Trieste
Il poeta e la sua città
Umberto Saba individua il tema centrale della sezione del Canzoniere Trieste e una donna nella propria “ambivalenza affettiva” verso i due grandi amori della sua vita: la città natale e sua moglie Lina.
Questa poesia in particolare è incentrata sul rapporto contraddittorio del poeta con la sua città: Saba è innamorato di Trieste, che ritorna spesso nelle sue liriche, ma sembra che l’intensità di questo sentimento lo spaventi, che tema di poterne restare ferito, tanto che la forte adesione sentimentale va di pari passo con il desiderio di solitudine e di separazione che nasce da un senso di diversità, di vulnerabilità.
Metro: venticinque versi raggruppati in tre strofe di lunghezza diseguale. I versi sono in prevalenza endecasillabi, con la presenza di settenari, quinari e un ternario.
Ho attraversata tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Lo spunto poetico deriva da un’occasione quotidiana, tradotta in versi in uno stile apparentemente semplice e comunicativo, ma in realtà complesso e sfumato. Un passeggiata cittadina attraverso Trieste verso un’erta (v. 2) — che richiama la metafora dell’esistenza vissuta con fatica (cfr. v.15) — e un cantuccio (v. 5) ai margini del centro abitato. I due luoghi solitari, diventano occasione per una vera e propria dichiarazione d’amore. Il contraddittorio rapporto tra il poeta e la sua città è espresso dalla marginalità della prospettiva che sceglie: Saba non dipinge Trieste dall’interno, ma la attraversa (v.1) fino ai suoi confini (vv.6–7) per poterla contemplare dall’esterno, da un angolo appartato e protetto, a distanza di sicurezza.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.
Nella seconda strofa il poeta contempla la propria città, contrapponendo l’io lirico alla totalità del mondo umano che si stende davanti ai suoi occhi, infatti in Saba la riflessione sopraelevata — che ricorda l’Infinito leopardiano — suggerisce la riflessione sulla propria identità esistenziale riflessa nell’immagine della città.
Trieste (termine collocato in posizione “forte”, in apertura del v. 8) diventa un elemento e un interlocutore dinamico nella poetica di Saba, che canta la sua città come se questa fosse dotata di vita propria. La città assume caratteri antropomorfi, viene qualificata dall’ossimoro scontrosa/grazia,sottolineata dal netto enjambement, ma subito attenuato da un dubbio (Se piace, v.9).Trieste (di cui il poeta, ai vv. 15–22, abbraccia con lo sguardo tutte le parti e tutti i quartieri) diventa un ragazzaccio aspro e vorace (v. 10) con cui il poeta ha un rapporto diretto e spontaneo, vissuto, tuttavia, con pudore e riservatezza. Infatti sono messi in evidenza il tormento (aria tormentosa, v.21) e la scontrosità che uniscono l’io lirico alla città. L’ amore/con gelosia tra il poeta e la sua città è reso appunto dalla ricorrenza delle opposizioni (talvolta, nella forma di veri e propri ossimori, ad es. vv.8–9 in cui il contrasto è rafforzato da un enjambement) presenti in questa seconda sezione.
La natura difficile e inquieta di Trieste si ritrova nei versi finali della strofa che danno un effetto di straniamento: un’aria strana, un’aria tormentosa,/l’aria natia (vv.21–22) dove l’aggettivo natia unito a strana e tormentosa suggerisce un profondo disagio in relazione alle memorie d’infanzia e al rapporto complesso che lega il poeta al suo luogo d’origine.
Il contrasto tra distanza e familiarità, infine, è reso anche dalle scelte lessicali: da un lato le parole elementari, che alludono a oggetti e sentimenti comuni (fiore, amore, gelosia), e le frasi che sembrano estrapolate da una conversazione quotidiano (ho attraversato tutta la città); dall’altro costrutti di stampo aulico, basati sulle anastrofi (ingombrata spiaggia, v. 16).
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
Trieste diventa dunque sia musa ispiratrice dei versi sabiani sia realtà a sé stante, con cui il poeta arriva sottilmente ad identificarsi e in cui proiettarsi: la città, in ogni parte […] viva conserva infatti un cantuccio per la vita/pensosa e schiva (vv. 24–25), infatti la terza, breve, strofa conferma e svolge le premesse, caratterizzando la vita del poeta. Non si risolve la conflittualità latente, ma la ripresa dell’immagine iniziale del cantuccio sembra implicare il naturale inserimento dell’uomo nel tessuto della sua città, che si rivela microcosmo e simbolo dell’universo totale.