Tutto in un punto
L’origine dell’universo nelle Cosmocomiche
Nel secondo periodo della sua produzione Calvino dimostra un vivo interesse per la scienza che frutta la pubblicazione delle Cosmocomiche nel 1965. Le teorie sull’origine del cosmo e della vita forniscono lo spunto per i racconti in cui la scienza viene mescolata a esperienze di vita quotidiana. L’intreccio di due livelli narrativi, quello della complessià scientifica e della normalità quotidiana, crea un effetto comico.
Le cosmicomiche possono essere considerate come una storia dell’universo dalla sua creazione e nelle sue continue modificazioni, l’opera si configura come una cosmogonia e al tempo stesso come una metafora dell’esistenza, perché ciò che intende analizzare Calvino, attraverso le storie sull’universo e sul mondo, è ancora una volta l’uomo contemporaneo. I rapporti tra Qfwfq e i personaggi che interagiscono con lui ricordano quelli degli uomini, in cui sono presenti elementi di conflittualità ed affetto, amore e incomprensione.
Il racconto, come tutti quelli della raccolta Le cosmicomiche, prende il via da un enunciato scientifico che viene sviluppato in modo molto personale da Qfwfq, il protagonista-voce narrante. Il racconto si svolge in un punto imprecisato dell’universo in un indeterminato momento futuro.
Attraverso i calcoli iniziati da Edwin P. Hubble sulla velocità d’allontanamento delle galassie, si può stabilire il momento in cui tutta la materia dell’universo era concentrata in un punto solo, prima di cominciare a espandersi nello spazio.
Si capisce che si stava tutti lì», fece il vecchio Qfwfq, «e dove, altrimenti? Che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva. E il tempo, idem: cosa volete che ce ne facessimo, del tempo, stando lì pigiati come acciughe?»
Ho detto “pigiati come acciughe” tanto per usare una immagine letteraria: in realtà non c’era spazio nemmeno per pigiarci. Ogni punto d’ognuno di noi coincideva con ogni punto di ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti. Insomma, non ci davamo nemmeno fastidio, se non sotto l’aspetto del carattere, perché quando non c’è spazio, avere sempre tra i piedi un antipatico come il signor Pbert Pberd è la cosa più seccante.
La teoria scientifica enunciata all’inizio è immediatamente animata in personaggi attraverso la voce narrante di Qfwfq, che porta la testimonianza diretta e autobiografica sul fenomeno in questione.
Il significato del titolo si intuisce fin dalle prime righe, quando il narratore interno descrive l’affollamento del punto in cui tutta la materia dell’universo è addensata prima del Big Bang. Tutti i personaggi sono nel medesimo punto, tale densità della materia è narrata come se si descrivesse la vita in un affollato condominio in cui non esiste la riservatezza, ma la vita di tutti è pubblica per la mancanza di intimità.
L’ambiente della narrazione è estremamente piccolo raggiungendo una dimensione surreale nella figura della donna delle pulizie che si annoia perché non c’è spazio neanche per consentire alla polvere di posarsi.
I personaggi sono entità non umane, anzi spesso inimmaginabili dalla mente umana, ma Calvino li modella come riferimento alla realtà più quotidiana e banale. Proprio l’attrito tra gli astrusi concetti scientifici e questa traduzione in termini quotidiani genera la comicità.
Quanti eravamo? Eh, non ho mai potuto rendermene conto nemmeno approssimativamente. Per contarsi, ci si deve staccare almeno un pochino uno dall’altro, invece occupavamo tutti quello stesso punto. Al contrario di quel che può sembrare, non era una situazione che favorisse la socievolezza; so che per esempio in altre epoche tra vicini ci si frequenta; lì invece, per il fatto che vicini si era tutti, non ci si diceva neppure buongiorno o buonasera.
Ognuno finiva per avere rapporti solo con un ristretto numero di conoscenti. Quelli che ricordo io sono soprattutto la signora Ph(i)Nko, il suo amico De XuaeauX, una famiglia di immigrati, certi Z’zu, e il signor Pbert Pberd che ho già nominato. C’era anche una donna delle pulizie — “addetta alla manutenzione”, veniva chiamata –, una sola per tutto l’universo, dato l’ambiente così piccolo. A dire il vero, non aveva niente da fare tutto il giorno, nemmeno spolverare — dentro un punto non può entrarci neanche un granello di polvere –, e si sfogava in continui pettegolezzi e piagnistei.
La promiscuità è tale che risulta addirittura impossibile rendersi conto di quanti individui stanno in quel punto. Infatti le relazioni sono limitate a coloro che sono a strettissimo contatto, perché non esiste la possibilità di muoversi per allargare le proprie conoscenze.
Già con questi che vi ho detto si sarebbe stati in soprannumero; aggiungi poi la roba che dovevamo tenere lì ammucchiata: tutto il materiale che sarebbe poi servito a formare l’universo, smontato e concentrato in maniera che non riuscivi a riconoscere quel che in seguito sarebbe andato a far parte dell’astronomia (come la nebulosa d’Andromeda) da quel che era destinato alla geografia (per esempio i Vosgi) o alla chimica (come certi isotopi del berillo). In più si urtava sempre nelle masserizie della famiglia Z’zu, brande, materassi, ceste; questi Z’zu, se non si stava attenti, con la scusa che erano una famiglia numerosa, facevano come se al mondo ci fossero solo loro: pretendevano perfino di appendere delle corde attraverso il punto per stendere la biancheria.
Oltre alla densità abitativa nel punto si accumulano le cianfrusaglie tipiche di una soffitta o uno scantinato, così che si enfatizza l’effetto di concentrazione. I problemi quotidiani dell’uomo moderno vengono fantasiosamente e umoristicamente calati in un universo immaginario e da qui portati all’estremo.
Anche gli altri però avevano i loro torti verso gli Z’zu, a cominciare da quella definizione di “immigrati”, basata sulla pretesa che, mentre gli altri erano lì da prima, loro fossero venuti dopo. Che questo fosse un pregiudizio senza fondamento, mi par chiaro, dato che non esisteva né un prima né un dopo né un altrove da cui immigrare, ma c’era chi sosteneva che il concetto di “immigrato” poteva esser inteso allo stato puro, cioè indipendentemente dallo spazio e dal tempo.
Nel racconto Calvino inserisce ammiccamenti ironici alla contemporaneità, come la satira dei pregiudizi delle genti del Nord nei confronti degli immigrati meridionali (molto radicati nelle grandi città del settentrione negli anni Sessanta). Infatti in questo affollato punto non mancano le discriminazioni, infatti la famiglia degli Z’zu è considerata “immigrata” senza che ciò sia rispondente alla realtà, in quanto l’universo è concentrato in quel punto, quindi tutto e tutti erano già lì dal principio. Tale repulsione deriva dalla differenza di abitudini: la familgia Z’zu accatasta le proprie masserizie, come se fosse appena arrivata, la descrizione richiama le proteste dei benpensanti nei confronti di chi appare diverso, perciò da rifiutare. Il pregiudizio sugli Z’zu consente a calvino di introdurre una riflessione sull’assurdità di ogni forma di discriminazione. La condanna dei pregiudizi è sottolineata dall’introduzione del personaggio simpatico a tutti, la signora Ph(i)Nko, che evoca ricordi sensuali in tutti gli individui. Si scoprirà al termine del racconto che la signora ha dato origine al moto di espansione della materia, teorizzato dagli scienziati.
La vita sul punto, quindi, rappresenta un mondo in miniatura in cui si muovono personaggi diversi, prototipi di persone del mondo reale e attuale.
Era una mentalità, diciamolo, ristretta, quella che avevamo allora, meschina. Colpa dell’ambiente in cui ci eravamo formati. Una mentalità che è rimasta in fondo a tutti noi, badate: continua a saltar fuori ancor oggi, se per caso due di noi s’incontrano — alla fermata d’un autobus, in un cinema, in un congresso internazionale di dentisti –, e si mettono a ricordare di allora. Ci salutiamo — alle volte è qualcuno che riconosce me, alle volte sono io a riconoscere qualcuno –, e subito prendiamo a domandarci dell’uno e dell’altro (anche se ognuno ricorda solo qualcuno di quelli ricordati dagli altri), e così si riattacca con le beghe di un tempo, le malignità, le denigrazioni. Finché non si nomina la signora Ph(i)Nko, — tutti i discorsi vanno sempre a finir lì –, e allora di colpo le meschinità vengono lasciate da parte, e ci si sente sollevati come in una commozione beata e generosa. La signora Ph(i)Nko, la sola che nessuno di noi ha dimenticato e che tutti rimpiangiamo. Dove è finita? Da tempo ho smesso di cercarla: la signora Ph(i)Nko, il suo seno, i suoi fianchi, la sua vestaglia arancione, non la incontreremo più, né in questo sistema di galassie né in un altro.
Sia ben chiaro, a me la teoria che l’universo, dopo aver raggiunto un estremo di rarefazione, tornerà a condensarsi, e che quindi ci toccherà di ritrovarci in quel punto per poi ricominciare, non mi ha mai persuaso. Eppure tanti di noi non fan conto che su quello, continuano a far progetti per quando si sarà di nuovo tutti lì. Il mese scorso, entro al caffè qui all’angolo e chi vedo? Il signor Pbert Pberd. «Che fa di bello? Come mai da queste parti?» Apprendo che ha una rappresentanza di materie plastiche, a Pavia. È rimasto tal quale, col suo dente d’argento, e le bretelle a fiori. «Quando si tornerà là», mi dice, sottovoce, «la cosa cui bisogna stare attenti è che stavolta certa gente rimanga fuori… Ci siamo capiti: quegli Z’zu…»
Avrei voluto rispondergli che questo discorso l’ho sentito già fare a più d’uno di noi, che aggiungeva: «ci siamo capiti… il signor Pbert Pberd…»
Per non lasciarmi portare su questa china, m’affrettai a dire: «E la signora Ph(i)Nko, crede che la ritroveremo?»
«Ah, sì… Lei sì…» fece lui, imporporandosi.
Per tutti noi la speranza di ritornare nel punto è soprattutto quella di trovarci ancora insieme alla signora Ph(i)Nko. (È così anche per me che non ci credo). E in quel caffè, come succede sempre, ci mettemmo a rievocare lei, commossi, e anche l’antipatia del signor Pbert Pberd sbiadiva, davanti a quel ricordo.
Il gran segreto della signora Ph(i)Nko è che non ha mai provocato gelosie tra noi. E neppure pettegolezzi. Che andasse a letto con il suo amico, il signor De XuaeauX, era noto. Ma in un punto, se c’è un letto, occupa tutto il punto, quindi non si tratta di andare a letto ma di esserci, perché chiunque è nel punto è anche nel letto. Di conseguenza, era inevitabile che lei fosse a letto anche con ognuno di noi. Fosse stata un’altra persona, chissà quante cose le si sarebbero dette dietro. La donna delle pulizie era sempre lei a dare la stura alle maldicenze, e gli altri non si facevano pregare a imitarla. Degli Z’zu, tanto per cambiare, le cose orribili che ci toccava sentire: padre figlie fratelli sorelle madre zie, non ci si fermava davanti a nessuna losca insinuazione. Con lei invece era diverso: la felicità che mi veniva da lei era insieme quella di celarmi io puntiforme in lei, quella di proteggere lei puntiforme in me, era contemplazione viziosa (data la promiscuità del convergere puntiforme di tutti in lei) e insieme casta (data l’impenetrabilità puntiforme di lei). Insomma, cosa potevo chiedere di più?
E tutto questo, così come era vero per me valeva pure per ciascuno degli altri. E per lei: conteneva ed era contenuta con pari gioia, e ci accoglieva e amava e abitava tutti ugualmente.
Quando la signora Ph(i)Nko manifesta il desiderio di fare le tagliatelle si origina il big bang, l’origine dell’universo. Ella con la sua generosa proposta ha messo in moto la forza dell’immaginazione creatrice; questa potenzialità umana, la fantasia, il desiderio di creare è stata sufficiente per superare la situazione statica del punto e iniziare il moto di espansione che ha orignato la vita. Spiegando l’espansione dell’universo in questo modo, l’autore suggerisce l’idea che la vita quotidiana con le sue ricchezze e le sue miserie e gelosie è più importante dei fenomeni cosmici. Qfwfq constata la differenza tra la scoperta di un paradigma scientifico e l’effetto che esso produce nella vita.
La condizione originaria della materia è ricordata con nostalgia, perché rappresenta una condizione sessuale, ideale, felice, senza conflitti né frustrazioni, perché tutti gli esseri sono compenetrati nello stesso spazio puntiforme. La signora Ph(i)Nko si trasforma in una sorta di grande madre, di divinità femminile e materna, calda e generosa, che con un atto d’amore (le tagliatelle) genera lo spazio e il tempo.
Si stava così bene tutti insieme, così bene, che qualcosa di straordinario doveva pur accadere. Bastò che a un certo momento lei dicesse: «Ragazzi, avessi un po’ di spazio, come mi piacerebbe farvi le tagliatelle!» E in quel momento tutti pensammo allo spazio che avrebbero occupato le tonde braccia di lei muovendosi avanti e indietro con il mattarello sulla sfoglia di pasta, il petto di lei calando sul gran mucchio di farina e uova che ingombrava il largo tagliere mentre le sue braccia impastavano impastavano, bianche e unte d’olio fin sopra al gomito; pensammo allo spazio che avrebbero occupato la farina, e il grano per fare la farina, e i campi per coltivare il grano, e le montagne da cui scendeva l’acqua per irrigare i campi, e i pascoli per le mandrie di vitelli che avrebbero dato la carne per il sugo; allo spazio che ci sarebbe voluto perché il Sole arrivasse con i suoi raggi a maturare il grano; allo spazio perché dalle nubi di gas stellari il Sole si condensasse e bruciasse; alle quantità di stelle e galassie e ammassi galattici in fuga nello spazio che ci sarebbero volute per tener sospesa ogni galassia ogni nebula ogni sole ogni pianeta, e nello stesso tempo del pensarlo questo spazio inarrestabilmente si formava, nello stesso tempo in cui la signora Ph(i)Nko pronunciava quelle parole: «… le tagliatelle, ve’, ragazzi!» il punto che conteneva lei e noi tutti s’espandeva in una raggiera di distanze d’anni-luce e secoli-luce e miliardi di millenni-luce, e noi sbattuti ai quattro angoli dell’universo (il signor Pbert Pberd fino a Pavia), e lei dissolta in non so quale specie d’energia luce calore, lei signora Ph(i)Nko, quella che in mezzo al chiuso nostro mondo meschino era stata capace d’uno slancio generoso, il primo «Ragazzi, che tagliatelle vi farei mangiare!», un vero slancio d’amore generale, dando inizio nello stesso momento al concetto di spazio, e allo spazio propriamente detto, e al tempo, e alla gravitazione universale, e all’universo gravitante, rendendo possibili miliardi di miliardi di soli, e di pianeti, e di campi di grano, e di signore Ph(i)Nko, sparse per i Continenti dei pianeti che impastano con le braccia unte e generose infarinate, e lei da quel momento perduta, e noi a rimpiangerla.
A chi gli chiedeva della sua vocazione favolistica, del perché preferisse scrivere storie di fantasia invece di storie legate all’attualità, Calvino, nella premessa al libro, rispondeva che il problema era di trovarla, la realtà, e di capire come fosse veramente: «Cos’è questa terra, cos’è questo tempo in cui siamo nati? Quale rapporto col mondo ci può sostenere nelle minacciose congiunture che si preparano?»
Creando non solo i nostri antenati, ma anche le loro origini biologiche a partire da quando non esistevano ancora e il tempo si misurava in anni-luce, Calvino non evade dalla realtà, ma crea la mappa di un universo ancora informe, in divenire che ha già le caratteristiche del mondo attuale, un’allegoria del presente. Il senso del viaggio nel fantastico diventa così la ricerca dell’origine di ciò che ci circonda e la premessa per una diversa interpretazione della società.
Protagonista e voce narrante de Le cosmicomiche è Qfwfq. Difficile poter dire chi è, perché in nessuno dei racconti è descritto. È un personaggio non-personaggio, privo di corpo, di identità, anche il suo nome è ambiguo o meglio ambivalente, perché può essere letto nei due sensi senza cambiare. Tutti i personaggi del racconto, d’altronde, hanno nomi nati dall’inventiva di Calvino:, alcuni assomigliano a formule chimiche, altri amplificano un suono o si possono leggere nei due sensi.
Del narratore in particolare non si sa nulla, è un’entità, non un uomo, o almeno non lo era prima che l’uomo facesse la sua comparsa sulla Terra. Di certo ha l’età dell’universo e qualunque cosa sia accaduta, dalla nascita dei pianeti a quella della vita, dall’uscita dei vertebrati dalle acque alla scomparsa dei dinosauri, lui era già lì, pronto a saltar su a raccontare come sono andate le cose. Più che un personaggio è una voce, un punto di vista, che attraverso il viaggio nello spazio ci mostra un atteggiamento più semplice e naturale nell’affrontare ciò che accade, anche se si tratta di enormi e complessi fenomeni cosmici.