segnali di potenzialità represse, di una vitalità resa fiacca e torpida.

Questi elementi costituiscono un climax ascendente, composto da tre manifestazioni concrete del “male” (il rivo strozzato, la foglia riarsa, il cavallo stramazzato); inoltre l’elenco è ulteriormente sottolineato dal netto enjambement tra i vv. 3–4.

Inoltre, il dolore e la fatica di vivere sperimentati dall’uomo sono resi da Montale con l’impiego di un lessico duro e aspro, che pone volutamente a cozzare tra di loro vari suoni consonantici: strozzato, gorgoglia (v. 2), incartocciarsi (v. 3), riarsa, stramazzato (v. 4).

Nella prima strofa l’espressione il male di vivere è un chiaro rimando al pessimismo cosmico del Leopardi, che afferma nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “[…] a me la vita è male”.

La prima strofa è, dunque, incentrata sul malessere esistenziale ravvisabile nelle situazioni quotidiane in cui si riscontra un crudele incepparsi delle cose. Montale trae alcuni esempi dalla realtà naturale, nel regno inanimato, animale e vegetale: “il rivo”, “la foglia”, “il cavallo”, colti in un momento di precarietà e dolore, come sottolineano gli aggettivi a essi collegati: “strozzato”, “riarsa”, “stramazzato”: il ruscello che non può più scorrere, la foglia che si accartoccia, il cavallo che è stroncato dalla fatica. È la constatazione che gli aspetti più dimessi e quotidiani rivelano un pianto delle cose che testimonia un cosmico male di vivere e un’uguale sofferenza degli uomini.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

La lirica si presenta perfettamente bipartita, anche concettualmente: il male è trattato nella prima strofa, il bene nella seconda. Ognuna delle due strofe presenta una dichiarazione teorica, alla quale segue una sequenza di immagini con funzione di esempio. In tal modo, le quartine risultano caratterizzate da un perfetto parallelismo.

L’unico bene possibile per l’uomo, secondo il poeta, è un atteggiamento interiore di distacco e disincanto, la divina Indifferenza. Questa parola è qui segnata con la maiuscola per sottolineare, tramite la personificazione, l’eccezionalità di questo modo di vivere, o meglio di sopravvivere contrassegnato dall’estraniamento, dal minimo dispendio della propria vitalità. Tale condizione è espressa attraverso il correlativo oggettivo della statua nelle ore sonnolente del meriggio, della nuvola e del falco che vola lontano. Il movimento ascensionale è enfatizzato dall’ultimo verso ipermetro, che si distende oltre misura rispetto agli altri, per rendere lo slancio del volo.

La strofa riprende il climax ascendente attraverso tre figure statiche (statua, nuvola, falco) che sono nettamente contrapposte al dinamismo pur sofferente della natura nella prima strofa. Infatti Montale elenca immagini-simbolo dell’immobilità e quindi dell’indifferenza. La statua viene caricata di un valore emblematico per indicare la staticità inerte insensibile delle cose. L’immagine del meriggio accentua l’immobilità e l’indifferenza della statua. La nuvola, poi, per la sua inconsistenza e il falco, per la sua libertà istintiva, sono colti mentre si stagliano nel cielo in un momento di staticità quando si levano alti, al di sopra della miseria del mondo.

Dal momento che la vita è caratterizzata dalla frustrazione, dall’infelicità e dalla morte, l’unico rimedio è quello portato da queste immagini: il torpore della statua, la solitudine del falco e della nuvola. Forme di vita estreme, che esprimono il rifiuto di ogni partecipazione emotiva all’esistenza.

Questa condizione è da intendersi come “atarassia” (dal greco ἀταραξία, “imperturbabilità”), termine che, dalla filosofia di Democrito in poi designa l’atteggiamento di distacco e di liberazione dalle passioni che dovrebbe perseguire il saggio. Dunque per Montale la disamina dei mali del mondo condotta nella prima quartina non può che condurre, come unica e precaria forma di felicità e bene, all’indifferenza rispetto ai propri tormenti interiori.

Dal punto di vista fonico i suoni aspri della prima quartina, in sintonia con l’immagine dell’angoscia esistenziale, sono sostituiti dai versi chiari e distesi della seconda quartina in sintonia con l’immagine dell’indifferenza e del distacco.

Il messaggio della lirica, quindi, può essere sintetizzato nella constatazione che il male di vivere può essere non annullato, ma almeno attenuato dall’indifferenza; questa, infatti, porta ad un distacco dalla realtà e quindi dal dolore. Il male di vivere che Montale descrive è, infatti, un male oggettivo, radicato ed evidente già dall’osservazione della natura quotidiana. Non c’è violenza nella poesia di Montale e la tecnica del correlativo oggettivo tende ad identificare questo male con elementi presenti nella normalità della vita e non derivante da un qualsivoglia atto violento.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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