La morte di Genesio

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, capitolo 8

Luca Pirola
6 min readApr 1, 2022

Il romanzo racconta la storia della giovinezza di Ricetto (dai dieci ai vent’anni), un ragazzo di borgata. Tuttavia in Ragazzi di vita Pasolini vuole soprattutto descrivere un mondo, pertanto i personaggi e le situazioni si accavallano con minore organicità. Attraverso alcuni momenti della vita di un gruppo di bulli […] ci vengono dinanzi agli occhi i paesaggi squallidi della periferia romana e le strane fisionomie di questi ragazzi, ladruncoli ma sempre affamati, corrotti ma generosi, spavaldi e timidi, scafatissimi e ingenui, spensierati e insoddisfatti. La città esercita su di loro un fascino irresistibile ed essi vi si muovono, per giorni e notti intere, con un vagabondare inquieto e senza scopo, ai margini di ogni legge e di ogni consuetudine civile, insidiati dai pederasti o a caccia di donne, contenti della piccola truffa che permetta loro di vivere senza pensieri per un giorno o due.
Nel capitolo finale Genesio, insieme con i suoi fratelli minori Mariuccio e Borgoantico e con il cane Fido, scappa di casa, ricercato dai carabinieri, e va al fiume Aniene, dove muore affogato, nel tentativo di riattraversarlo a nuoto, sotto lo sguardo impotente di tutti, anche di Ricetto.

Le analogie tra l’episodio del salvataggio della rondinella da parte di Riccetto e questo sono evidenti: Pasolini commenta il percorso di Riccetto dall’infanzia all’età adulta con le seguenti parole. «Il Riccetto, nel primo capitolo del romanzo, andando in barca con amici sul Tevere — “regazzino”, ma già esperto di tutte le bassezze, ladro, senza scrupoli, ecc. — ad un certo momento si getta a nuoto per salvare una rondine che sta affogando sotto Ponte Sisto. Nell’ultimo capitolo, affoga sull’Aniene un ragazzetto, Genesio […], e il Riccetto, già quasi giovanotto, non muove un dito per salvarlo. Tra questi due momenti si svolge tutto l’arco narrativo. Alla fine del romanzo, […] il Riccetto è ormai perso tra gli altri, un anonimo: un giovanotto o quasi, che fa il manovale a Ponte Mammolo, chiuso nell’egoismo, nella sordidezza di una morale che non è la sua».

Genesio allora s’alzò all’impiedi, si stirò un pochetto, come non usava fare mai, e poi gridò: — Conto fino a trenta e me butto. — Stette fermo, in silenzio, a contare, poi guardò fisso l’acqua con gli occhi che gli ardevano sotto l’onda nera ancora tutta ben pettinata; infine si buttò dentro con una panciata. Arrivò nuotando alla svelta fin quasi al centro, proprio nel punto sotto la fabbrica, dove il fiume faceva la curva svoltando verso il ponte della Tiburtina. Ma lí la corrente era forte, e spingeva indietro, verso la sponda della fabbrica: nell’andata Genesio era riuscito a passare facile il correntino, ma adesso al ritorno era tutta un’altra cosa. Come nuotava lui, alla cagnolina, gli serviva a stare a galla, non a venire avanti: la corrente, tenendolo sempre nel mezzo, cominciò a spostarlo in giú verso il ponte.

Il bagno di Genesio ha luogo in periferia, nell’Aniene circondato da fabbriche che scaricano i loro liquami nel fiume, che attraversa le borgate lontano dal centro storico. Questo ambiente ha un significato simbolico (la fabbrica, i carri armati che passano sul ponte, gli scarichi industriali) con cui l’autore evidenzia l’impossibilità per i ragazzi di vita di sottrarsi alle leggi che determinano la loro emarginazione.

– Daje, a Genè, — gli gridavano i fratellini da sotto il trampolino, che non capivano perché Genesio non venisse in avanti, — daje che se n’annamo!
Ma lui non riusciva a attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume, di segatura e d’olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume. Ci restava nel mezzo, e anziché accostarsi alla riva, veniva trascinato sempre in giú verso il ponte. Borgo Antico e Mariuccio col cane scapitollarono giú dalla gobba del trampolino, e cominciarono a correre svelti, a quattro zampe quando non potevano con due, cadendo e rialzandosi, lungo il fango nero della riva, andando dietro a Genesio che veniva portato sempre piú velocemente verso il ponte. Cosí il Riccetto, mentre stava a fare il dritto con la ragazza che però continuava, confusa come un’ombra, a strofinare le lastre, se li vide passare tutti e tre sotto i piedi, i due piccoli che ruzzolavano gridando tra gli sterpi, spaventati, e Genesio in mezzo al fiume, che non cessava di muovere le braccine svelto svelto nuotando a cane, senza venire avanti di un centimetro.

Riccetto, dopo aver fatto il bagno, si era allontanato per andarsene, ma poi si era fermato vedendo a una finestra della fabbrica la figlia del custode, intenta a pulire i vetri, nella speranza di essere notato da lei. Egli contempla la scena tragica da lontano.

Il Riccetto s’alzò, fece qualche passo ignudo come stava giú verso l’acqua, in mezzo ai pungiglioni e lí si fermò a guardare quello che stava succedendo sotto i suo occhi. Subito non si capacitò, credeva che scherzassero: ma poi capí e si buttò di corsa giú per la scesa, scivolando, ma nel tempo stesso vedeva che non c’era piú niente da fare: gettarsi a fiume lí sotto il ponte voleva proprio dire esser stanchi della vita, nessuno avrebbe potuto farcela. Si fermò pallido come un morto. Gene- sio ormai non resisteva piú, povero ragazzino, e sbatteva in disordine le braccia, ma sempre senza chiedere aiuto. Ogni tanto affondava sotto il pelo della corrente e poi risortiva un poco piú in basso; finalmente quand’era già quasi vicino al ponte, dove la corrente si rompeva e schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l’ultima volta, senza un grido, e si vide solo ancora per un poco affiorare la sua testina nera.

L’identificazione tra il ragazzo e la rondinella culmina nell’istante fatale. L’uccello, tuttavia, era stato salvato dalla pietà creatura, per Genesio vprevalgono la solitudine e la desolazione fino alla morte.

Il Riccetto, con le mani che gli tremavano, s’infilò in fretta i calzoni, che teneva sotto il braccio, senza piú guardare verso la finestrella della fabbrica, e stette ancora un po’ lí fermo, senza sapere che fare. Si sentivano da sotto il ponte Borgo Antico e Mariuccio che urlavano e piangevano, Mariuccio sempre stringendosi contro il petto la canottiera e i calzoncini di Genesio; e già cominciavano a salire aiutandosi con le mani su per la scarpata.

La morte sigla la conclusione, un sigillo che rivela il senso del racconto: l’annegamento di Genesio, trascinato nell’Aniene dalla corrente dei rifiuti, conclude la descrizione della vita senza speranze dei suoi personaggi.

– Tajamo, è mejo, — disse tra sé il Riccetto che quasi piangeva anche lui, incamminandosi in fretta lungo il sentiero, verso la Tiburtina; andava anzi quasi di corsa, per arrivare sul ponte prima dei due ragazzini. «Io je vojo bbene ar Riccetto, sa!» pensava. S’arrampicò scivolando, e aggrappandosi ai monconi dei cespugli su per lo scoscendimento coperto di polvere e di sterpi bruciati, fu in cima, e senza guardarsi indietro, imboccò il ponte. Poté tagliare inosservato, perché, sia nella campagna che si stendeva intorno abbandonata, verso i mucchi di casette bianche di Pietralata e Monte Sacro, sia per la Tiburtina, in quel momento, non c’era nessuno; non passava neppure una macchina o uno dei vecchi autobus della zona; in quel gran silenzio si sentiva solo qualche carro armato, sperduto dietro i campi sportivi di Ponte Mammolo, che arava col suo rombo l’orizzonte.

Il rumore di sottofondo dei carri armati denuncia la continuità tra guerra e progresso e rafforza il senso di morte dell’episodio finale.

La ripetizione della scena del fiume costituisce un indicatore del trascorrere del tempo e dell’evoluzione del protagonista, il quale subisce delle trasformazioni nella sua coscienza. Se il salvataggio della rondine era stato un atto istintivo e vitalissimo, ora Riccetto non è più empatico con la creatura in pericolo; Riccetto si è fatto più egoista, perché alla solidarietà tra creature è subentrata la riflessione su di sé e sulla propria condizione: il ragazzo non interviene in aiuto dell’amico perché si accorge che, gettandosi nel gorgo, rischierebbe l’annegamento. Questa trasformazione per Pasolini è negativa, perché la intende come il risultato del passaggio dal coraggio dell’infanzia selvaggia alla egoistica normalità borghese, in cui Riccetto è ormai integrato.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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