Umorismo e comicità
Luigi Pirandello, L’umorismo, parte 2^, II — III — V — VI
Pirandello dà grande importanza al momento della riflessione. Il momento della riflessione serve a passare dall’«avvertimento del contrario», proprio del comico, al «sentimento del contrario», proprio dell’umoristico. Infatti la differenza sostanziale tra arte umoristica e arte non umoristica consiste nel diverso ruolo che svolge la riflessione nella concezione e nella realizzazione dell’opera. Mentre nell’arte non umoristica la riflessione (cioè il pensiero, l’attività critica) interviene al momento dell’ideazione e poi si eclissa, lasciando libero corso al disporsi armonioso e compatto degli elementi, nell’opera umoristica la riflessione diventa parte integrante dell’opera stessa: ogni elemento viene sottoposto continuamente a giudizio, messo in discussione, valutato da punti di vista differenti. L’essenza più profonda dell’umorismo è dunque un eccesso di ragionamento: invece di accontentarsi della prima impressione e lavorare su quella, l’umorista asseconda la tentazione di andare più a fondo, di scavare oltre le apparenze. Grazie al sentimento del contrario nell’esempio che segue la contraddizione di una vecchia che si trucca e si veste in modo incoerente con la propria età non suscita più il riso ma, se si riflette sulle ragioni per cui una vecchia si imbelletta come se fosse una giovinetta, si può giungere a compatirla amaramente.
II
[…] Ebbene, nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l’imagine; da questa analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario.
La prima preoccupazione dello scrittore è stabilire quale sia la differenza tra la riflessione nell’opera d’arte classica e in quella umoristica. La metafora dello specchio che riflette e restituisce il dato oggettivo sembrerebbe in un primo momento accomunare l’idea di un’arte armoniosa e organica (quella classica) al risultato dell’azione disgregante dell’umorismo. In realtà, la superficie riflettente osservata dall’umorista è sì ancora uno specchio, ma ormai andato in frantumi, ridotto a una miriade di schegge lucide e taglienti. Nell’opera umoristica la riflessione non è uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l’imagine. I frammenti di questo specchio rotto non possono più ricomporre l’immagine originale in una visione globale e coerente; o meglio, ci dicono che già in origine la realtà è multiforme, e che tale molteplicità prospettica non va nascosta, ma anzi mostrata dall’opera d’arte.
Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.
L’affondo teorico di Pirandello viene illuminato dall’esempio della “vecchia imbellettata”; qui lo scrittore chiarisce come vada inteso il ruolo della riflessione nel procedimento umoristico e in che cosa questo differisca da quello comico. Nella sua semplicità il passo è estremamente efficace, tanto che pare di vedere questa donna anziana passeggiare, agghindata a festa in modo ridicolo e goffo. Essa suscita il riso, perché chi la osserva “avverte” che è il contrario di ciò che un’anziana signora dovrebbe essere. “Avvertire”, tuttavia, non è “sentire”: su questa sostanziale differenza si gioca tutta la poetica dell’umorismo.
Di fronte a tale spettacolo, l’artista comico, che si ferma al primo avvertimento del contrario, si limita alla risata spontanea e superficiale; la sensibilità dell’umorista, invece, va oltre, per scoprire che, in realtà, la storia della nostra signora non è ridicola, ma addirittura tragica. Se la riflessione — questa speciale attività dello spirito — interviene a suggerire che trucchi, abiti e acconciature sono probabilmente il tentativo disperato di trattenere un po’ di giovinezza e, insieme a quella, l’amore del marito più giovane, allora il lettore cambia atteggiamento e una smorfia di amarezza compassionevole sostituisce la risata. In questo consiste il sentimento del contrario: esso non cancella il riso, né annulla la prima impressione, ma la corregge mettendola in prospettiva, permettendo di cogliere la profondità che si cela dietro la banalità dell’apparenza.
III
Abbiamo detto che, ordinariamente, nella concezione d’un’opera d’arte, la riflessione è quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira. Volendo seguitar quest’imagine, si potrebbe dire che, nella concezione umoristica, la riflessione è, sì, come uno specchio, ma d’acqua diaccia, in cui la fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere dell’acqua è il riso che suscita l’umorista; il vapore che n’esala è la fantasia spesso un po’ fumosa dell’opera umoristica.
Viene ripresa l’immagine dello specchio corrispondente alla superficie riflettente di uno stagno a cui è accostata una torcia accesa, il comico consiste nel riflesso sulla superficie del lume della torcia (che qui rappresenta il riso suscitato da qualche circostanza o personaggio). L’umorismo penetra invece in profondità: la torcia viene tuffata nell’acqua gelida sfrigolando ed emettendo vapore. Il riso dell’umorismo è perciò un riso smorzato dalla riflessione e dalla pietà.
— A questo mondo c’è giustizia finalmente! — grida Renzo, il promesso sposo, appassionato e rivoltato.
— Tant’è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica, — comenta il Manzoni.
Ecco la fiamma là del sentimento, che si tuffa qua e si smorza nell’acqua diaccia della riflessione.
Esteticamente e psicologicamente, l’umorismo può considerarsi come un fenomeno di sdoppiamento nell’atto della concezione: erma bifronte, che ride per una faccia del pianto della faccia opposta.
La riflessione, assumendo quella sua speciale attività, viene a turbare, a interrompere il movimento spontaneo che organa le idee e le immagini in una forma armoniosa. È stato tante volte notato che le opere umoristiche sono scomposte, interrotte, intramezzate di continue digressioni. Anche in un’opera così armonica nel suo complesso come I Promessi Sposi, è stato notato qualche difetto di composizione, una soverchia minuzia qua e là e il frequente interrompersi della rappresentazione o per richiami al famoso Anonimo o per l’arguta intrusione dell’autore stesso. Questo, che ai critici nostri è sembrato un eccesso per un verso, un difetto per l’altro, è poi la caratteristica più evidente di tutti i libri umoristici. Basta citare il Tristram Shandy dello Sterne, che è tutto quanto un viluppo di variazioni e digressioni, non ostante che l’autobiografo si proponga di narrar tutto ab ovo, punto per il punto, e cominci dall’alvo di sua madre e dalla pendola che il signor Shandy padre soleva puntualmente caricare.
Gli esempi tratti da Manzoni e da Sterne chiariscono il pensiero di Pirandello, che mette in luce come la disposizione di questi autori alla digressione sia collegata alla loro vena umoristica. Spesso Manzoni è stato criticato per un eccesso di descrizioni e riflessioni che interrompono il regolare flusso narrativo; questa tendenza è esasperata in Sterne, tanto che il suo Tristam Shandy può essere considerato un romanzo fatto di digressioni. Pirandello considera tale tendenza verso un apparente divagare una caratteristica tipica dell’opera umoristica, perché grazie alle digressioni viene portata in evidenza e resa esplicita l’attitudine alla riflessione che altrimenti resterebbe solo a un livello potenziale.
Ma se questa caratteristica è stata notata, non se ne son vedute chiaramente le ragioni. Questa scompostezza, queste digressioni, queste variazioni non derivano già dal bizzarro arbitrio o dal capriccio degli scrittori, ma sono appunto necessaria e inovviabile conseguenza del turbamento e delle interruzioni del movimento organatore delle immagini per opera della riflessione attiva, la quale suscita un’associazione per contrarii: le imagini cioè, anzichè associate per similazione o per contiguità, si presentano in contrasto: ogni immagine, ogni gruppo d’immagini desta e richiama le contrarie, che naturalmente dividono lo spirito, il quale, irrequieto, s’ostina a trovare o a stabilir tra loro le relazioni più impensate.
V
La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perchè noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi. Le forme, in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate, in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto.
Vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, d’irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità. Ma anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in un’altra forma, la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti.
Sono affrontate qui due categorie fondamentali di tutta la poetica pirandelliana: la vita e la forma, due entità in perenne contrasto nell’esistenza dell’uomo contemporaneo. Pirandello attribuisce alla vita una potenza non imbrigliabile o comunque non contenibile in assoluto. Essa pulsa tempestosa e indistinta sotto la superficie delle forme, entro gli argini che le abbiamo costruito elaborando concetti astratti su cui si modella la coscienza individuale di ciascuno. Ma “il flusso della vita è in tutti” ed è perciò sempre possibile il suo straripamento: allora le forme fittizie degli affetti, dei doveri e delle abitudini possono venire travolte.
VI
La vita nuda, la natura senz’ordine almeno apparente, irta di contraddizioni, pare all’umorista lontanissima dal congegno ideale delle comuni concezioni artistiche, in cui tutti gli elementi, visibilmente, si tengono a vicenda e a vicenda cooperano.
[…] Ma l’umorista sa che le vicende ordinarie, i particolari comuni, la materialità della vita insomma, così varia e complessa, contraddicono poi aspramente tutte quelle semplificazioni ideali, costringono ad azioni, ispirano pensieri e sentimenti contrarii a tutta quella logica armoniosa dei fatti e dei caratteri concepiti dagli scrittori ordinarii. E l’impreveduto che è nella vita? E l’abisso che è nelle anime? Non ci sentiamo guizzar dentro, spesso, pensieri strani, quasi lampi di follia, pensieri inconseguenti, inconfessabili finanche a noi stessi, come sorti davvero da un’anima diversa da quella che normalmente ci riconosciamo? Di qui, nell’umorismo, tutta quella ricerca dei particolari più intimi e minuti, che possono anche parer volgari e triviali se si raffrontano con le sintesi idealizzatrici dell’arte in genere, e quella ricerca dei contrasti e delle contraddizioni, su cui l’opera sua si fonda, in opposizione alla coerenza cercata dagli altri; di qui quel che di scomposto, di slegato, di capriccioso, tutte quelle digressioni che si notano nell’opera umoristica, in opposizione al congegno ordinato, alla composizione dell’opera d’arte in genere.
Pirandello dà risalto all’attitudine alla scomposizione e alla disintegrazione delle forme unitarie proprio della scrittura umoristica. Egli si discosta dal concetto tradizionale di arte, che attribuisce all’arte il fine di dare armonia alla caotica molteplicità del reale. Lo scrittore tradizionale, quando rappresenta le lacerazioni morali o sentimentali di un eroe, le compone in un carattere unitario, dando loro coerenza e unitarietà. Per lo scrittore moderno, figlio della crisi delle certezze, la realtà si presenta come un insieme tutt’altro che ordinato e razionale e l’arte, pertanto, non può avere altro fine che quello di far emergere quel che di scomposto, di slegato, di capriccioso caratterizza l’esistente.
Il carattere non sistematico del saggio mostra una prosa libera e fluente, che ritorna con variazioni sugli stessi temi, mai trattati compiutamente in un unico punto del testo, ma ripresi e corretti, senza arrivare a una formulazione stabile e definitiva. In questo testo Pirandello fornisce un esempio diretto di scrittura umoristica: la forma slegata riempie il testo di digressioni intorno a particolari banali, in apparenza inutili, perché l’autore aderisce alla “vita nuda” e alle sue brucianti contraddizioni, lontane da ogni sintesi idealizzatrice. propria dell’arte classica. L’arte, anche sul piano formale, non deve comporre elementi estranei e incompatibili in un tutto ordinato, ma solo prendere atto che la realtà è frammentaria.